blog di Carlo Cuppini

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sabato 31 luglio 2021

Dichiarazione

Dichiaro che non prenderò il green pass.

Non lo prenderò:

- indipendentemente dal fatto che io possa avere o meno i requisiti per ottenerlo;
- indipendentemente dalla sua eventuale efficacia epidemiologica;
- indipendentemente dai costi - materiali e psicologici - che questa scelta potrà significare per me, per la mia famiglia, per i miei figli;
- indipendentemente dal numero di persone che faranno una scelta analoga.
Ho riflettuto a lungo, a fondo, su ogni aspetto: questa è la mia decisione.
Non è una scelta "eroica": al contrario, la faccio sentendomi lacerato, spaventato, solo. Vorrei non dover scegliere niente, e svegliarmi da questo incubo domani: in un Paese che non si sognerebbe mai di poter rilasciare i diritti "ad personam"; in un Paese che cercherebbe di risolvere i problemi collettivi, di qualunque entità e natura, in qualunque modo tranne che in questo.
Ma delle ragioni che mi hanno portato a questa decisione ho già parlato, e non intendo tornarci qui.
Delle battaglie politiche e legali che sto preparando insieme ad alcune persone consentanee avrete presto notizie. Come già per altre questioni nei mesi scorsi (si trattava del benessere e della dignità dell'infanzia, in quei casi) farò tutto ciò che mi sarà possibile per dare un contributo.
Anche il green pass riguarda l'infanzia. Anche l'infanzia: adolescenti, ragazzini, minorenni, forzati a prendere una "libera" decisione, pena l'esclusione dalla vita sociale, lo stigma, il marchio di "persona immorale". Una decisione che se vivessero in altri Paesi, l'Inghilterra o la Norvegia per esempio, non sarebbero nemmeno autorizzati a prendere, a loro tutela.
A breve questo sarà esteso anche ai bambini.
Ma questo trattamento riservato all'infanzia è "solamente" una catastrofe all'interno di ciò che è di per sé intollerabile.
Condurremo una battaglia con tutte le nostre forze, con tutti coloro che vorranno partecipare. Ma neanche di questo voglio parlare ora.
Viviamo tutti un momento drammatico. Tutti: vaccinati, vaccinandi, variamente esitanti, refrattari. Perché in gioco non ci sono le "egoistiche libertà individuali" di una parte della popolazione, ma il diritto: cioè la libertà e la dignità collettive di un popolo, di una nazione, compresa la parte che può beneficiare dei diritti “rilasciati”.
La mia libertà non finisce dove inizia la tua: la mia libertà finisce dove finisce la tua.
Rinuncio alle mie "egoistiche libertà individuali" per poter rivendicare QUESTA libertà: la libertà che se non è di tutti non è di nessuno.
Da parte mia, ho comprensione e rispetto per qualunque decisione verrà presa da chi sia cosciente di qual è la posta in gioco. Ognuno sa per sé cosa può sacrificare, quale prezzo non è disposto a pagare. In queste ore ascolto le voci di genitori distrutti che non potrei mai permettermi di giudicare.
Quanto agli “altri", mi dico soltanto che forse un giorno tornerà a esistere un terreno comune per discutere con criterio di ogni cosa. Quando verranno rimosse dal discorso pubblico le insinuazioni, le intimidazioni, la manipolazioni, le etichette manovrate come manganelli. Al tempo, farò la mia parte per provare a ricostruire quel terreno. Per ora è meglio non illudersi che ci sia davvero qualcosa di cui parlare. Non c'è.
Adesso voglio restare in silenzio per un po'.

Consigli estivi per esterrefatti

La civiltà del diritto era edificata intorno a principi giuridici ed etici inviolabili, i quali – pur nella ricerca di soluzioni a problematiche pressanti – dovevano sempre essere fatti salvi.
Nella neonata civiltà "della scienza" (o dovremmo dire della tecnica) "comandano i dati", e tutto ciò che funziona (o potrebbe funzionare, o promette di funzionare), rispetto a un determinato obiettivo, è da considerarsi legittimo; anzi, NON può NON essere attuato, in una nuova accezione di "dovere morale". Qualora si incontrino degli intoppi, benvengano i militari.
Il precipitoso avvicendarsi di questi due modelli di civiltà non è stato osservato e commentato con adeguata prontezza e attenzione.
Oggi ci troviamo già a trasloco avvenuto, guardiamo le pareti e le stanza della nuova casa comune, ci chiediamo come sia potuto accadere e come potremo mai ambientarci in questa mutata condizione sociale.
La nuova normalità non era quella pittoresca dei box di plexiglass in spiaggia e del distanziamento sociale. Era quella della biopolitica e della biosicurezza, dei patentini biometrici, quindi della discriminazione e della segregazione giustificati perché "funzionali". In questa normalità, per l'appunto, comandano i dati, che di volta in volta dispongono e distribuiscono nel corpo della società misure che devono essere intese come "buone" in quanto, secondo la logica dei "dati" (che comincia a mostrare inattesi punti in comune con quella del profitto) ineluttabili.
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Consigli estivi per gli esterrefatti:
• superare la rabbia verso chi ha firmato questo contratto a nome di tutti senza leggerne le clausole scritte in piccolo;

