Carlo Cuppini

venerdì 31 luglio 2020

Lettera al Presidente della Repubblica sulla gestione dell'emergenza covid

Alla cortese attenzione del Presidente della Repubblica
Sergio Mattarella
30 luglio 2020

Egregio Presidente,
oggi è un giorno che alcuni non dimenticheranno.
Questa mattina lei ha celebrato a Bologna la memoria delle due terribili stragi del 1980 - Ustica e Stazione di Bologna - elogiando tra l’altro la ricerca della verità, e affermando la necessità che si “faccia di tutto, con un impegno completo e senza alcuna riserva, perché la verità venga raggiunta in pieno”.
Dichiarazione nobilissima, che credo si debba estendere, in una democrazia che voglia considerarsi matura, a ogni aspetto della gestione della cosa pubblica, soprattutto quando le scelte politiche sono legate a circostanze tra le più tragiche nella storia del Paese.
Ebbene, nelle stesse ore in cui Lei pronunciava queste parole - ironia della sorte - abbiamo appreso dai media che il Governo ha fatto ricorso al Consiglio di Stato contro la recente sentenza del Tar del Lazio che lo obbliga a desecretare i verbali del Comitato Tecnico Scientifico, in quanto documenti fondamentali perché i cittadini possano valutare la bontà, la proporzionalità, l’adeguatezza dell’operato del Governo in relazione alla grave crisi sanitaria che abbiamo attraversato.
Così Covid si candida ufficialmente a diventare, oltreché una malattia, una “nuova Ustica”: un nuovo mistero italiano.
Ma allora, per le istituzioni, la ricerca delle verità relative alle vicende controverse che segnano la storia del Paese, è un valore e un obiettivo da perseguire “facendo di tutto”, oppure è un rischio da scongiurare a ogni costo?
Stimato Presidente, credo che il nostro Paese non meriti questo ennesimo strappo, che si configura come un oltraggio alla democrazia, ai morti di covid, i cui familiari reclamano verità, ai morti non di covid deceduti in questi mesi a causa della gestione dell’emergenza, ai cittadini tutti.
Nella gestione dell'emergenza sono state adottate misure drammatiche e inaudite, che oltre, a fronteggiare la crisi sanitaria, hanno prodotto enormi danni sanitari, economici e sociali. Credo sia lecito domandarsi: queste misure sono state efficaci rispetto agli obiettivi, proporzionate rispetto ai rischi, inevitabili nei loro “effetti collaterali”?
Secondo le intenzioni del Governo, i cittadini non hanno il diritto di valutarlo, anzi sono tenuti a non farlo: devono fidarsi e basta. È una pretesa legittima questa? È un atteggiamento conciliabile con la democrazia?
Ancora, Presidente: sempre oggi Lei ha promulgato il Decreto Legge che proroga di altri due mesi e mezzo lo stato di emergenza dichiarato il 31 gennaio, prendendo atto della volontà espressa dal Governo e dal Parlamento; ma in contrasto con il parere allarmato di eminenti costituzionalisti e giuristi, e senza che la misura sia ritenuta utile da autorevoli scienziati e medici che hanno studiato e conosciuto la malattia e il virus molto da vicino. Proroga attuata, sembrerebbe - ed è la cosa più importante -, in contraddizione con la stessa legge che istituisce lo stato di emergenza e ne regolamenta l’utilizzo, dal momento che, come è stato ricordato da costituzionalisti illustri e al "di sopra di ogni sospetto", non è legittimo dichiarare lo stato di emergenza in assenza di una emergenza conclamata e presente. Mentre nella situazione attuale e nel prossimo futuro, ogni urgenza e ogni criticità che dovessero verificarsi dovrebbero essere affrontate nel regime ordinario, o comunque nell’alveo di quanto previsto dalla Costituzione, che offre gli strumenti adeguati e sufficienti a gestire ordinatamente situazioni del genere.
Sono profondamente preoccupato, Presidente, al pari di moltissimi altri cittadini, per lo stato della nostra democrazia - che è il valore e il bene più alto, irrinunciabile, da difendere a qualsiasi costo, come ci hanno insegnato i nostri antenati. Io sono certo che Lei, con il suo stile sobrio e discreto, non abbia smesso per un solo istante, in tutti questi mesi, di vigilare e di indirizzare saggiamente il procedere politico. Ma una parte della cittadinanza è esterrefatta, e io mi riconosco in questa parte, e ha bisogno di messaggi chiari e di garanzie sigillate con impegni solenni e gravi, come solenne e grave è la lunga vicenda che attraversiamo.
Non posso dimenticare che questo Governo è guidato maggioritariamente da una forza politica che in molte occasioni in passato ha espresso la sua avversione per la democrazia parlamentare, esprimendo la volontà di "superarla" per una ambigua, indefinita e certamente incostituzionale “democrazia diretta”; e ha mostrato analogamente, in diverse circostanze, ben poca adesione ideale al dettato costituzionale e all’architettura delle istituzioni democratiche. Non è la prima volta del resto che al governo e al Parlamento si insediano forze di questo genere.
Ma oggi il Governo dell'autoproclamatosi "avvocato del popolo" pretende che il popolo sia tenuto all’oscuro dei motivi, delle informazioni, dei dati e dei ragionamenti che hanno portato a prendere le decisioni più drammatiche e più incidenti sulla vita dei cittadini da quando è stata fondata la Repubblica. In nome di quale ragione di Stato, mi chiedo? Di quali "security reasons"?
