Carlo Cuppini

sabato 23 aprile 2022

"C'è molto da fare" - sullo sciopero della fame

 Accettando l’invito di Davide Tutino e delle compagne e compagni di Resistenza Radicale, ho scritto un testo che racconta la mia scelta dello sciopero della fame, le motivazioni e le aspettative che l’hanno sostenuta, ed esprime le mie posizioni sulla fase politica, sociale, culturale e civile che stiamo attraversando.

Riporto di seguito alcuni estratti. Il testo integrale si può leggere qui:

https://resistenzaradicale.org/index.php/2022/04/21/ce-molto-da-fare-considerazioni-di-carlo-cuppini/#more-1338

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Il 14 febbraio ho intrapreso uno sciopero della fame integrale, della durata di otto giorni, per protestare contro il sistema di discriminazione e segregazione rappresentato da green pass e super green pass. 

Con Sergio Porta prima, e poi anche con altre donne e uomini che si sono ritrovati intorno a questa necessità fisica e morale di dare un segno di completo e definitivo dissenso, ho percorso questa strada; una strada che in forme diverse continua: tutti i lunedì, io e altre persone digiuniamo; e lo faremo fino a completa, reale rimozione di ogni forma di discriminazione e vessazione; cogliendo questa occasione ricorrente per svolgere riflessioni e tornare a indicare lo scandalo di un Paese che ha abbandonato la tradizione del liberalismo, di un governo che non esita ad aizzare la parte maggioritaria della popolazione contro una minoranza, minorenni compresi.

(…) 

Il 9 aprile siamo andati a Roma per manifestare il nostro totale dissenso e la nostra più grave preoccupazione per le modalità in cui è stata impostata la progressiva uscita dall’eccezionalità normativa dello stato di emergenza. Crediamo che questo sia il modo peggiore e più pericoloso per mettere fine (forse, parzialmente, provvisoriamente, soltanto finché “i dati lo consentono”?) a una deriva che ci ha allontanati drammaticamente dallo Stato di Diritto: perché il ritorno a una normalità – sottolineo parziale, pro tempore e a oggi non per tutti – appare come l’ennesima elargizione di cui essere grati, e non come il ripristino ovvio, inevitabile, imperdonabilmente tardivo, di una condizione giuridica e sociale preesistente. Crediamo che l’abolizione del green pass dovrebbe essere accompagnata da un moto di coscienza esteso, da una critica collettiva di quanto è successo, attraverso un dialogo interno alla Comunità che costringa anche i decisori alla dignità di una sobria e seria autocritica.

(…) 

La questione che si pone oggi con grande urgenza è l’eredità della gestione del covid. Su questo crediamo che ciascuno abbia voce in capitolo, perché si tratta della cosa pubblica, del bene comune, del futuro di tutti. Noi vogliamo un futuro condiviso e condivisibile, da costruire insieme, non imposto dall’alto con il continuo ricatto del “comandano i dati”. I dati epidemiologici sono il nuovo “spread”: misurazioni puramente quantitative che pretendono di avere un valore assoluto, soppiantando il diritto, la democrazia, la dignità dei valori espressi dalla Costituzione, e conferendo nei fatti un potere illimitato a una classe di tecnocrati che si autoaffermano come gli unici soggetti legittimati a governare le crisi del presente, in quanto titolari di un presunto know how. Una classe dirigente che – a guardare i risultati e gli effetti delle politiche attuate – non esito a definirla la peggiore di sempre – a prescindere dai colori dei partiti, anche perché quei colori oggi sono tutti mescolati in un grigio uniforme.

