Carlo Cuppini

domenica 29 novembre 2020

"Quando le volpi puniscono gli uomini" - qualche parola di presentazione (mia e di Riccardo Manzotti)

A fine dicembre uscirà il mio libro che raccoglie poesie scritte negli ultimi dieci anni (e ampiamente riviste in epoca covid). Il titolo è Quando le volpi puniscono gli uomini, l'editore è Ensemble Edizioni, la postfazione è firmata dal filosofo Riccardo Manzotti.

Prima di tutto voglio dire qualcosa sulla poesia, sulla mia idea e la mia pratica della poesia. Sul perché la poesia è attuale ed essenziale in questo mondo in bilico, oggi.
La poesia non è un discorso, ma è l’affermazione della libertà in quell’invisibile conflitto permanente con il potere che di fatto, e non solo teoricamente, qualunque discorso è.
Poesia è porsi nella mischia, armati solo di aperture e di fragilità, pronti a incassare e a registrare i colpi, essendo nient’altro che cosa tra le cose, discorso tra i discorsi (delle e sulle cose).
È un gesto (un atto corporeo e gestuale, come il dripping) di resistenza alla predittività della nostra tastiera (mentale): il linguaggio, così come lo abbiamo ricevuto e continuamente lo riceviamo dalle cose, dagli altri, dalla cultura, dalla tradizione; con le sue stratificazioni di senso, con le sue corsie preferenziali di significati e le sue esclusioni di possibilità (validate dal potere) che raccontano non la nostra ma la sua storia.
È un duro corpo a corpo con quella sostanza che costituisce i nostri pensieri che, mentre promette di lasciarsi docilmente parlare perché possiamo liberamente esprimerci, parla in realtà se stessa attraverso le nostre parole.
Ecco che dunque arrivano le volpi, e puniscono gli uomini... E noi siamo lì, nel mezzo.

Ora voglio dire qualcosa su
Riccardo Manzotti
, filosofo e docente di Filosofia Teoretica allo IULM, e sull'incontro suo con le mie poesie.
Ho una grande stima e gratitudine per Riccardo Manzotti, per almeno due motivi: il primo è che, in un panorama di decadente e docile iper-specializzazione generale, soprattutto in ambito accademico, ha la forza di elaborare e proporre una nuova filosofia delle mente, e quindi del tutto, come se si potesse pensare ancora qualcosa di nuovo, di radicalmente nuovo. E infatti è così. Con buona pace dei docili.
Il secondo motivo è che in tutti questi mesi ha difeso a oltranza la libertà, la dignità degli individui, a fronte di inaudite intrusioni e coercizioni del potere. Che queste intrusioni e coercizioni poi fossero e siano utili o meno utili a perseguire uno scopo (più o meno nobile), è del tutto secondario: il fatto principale è che esse, in quanto tali, non sono sono state oggetto di alcuna critica da parte degli intellettuali, come dei cittadini, a parte poche eccezioni. E questo è accaduto in virtù della soggezione che ha prodotto l’aura apocalittica della pandemia, che ha permesso di spazzare via ogni resistenza culturale. Che in nome dell’operatività, ha rovesciato il rapporto tra scienza e filosofia della scienza, dando il colpo di grazia ai resti della cultura umanistica.
Riccardo, sulla sua pagina fb che vi invito a seguire, con i suoi scritti e i suoi video, le sue lezioni, ha tenuto e tiene alta la bandiera del pensiero libero, dell’autonomia dei valori che costituiscono la persona.
Entrambi questi motivi spiegano l’incontro della mia poesia con Riccardo Manzotti.
Nel suo La mente allargata scrive:
“Prendiamo così, senza vergogna, in considerazione l’ipotesi secondo cui la materia di cui è fatta la nostra esperienza non è altro che il mondo fisico. La coscienza è tutt’uno con il mondo che si estende oltre i limiti del nostro corpo. Vediamo se è finalmente giunta l’ora di calare il sipario su questa rappresentazione filosofico-scientifica in atto dai tempi di Platone che, un po’ come il “Tristano e Isotta” ha avuto per secoli come tema il rapporto non consumato tra soggetto e oggetto, tra mente e mondo, tra filosofia e scienza.”
L’attitudine della mia poesia, forse di tutta la poesia, è proprio consumare questo rapporto, rinunciando a qualcosa (essere soggetto integro e inviolato), guadagnando qualcosa (il mondo non è più cosa separata e inaccessibile), quale che sia il costo: nella poesia segni, sintomi, oggetti, pensieri, sentimenti, volontà, cause, effetti, limitazioni, descrizioni, metafore… tutto è compresente, compenetrato, equivalente, in relazione su un unico piano, inesistente da solo. Tutto è a brandelli, con bordi sfrangiati pronti a stabilire nuove connessioni analogiche con elementi eterogenei, come nell’istante esatto di un’esplosione: quell’esplosione dilatata in ogni direzione che è il presente.
Del mio libro Riccardo Manzotti scrive:
“Cuppini ci picchia con le parole, combatte con le nostre certezze, ci porta dentro un mondo dove, come dice Al Paci- no, l’unica verità è la rappresentazione, e si torna così a Whitehead, ma una rappresentazione che vuol unire esistenza e racconto. La bocca diventa verbo, gli angeli hanno i cellulari, le madonne piangono ai telegiornali. Il medium diventa l’unica sostanza, ma con una consapevolezza che lo fa diventare dramma. Santi e morti si scambiano i ruoli privi di sostanza reale. Cuppini è impaziente e non ha tempo per le parole usate come scusa e paravento delle nostre ipocrisie. Non ci sono mezze misure. Nelle sue poesie, le parole devono strappare di dosso le tante bugie in cui ci adagiamo per difenderci dalle asprezze del vivere.
Leggendo le sue poesie io trovo la tensione tra libertà e società, tra essere uomini liberi e vivere la sicurezza della vita “lurida” di Einaudi, tra la multidimensionalità della nostra esistenza e la monodimensionalità imposta dallo scientismo e dall’inganno della sicurezza a tutti i costi.
Cuppini rompe con le convenzioni e ci fa entrare nella stanza dove conserviamo il nostro ritratto di Dorian Gray.”




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