• prepararsi ad affrontare il tempo che ci attende, con i suoi paradigmi egemonici;

• farsi "uomini-diritto", "donne-diritto", sul modello degli uomini-libro in Fahrenheit 451: persone che in segreto – scambiandosi muti sguardi d'intesa in pubblico e parlando liberamente nelle catacombe – incorporano il significato e il valore di ciò che viene spazzato via, facendone una missione, per tramandare a un'epoca successiva ciò che forse avrà la possibilità di rifiorire; farlo come se questa fosse una promessa della Storia, senza esitazione.

• fare dieci minuti di meditazione la mattina e dieci la sera;

• leggere o rileggere il Tao Te Ching;
• leggere buoni libri;
• contemplare un dipinto dell'Annunciazione, possibilmente di epoca medievale o proto-rinascimentale, possibilmente nella penombra di un luogo sacro;
• limitare l'uso dei social network, disattivare le notifiche;
• passare molto tempo da soli, in prossimità della natura;
• riflettere sui concetti di "virtù", di "persona", di "condivisione";
• tenere un diario;
• pensare, se si dovesse morire domani, che cosa si lascerebbe ai propri cari, e al mondo;
• osservare i fiori, la militanza dei fiori; e gli animali;
• cercare la grazia, coltivare la forza interiore;
• socchiudere gli occhi, lasciare che sulle labbra affiori un sorriso, anche minimo.

venerdì 30 luglio 2021

Giunta militare, vittoria mutilata, reietti (qualche riflessione notturna)

Mentre qualcuno cerca di misurare la distanza esatta che separa il Green Pass italiano dal Sistema di Credito Sociale cinese - e cerca di immaginare quanto tempo sarà necessario per colmare quella distanza - apprendiamo che una giunta militare è un'opzione di cui si può tranquillamente discutere negli ambienti moderati.

Dopo avere preso atto che l'accesso universale alle cure può essere un principio modulabile a seconda dei comportamenti individuali, e che una scelta esplicitamente consentita dalla legge può costare la disumanizzazione ("sorci", "persone immorali"), registriamo questo ulteriore salto di qualità nella costruzione delle coordinate concettuali del mondo che sta per arrivare.
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Mentre tutti i temi propriamente sanitari restano ai margini dell'attenzione generale: dell'adeguato approccio extraospedaliero al covid non parla più nessuno (neanche alcuni dei paladini di questa istanza, votatisi improvvisamente al "ne usciremo solo con i vaccini"; neanche chi ha dimostrato che l'intervento domiciliare precoce può ridurre dell'80% le ospedalizzazioni); il rafforzamento e l'adeguamento della sanità territoriale è questione archiviata o rimandata a data da destinarsi, magari a quando ci saranno i soldi (ma le vite umane non sono da salvare ora?); il potenziamento e la messa in sicurezza delle strutture ospedaliere è fuori discussione (in Italia ogni giorno muoiono 137 persone per infezioni contratte nei nosocomi; questi morti in gran parte evitabili con adeguati investimenti e ammodernamenti, non hanno mai fatto impressione a nessuno, né tantomeno la fanno ora - eppure chi entra in ospedale oggi in Italia ha lo 0,5% di possibilità di morire per una malattia che, al momento del ricovero, non aveva, né stava incubando); il tema della prevenzione e degli stili di vita collettivi e individuali per la riduzione dei fattori di rischio solitamente suscita risatine, anche tra molti degli esperti ospitati dalle televisioni (a meno che per stili di vita non si intenda distanziamento e mascherine; attività fisica, alimentazione, stress, corretti e monitorati apporti vitaminici... temi mai nominati).

sabato 17 luglio 2021

Contro il green pass - e l'abdicazione degli intellettuali

Nell’epoca pandemica, gli intellettuali cresciuti nei decenni dell’edonismo, estranei per questo alla cognizione del dolore e della morte, per non rischiare di apparire insensibili (è la prima preoccupazione di molti) hanno rinunciato al compito di destrutturare il discorso del potere e di smascherare il suo continuo dissimularsi nei luoghi più impensati, per sposarlo in toto, arricchendolo di figure retoriche e invettive.

