Carlo Cuppini

domenica 19 aprile 2020

Passeggiata di rivolta morale e filosofica

Oggi sono uscito a fare una passeggiata di 2 chilometri. Era vietato. Questo è il testo che ho letto in diretta Fb – per metterci la faccia, perché era un gesto dimostrativo – mentre camminato, per chi volesse rileggerlo.

[Edit: Il tribunale di Reggio Emilia, con sentenza pubblicata l'11 marzo 2021, ha dichiarato illegittimo e totalmente privo di effetto quel dpcm, e quindi nulle le relative sanzioni, in merito al divieto di uscire di casa e circolare, come garantito dalla Costituzione.]


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Mi chiamo Carlo Cuppini, ho 40 anni, ho due figli e un lavoro, vivo a Firenze, dove in questo momento mi trovo.
Sono uscito di casa, per la sola ragione che intendo affermare la mia libertà personale, l’inviolabile libertà personale sancita dalla Costituzione. “Inviolabile”. Articolo 13.
C’è chi per giustificare questo stato di cose, in particolare la reclusione domiciliare forzata, fa riferimento all’articolo 16.
Leggiamo l’articolo 16: “Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza.”
È evidente – e lo hanno chiarito diversi giuristi, caso mai fosse stato necessario farlo – che con “libertà di circolazione in qualsiasi parte del territorio nazionale” si intende lo spostamento in lungo e in largo per tutta la nazione, da Firenze a Roma, da Milano a Palermo, forse anche solo da Firenze a Prato: ma non si intende certamente uscire di casa, passeggiare per il quartiere, spostarsi nella propria città, nella geografia limitata e ripetitiva della propria quotidianità. Questi atti attengono alla libertà personale, e non a quella di circolazione nel territorio nazionale.
Leggiamo allora l'articolo 13: “La libertà personale è inviolabile. Non è ammessa forma alcuna di detenzione, di ispezione o perquisizione personale, né qualsiasi altra restrizione della libertà personale, se non per atto motivato dell'autorità giudiziaria”.
Quale autorità giudiziaria ha disposto una limitazione alla libertà personale dei cittadini di uscire di casa, in questa circostanza, a 78 giorni dalla dichiarazione dello stato di emergenza in Italia?
Sono uscito di casa per rigettare l’idea di uno Stato intrusivo, colpevolizzatore, paternalistico, pronto ad attuare una repressione collettiva preventiva; uno Stato che sostiene l’equazione, giuridicamente e moralmente abominevole, “uscire di casa = violare il divieto di assembramento”. Assegnando implicitamente al cittadino il profilo di una intrinseca irresponsabilità e di una sicura colpevolezza, anche in assenza di prove, di fatti, di intenzioni. Ma qui siamo ben oltre il processo alle intenzioni.
Qui siamo al tema del peccato originale.
Sono uscito di casa per affermare a piena voce che il confinamento domestico è una forma di detenzione domiciliare inflitta a 60 milioni di cittadini come punizione collettiva preventiva, per la certezza che chiunque, se lasciato libero, in balia della sua inviolabile libertà, avrebbe violato una norma che si può violare solo uscendo di casa. Come moltissime altre norme del resto.
Detenzione per prevenire un’infrazione che si suppone potrebbe essere compiuta: come in Minority Report di Philip Dick.
Sono uscito di casa per affermare il diritto di essere considerato dallo Stato e dalle istituzioni un cittadino responsabile, innocente e degno di piena fiducia, fino a prova contraria. Esco di casa e come vedete non violo il “divieto di assembramento” che è stato posto con i recenti decreti.
Con la proprietà del mio corpo, con la responsabilità del mio gesto, sto spezzando la scellerata equazione governativa che sospetta preventivamente di ogni cittadino, e lo priva della sua libertà inviolabile, suprema, agitando la bandiera della salute pubblica.
Sono uscito di casa perché la catastrofe sanitaria, ospedaliera, economica e sociale italiana non è stata causata da una maggioranza di cittadini che in quanto irresponsabili non meritano la democrazia e i diritti elementari; ma dall’inadeguatezza del sistema sanitario, dal ritardo nella risposta del governo, da errori tragici e gravissimi, degni di inchieste penali, compiuti a livello di gestione sanitaria e politica.
Ma non voglio affatto parlare di politica, perché la mia passeggiata non è una manifestazione politica. E non è una forma di disobbedienza civile, dal momento che non sto infrangendo alcuna norma: sto ascoltando la mia coscienza e mi sto esponendo con la mia faccia per difendere la legalità e la dignità. Lo faccio per me, per tutti i miei concittadini, e per i miei e nostri figli. Che forse un giorno vorranno sapere che posizione hanno assunto i loro genitori in questa pagina della storia italiana.
La mia passeggiata è una rivolta morale e filosofica.
Per questo ho deciso di accompagnare all’atto materiale e corporeo di uscire di casa e di passeggiare liberamente dove mi pare, nella mia città, la lettura di un testo di uno dei più grandi filosofi italiani, Giorgio Agamben, pubblicato il 13 aprile scorso e che potete ritrovare in rete. ll titolo è: “Una domanda”.
Libertà. Legalità. Responsabilità. Dignità. Costituzione. Resistenza.

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