Noi non siamo bambini che si devono fidare ciecamente dei genitori, ed essere grati che i genitori si prendono cura di noi, alternando carezze, rimproveri e “no”. Caso mai i genitori siamo noi - e questo lo dico quasi gridando, signor Presidente: noi siamo i genitori di milioni di bambini e ragazzi, e mi permetto di parlare anche a nome di chi genitore non è, perché la difesa dell’infanzia, in senso ideale, dovrebbe concernere tutti i cittadini - come quella della democrazia. Questo ruolo di "genitori e tutori" risponde a precisi obblighi, ai quali non può sfuggire neanche di fronte a una legge che lo imponesse; questo ruolo ci rende ancora più preoccupati, pronti alla mobilitazione, a scelte drammatiche. Perché abbiamo potuto vedere nei mesi scorsi - come vediamo tutt’ora, con l’approccio alla questione davvero emergenziale della scuola - quale e quanta considerazione il Governo e le istituzioni italiane abbiano riservato a queste categorie fragili. Le quali una volta, nel codice etico dell’emergenza e del salvataggio, insieme alle donne, venivano “prima”. Questa volta sono venuti dopo: sono venuti ultimi. La questione delle loro sofferenze, dai traumi da loro vissuti durante questa crisi, dei danni causati dalle misure scelte per il contenimento del contagio, non è neanche stata sfiorata. Né si assiste oggi a un adeguato dibattito su questo tema, per tentare almeno di porre un rimedio a posteriori.
Una pagina terribile della storia italiana, quella che “dimentica per strada” i bambini per salvare i loro nonni, dal momento che si sarebbe potuto e dovuto proteggere i secondi senza essere indifferenti ai primi. Una pagina imperdonabile quella in cui, a cuor leggero, il governo e lo Stato sottopongono bambini e giovani a privazioni durissime, indiscriminate, senza eccezioni e senza margini di flessibilità che considerassero le diverse necessità. E non sappiamo - e forse non potremo mai sapere - se queste imposizioni inaudite siano state utili, proporzionate, inevitabili.
A proposito di bambini, giovani e scuola: oggi è anche il giorno in cui una dirigente scolastica di Amalfi inizia lo sciopero della fame “contro le assurde misure prese contro la scuola e soprattutto contro una nuova bozza che circola che prevederebbe che il voto di condotta per gli alunni si basi sul rispetto delle misure anticovid, cioè sul distanziamento sociale tra i nostri giovani. Sono atterrita”.
Anche io sono atterrito. Questo gesto drammatico si compie perché il dibattito nazionale istituzionale sulla scuola ci ha collocati radicalmente fuori dall’alveo della civiltà europea, dove tutte le altre nazioni hanno dimostrato molto più coraggio della nostra e hanno anteposto all’ideale dispotico e distopico del “rischio zero” i diritti e il benessere dei bambini e dei giovani, assumendosi un ragionevole rischio, con il conforto dalle ricerche e dalle evidenze scientifiche che in Italia sembrano venire sistematicamente ignorate, quando non contraddette, anche da importanti membri del Cts.
In quali mani siamo, Presidente? Chi ha scelto queste mani? Con quale diritto vengono tradotte in drammatiche e discriminanti scelte politiche dei pareri di scienziati che contrastano platealmente con i pareri di altri scienziati?
Per quello che vale il mio parere personale, non credo che questa compagine di governo abbia l’aspirazione, o almeno la possibilità concreta, di compiere un colpo di mano per instaurare un regime permanentemente dispotico. Ma temo, con profondissima angoscia, che l’esecutivo abbia già creato, e continui a creare - con il benestare esplicito o implicito del Parlamento e delle istituzioni di garanzia - una serie di gravissimi precedenti: quelli necessari e sufficienti a instaurare eventualmente in futuro una vera e propria dittatura.
Perché si dovrebbe negare a un futuro governo di dichiarare lo stato di emergenza sulla base di una emergenza solo paventata, o temuta, visto che questo è è stato avallato e decretato oggi? Glielo si negherà perché magari sarà un governo di destra, e quindi, nell’immaginario di alcuni, più incline di altri a derive autoritarie? E’ ovvio che questa logica è insensata e impraticabile. Io credo che chiunque domani e dopodomani potrà riferirsi a quanto accaduto oggi, per impostare politiche di dominio e di arbitrio. E non si può mancare di notare che in tutti gli altri Stati europei - in cui lo stato di emergenza è terminato da settimane o mesi - i riguardi per le Costituzioni e per lo stato di diritto sono stati di gran lunga più continui e solidi che in Italia.
Egregio Presidente: noi cittadini italiani abbiamo bisogno di essere tutelati, garantiti, rassicurati, con parole chiare che però non siano solo parole rassicuranti, ma che incarnino precisi e solenni impegni a difesa della democrazia. Ne avremmo avuto bisogno il 10 marzo scorso. Ne abbiamo bisogno oggi. Abbiamo bisogno di sentire la voce forte delle istituzioni - e non quella di un Capo - che, come scriveva Pasolini, “commuovono: e gli uomini in altro che in esse non sanno riconoscersi. Sono esse che li rendono umilmente fratelli.”
Ringraziandola per l'attenzione, le rivolgo i più distinti saluti,
Carlo Cuppini, un cittadino

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