Quello sul “green pass” è esattamente un discorso del potere su se stesso, con se stesso, perché le masse intendano, apprendano e si conformino. Un discorso corale, pronunciato contemporaneamente da molte bocche, comprese quelle di alcuni “scienziati scelti.” Sia chiaro: non è un discorso di natura sanitaria, relativo a obiettivi sanitari, interno alla comunità scientifica, fondato su evidenze e considerazioni scientifiche. Le implicazioni di questo discorso non riguardano il futuro della pandemia, né la possibilità di tornare a fare collettivamente una vita libera e normale (si veda sotto, al punto 2): riguardano piuttosto il rapporto del potere con se stesso, nell’articolazione delle sue varie anime e compartecipazioni, e quello tra le masse e il potere.
La necessaria destrutturazione di questo discorso va svolto su due piani, quello giuridico e quello propriamente scientifico. Ci vorrebbe un po' di semiotica, ma non va più di moda. Da parte mia, avendo più paura di vivere assoggettato all’irrazionalità del potere che di apparire insensibile, tento un primo abbozzo di decostruzione, sperando che seguano altri contributi.
1) Decidere che i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali non sono innati e inviolabili in qualunque circostanza, ma possono essere "rilasciati" ad personam dallo Stato, sulla base di misurazioni biometriche, apre definitivamente le porte all'epoca della biopolitica: un'epoca dove la saldatura tra politica e tecnica (non chiamiamola "scienza", via, siamo onesti) può dare vita a sviluppi mostruosi. A qualcuno questi sviluppi potranno piacere; a qualcuno potranno tornare molto utili; qualcuno starà già investendo su di essi; ma si rileggano i testi di Foucault, e si sia ben consapevoli di quello di cui si sta parlando, senza nascondere le implicazioni giuridiche di queste scelte, che costituiscono altrettanti precedenti, dietro un “si deve fare quindi si fa: primum vivere deinde philosophari”. Ciò che prefigura il pass sanitario è un apartheid accettato come condizione normale perché utilitaristica: una condizione che potrà essere attivata e modulato a seconda delle circostanze, durante e dopo il covid, in base alle scelte arbitrarie di quel soggetto chiamato “la scienza”, che non ha niente a che vedere con la scienza, e che invece identifica la suddetta saldatura tra politica e tecnocrazia. “La scienza” si autoconferisce il potere di definire competenze, prerogative, limiti, confini e periodi di vigenza di tutti gli altri ambiti dell’umano: la politica tradizionalmente intesa, il diritto, la filosofia, l'etica. In nome della biosicurezza e agitando la paura della morte e il rischio di apparire insensibili se critici, oppure terrapiattisti.
Ovviamente quella inaugurata dal green pass non sarà una “dittatura sanitaria”: sarà "soltanto" una riformulazione del discorso che il potere fa incessantemente su se stesso per potersi inverare nella Storia. Un discorso aggiornato con locuzioni di carattere sanitario, questa volta, pronunciate magari dalle bocche di determinati operatori della sanità e di diverse discipline scientifiche, in modo che le diverse proposizioni, ancorché in contraddizione l’una con l’altra, appaiano verosimili e autorevoli. (Sappiamo, dall’esperimento Milgram, cosa può un camice bianco sulla disponibilità di una persona a derogare dai propri principi, non è vero?) Da lì il discorso si distribuisce a cascata in tutti gli snodi dell’organizzazione sociale, attraverso i meccanismi semplici del conformismo e della delegittimazione del dissenso. In questo ovviamente i media hanno un ruolo centrale.
2) Il razionale scientifico del green pass. Parliamo di questo. Proviamo a sviluppare un ragionamento ricapitolando schematicamente alcune conoscenze:

lunedì 12 luglio 2021

"Il mistero delle meraviglie scomparse" - recensione di Giovanni Agnoloni su "La poesia e lo spirito"