(…)

L’eredità del Covid si presenta oggi come un gravame terribile, una minaccia per lo Stato di Diritto, per la democrazia, per la convivenza civile, per il tessuto sociale. Un paradigma politico per cui i diritti possono essere dati, tolti, sospesi, rilasciati in parte, consegnati ad personam, sulla base di misurazioni biometriche, di giudizi morali, di certificazioni che non attestano nulla; poi rimodulati sulla base di criteri che cambiano ogni due mesi a colpi di decreti, distribuiti alla cittadinanza in modo totalmente arbitrario, chiamando in causa presunte “evidenze scientifiche” in cui l’evidenza è del tutto assente, e questa lacuna è colmata da una arroganza vaticinante che nulla ha a che vedere con il metodo scientifico e con il ruolo che le discipline scientifiche dovrebbero avere all’interno delle società democratiche. Questa è l’eredità aberrante: una eredità straordinariamente preziosa per chi voglia fondare il governo della cosa pubblica sulla prevaricazione, sull’interesse e sull’arbitrio.

(…)

Di fronte a un carro armato che è pronto a passare sopra a qualunque cosa, il lancio di un sasso non produce effetti; mentre spogliarsi, simbolicamente, metaforicamente, o anche fisicamente, e mettersi Persona disarmata contro questa brutalità, è l’unica cosa che potrebbe – forse – suscitare un sussulto nella coscienza di chi quel carro armato lo conduce; non è detto che accada, ma vale la pena tentare, a costo di assumersi un rischio. Non resta molto altro da fare. In ogni caso il gesto lascerà gli artefici della violenza soli e consapevoli di fronte alla propria violenza, non avendo questa la possibilità di trovare per se stessa una “giustificazione” nel rispecchiamento con un’altra forma di violenza contrapposta.

(…)

Il discorso d’odio, seminato perfino – incredibile a dirsi – da alcuni scienziati “scelti”, ha prodotto frutti avvelenati in termini di stigma sociale, discriminazione, delegittimazione, irrisione, derisione; un atteggiamento di una violenza inaudita, che non ha risparmiato nemmeno i ragazzini, nemmeno i bambini, gli adolescenti, che non hanno ricevuto alcuna tutela da parte dello Stato, delle figure di garanzia, delle istituzioni preposte proprio alla tutela dei minorenni.

Questa ferocia scatenata verso l’infanzia, suscitata dai rappresentanti delle istituzioni, fomentata dai media, condivisa o tollerata da gran parte della popolazione, è il punto più basso che un Paese civile potrebbe toccare. 

Non dimentichiamoci mai che cosa il green pass e il super green pass hanno significato – e ancora oggi, 21 aprile 2022, significano in molti contesti – per i minorenni: strappati per otto mesi alla vita sociale, estromessi tuttora dagli sport in cui riversano la loro passione da anni, esclusi dalle attività culturali, bloccati nell’accesso alle biblioteche, a quei mezzi pubblici che a volte sono necessari anche per andare a scuola, o a trovare un parente, un amico, un fidanzato o una fidanzata dall’altra parte della città.


Quando ripenseremo a tutto questo tra qualche anno, stenteremo a credere che sia accaduto davvero. E se invece non faremo fatica a crederlo, e anzi ci sembrerà un fatto del tutto normale, allora vorrà dire che tutto è andato a rotoli.


(…)

Oggi dobbiamo chiederci dove sta andando il nostro Paese, quale strada è stata segnata da scrupolosi conducenti mentre la società parlava soltanto di un virus; dobbiamo chiedercelo, discuterne insieme, parlare tutti con tutti, con una disponibilità tanto forte da distruggere gli steccati ideologici che sono stati eretti in questi due anni; restando miti, determinati, lucidi, liberi. Liberi, cercando di propagare questa libertà, insieme alla dignità, all’inclusione, all’indipendenza, all’autodeterminazione – virtù che, prima ancora di parlarne e di rivendicarle, dobbiamo praticare.


C’è molto da fare. Non bisogna perdersi d’animo, la strada è lunga, il compito è difficile, ma noi dobbiamo svolgerlo: per noi stessi, per i nostri figli, per le nostre comunità. Per il futuro che in ogni caso, quali che siano le nostre scelte e le nostre azioni – comprese le non scelte e le non azioni –, contribuiremo a edificare.

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