Carlo Cuppini

mercoledì 5 gennaio 2011

26 dicembre parole canticchiate sul treno lungo la costa adriatica diretto a sud

come preghiera ti muovi
tra le onde della mente del cuore
(e mi scuserai se ti do del tu 
ma già da sempre usavamo così 
se ricordi tu ricordi 
di certo semmai sono io 
che deperisco memorie nell'istante
sempre più ispessito di strati)
tu che invadi l'interno
con pervasività grigioverde
di allegro spavento
non appena travalicata la membrana
umida inesistente degli occhi


mare tu il primo amore
dove al largo di te è sprofondato il sentire
quando ragazzo detestavo sopra ogni altra
cosa il viaggiare controsenso
dando le spalle al futuro imminente
traboccante e instradato su dritte rotaie
e tenere lo sguardo inutilmente sulle cose
che già stanno andando a sfumare


giorno su giorno passato con le dita nella sabbia
lo sguardo infilato nella distanza
più ampia
che esista
con la vertigine
di un cielo intero rovesciato
tu intanto catturavi quell'organo
pieno solo di sangue e di vento
che non ha ancora smesso di pompare
diligente per quanto nascosto e dissimulato e sospeso
tra il mondo reale della scatola
toracica e quello ancora più vero
dei tuoi flutti su flutti
rivolgimenti d'infinito finito 
assai gracile e finito io allora
sfinito e malinconico adesso e proprio oggi 
sullo stesso treno soltanto 
un po' ammodernato neanche tanto


e se davvero è profonda come pare
la tua superficie insondabile
tu non dimenticare quel patto
che stringesti col ragazzo
in quella notte schiumosa e ancestrale
nel bel mezzo del suo secondo parto - che saresti
stato la sola preghiera a lui nota
con promessa
che il respiro vitale lo avrebbe abitato 
fintanto che lui avrebbe potuto 
guardarti negli occhi
finché tu gli avresti parlato

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