Grazie infinite allo scrittore Giovanni Agnoloni per questa bellissima recensione de "Il mistero delle meraviglie scomparse" (marcos y marcos), che, con gesto originale, sceglie di leggere il libro come un racconto per adulti. Questa lettura "adulta" della fiaba mette in luce l'aspetto iniziatico del viaggio, come occasione di crescita per i bambini; ma anche, a ritroso, come invito a tornare alla fonte, all'origine dell'immaginazione, ai principi creativi e morali dell'infanzia. Questa recensione coglie anche i riferimenti - involontari, ma innegabili - alla più recente, pressante e irrisolta attualità.
Questo, che non è l’esordio, ma senza dubbio il libro finora più importante di Carlo Cuppini, narratore e poeta urbinate ma fiorentino di adozione, è proposto come un libro per bambini, ma di fatto è un’indagine e un percorso trasformativo rivolto anche ai lettori adulti. La storia ruota intorno a uno di quegli inciampi del destino che spesso segnano la transizione in un nuovo ordine di cose – più o meno come il tempo infausto in cui, negli ultimi diciotto mesi, ci siamo ritrovati a vivere (prima analogia significativa con il presente, per un’opera scritta prima della “pandemia”). E il fatto spiazzante è questo: i monumenti di Firenze sono spariti. Qualcuno, nello spazio di una notte, li ha presi e portati via – verranno poi ritrovati sparsi in varie parti del mondo, arrivati lì non si sa come.
Nello sconcerto generale, sia pur accompagnato da una certa misura di fatalismo nella popolazione (seconda analogia con i fatti che ben conosciamo), due fratellini, Filippo e Francesca, abituati a frequentare le rive dell’Arno, hanno la geniale intuizione – aiutata dall’improvvisa scomparsa di una statuetta-giocattolo, ghermita da una mano d’acqua notata da Filippo – che a rubare i monumenti sia stato proprio il fiume. E siccome la situazione, in città e oltre, si è fatta pesante, tanto che è stato chiuso tutto (terza analogia), e tra gli stati la tensione intorno ai monumenti rubati è andata alle stelle, i due, mentre i loro genitori indugiano davanti alla TV (quarta analogia), pensano bene di agire.
Aiutati da un archetipico vecchino munito di barca, risalgono l’Arno fino alla sorgente per negoziare con lui la restituzione dei monumenti e salvare la pace. E qui, se finora non fosse bastata una storia brillante e scritta con mano tanto lieve quanto profonda e tanto seria quanto brillantemente ironica, le cose si fanno veramente interessanti. Viene infatti fuori il suo aspetto più incisivo e carico di simbologie. Il viaggio dei bambini verso la sorgente del fiume non è solo un percorso iniziatico e un’esperienza educativa che fa di questo libro un gioiello di romanzo di formazione; è soprattutto una potente allusione alla necessità, per la psiche e lo spirito umano, di tornare alla Fonte, alla radice della scissione dal Sé, che spesso si annida proprio nei territori dell’infanzia, là dove il “gioco” è stato perduto e la passione che lo accompagnava è stata con esso smarrita – e, aggiungo, dove i summenzionati inciampi del destino sollecitano a prendere coscienza del punto di lacerazione e a ricucirlo, per ritrovare un’unità.
Davanti ai traumi collettivi e alle reazioni di paura, sconcerto, codardia e omologazione che ne conseguono (e ne sappiamo qualcosa), c’è solo una strada possibile per uscire dalla crisi, progredire e, così, crescere: trovare la nota dissonante, indagare e non chiudere gli occhi davanti a ciò che è evidente, ma che la propaganda dei media e del governo cerca di offuscare per perseguire altri scopi. Insomma, prescindere dagli altri, che siano ministri, giornalisti o semplici concittadini arresi e supini. Assumersi la responsabilità di un itinerario di autoconsapevolezza alla luce della verità dei fatti esterni e interiori. E agire non “a caso”, e nemmeno “troppo”, ma là dove e come serve. Non cadere nell’errore delle contrapposizioni dualistiche, che spesso giovano a chi persegue fini oscuri, ma cercare un’unità che non è improvvida compromissione – per evocare uno dei più importanti titoli di un maestro della narrativa italiana come Mario Pomilio –, ma l’adesione a un disegno interiore di chiarezza di coscienza, capace di riverberarsi sul mondo.
È questo che fanno Filippo e Francesca, i due piccoli protagonisti. E sempre questo fa il loro creatore, Carlo Cuppini, che con Il mistero delle meraviglie scomparse realizza una storia che possiede la principale qualità dei migliori libri: una densità filosofica che fa tutt’uno con la semplicità e la scorrevolezza delle forme.