Carlo Cuppini

martedì 20 ottobre 2009

16 - il mio amico Ivan

Il mio amico Ivan è partito, ha viaggiato, è arrivato in India. Lì si è fermato.
Il mio amico Ivan lavorava coi matti, da qualche parte sull'Appennino. E si è licenziato, ed è partito.
Adesso Ivan sta in mezzo alla foresta pluviale, senza cellulare, senza vicinanza con niente intorno a sé. Le uniche cose che ha vicine stanno in verticale, sopra la sua calotta cranica, sulla sua testa rasata, sulle sue sopracciglia folte, sulla sue spalle larghe, sopra la sua piccola statura. Quello che può essere così vicino da avere un contatto con lui, adesso, non è qualcosa di materiale come lo potremmo intendere noi da qui: è un piatto di robaccia da mangiare, è le grida e le braccia di altri pazzi, cacciati nel buio di una foresta indiana, è il sole che penetra le fronde che immagino altissime e impervie e inospitali e disumane. Ed è la notte, ed è un nugolo di divinità che ti fanno impazzire quando si mettono a gridare tutte insieme, come imamgino facciano di frequente. Più o meno come i matti del manicomio dove Ivan adesso si trova, abita, forse lavora come faceva sull'Appennino. O forse, semplicemente, come è usanza degli umani quando si riuniscono nello spirito della semplicità, in questo ospedale psichiatrico nella foresta non fa altro che sperimentare il senso dell'ospitalità, coi matti, i dottori, gli animali della foresta, le piante, i malumori, le risate, l'asprezza, i demoni, gli dei.
Ivan ha scritto dei romanzi, e uno ne ha pubblicato. E' accaduto prima che mollasse tutto per lavorare coi matti, da qualche parte sull'Appennino. E questo romanzo ha vinto due primati: è il più bel romanzo scritto in Italia negli ultimi anni; ed è il romanzo con la più brutta copertina pubblicato in Italia da sempre. La copertina l'ha scelta l'editore. Anche il titolo l'ha deciso l'editore: o meglio, è stato il frutto di un compromesso. Il romanzo di Ivan si chiamava "Cristo ha un fratello incazzato". Alla fine l'editore è riuscito a strappare un accordo su "L'ultimo romanzo di Dio".
Al liceo, più di dieci anni fa, avevo scritto un racconto su una festa di ubriachi. Compariva anche Ivan, ed era una specie di goffo satiro danzante, nato per caso o per sbaglio sull'Appennino. Poi, dopo la maturità, siamo andati insieme ad altri amici in un'isola sperduta del Messico, e lì abbiamo dimenticato la mitologia, ascoltando Vasco per un mese, con un walkman scassato come si usava a quei tempi.
Ivan ha lasciato i matti dell'Appennino ed è partito. Si fa sentire poco. Non ha il cellulare con sé. Manda un'email ogni tanto, ma breve, perché la connessione non dura. Immagino che debba fare molta strada per uscire dalla foresta e trovare una postazione internet. Forse Ivan adesso vive vicino al santuario dei leoni della foresta di Gir, dove vive l'ultima popolazione di leoni asiatici salvata da un principe innamorato, e sente l'energia degli animali.
Ivan ha mollato ed è partito, perché cercava. Io credo che cercasse il motivo per cui certa gente, a un certo punto, è costretta a mollare e a cercare.
Ivan sta tra le liane, tra gli alberi secolari, gli insetti giganti, e vedo la sua faccia piena di terra, dipinta dalla natura, un volto selvaggio, sul filo tagliente della pazzia, che poi è la normalità degli umani quando non si travestono da cittadini, animali addomesticati.
Ivan aveva aperto un blog prima di partire per tenere informati noi che siamo restati, o che siamo tornati. Si chiamava "Da piccolo farai il pirata": ma l'ha chiuso. E ha fatto sapere che non riporterà foto.
Il mio amico Ivan mi manca, le serate rare al Caffè del Sole, da qualche parte sull'Appennino, le poche parole lanciate attraverso gli anni, la traiettoria degli sguardi sempre più selvaggia e più adulta e vicina.
Aspetto che torni. Anche se una parte di me spera che non ritorni mai, e che mi mandi un'ultima email per dirmi che ha trovato la strada per raggiungere il senso di tutto il cercare, e che prenderà quella strada, e che quella strada lo porterà lontano da noi, infinitamente lontano da noi, definitivamente lontano da noi. Invece so che il mio amico Ivan tornerà, e questo mi conforta e mi autorizza a fantasticare su di lui.
Il mio amico Ivan, adesso, il pensiero di lui, per me, questa luce scura, è come una risata buona, davanti a un bicchiere di vino. Magari d'inverno. Tutti stetti e infreddoliti. A tenere lontani gli spifferi dalle articolazioni. A fare il vapore per strada. Da qualche parte sull'Appennino.

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