Carlo Cuppini

mercoledì 27 aprile 2022

"Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia" - il nuovo libro di Enrico Macioci

Enrico Macioci ci ha abituati a romanzi potenti, profondi, vestiti di una scrittura impeccabile e raffinata, capaci di toccare tematiche che, se soltanto sfiorate, possono far traballare la stabilità del nostro vivere quotidiano, sempre così distratto, così accomodato, intrappolato tra il mesto e il concitato.

Nei libri di Macioci ci sono una sapienza narrativa e una padronanza degli strumenti linguistici tali da stridere quasi, paradossalmente e in modo fecondo, con un “fuoco rimbaudiano” che sottostà al progetto, lo fa scaturire all’origine, lo sospinge in avanti, torna ad affiorare di tanto in tanto tra le righe in forma di ombra o cenere, a ricordare che le immagini figurative di una solidissima narrazione potrebbero sfarinarsi in un istante, davanti alla verità di un solo, ancestrale, urgente, violento verso iconoclasta. Verso di bestia. Verso di poeta.


Il Macioci poeta, nato proprio dai lapilli cadenti del vulcano-Rimbaud, per sua stessa confessione, è sempre lì nascosto nelle pieghe dei suoi libri, e dei suoi interventi critici; abita nelle anse di un probabile (e in effetti accettato) passato in metrica, o in quelle di un tempo laterale che tuttora trascorre, ma non si vede.


Ebbene, nel suo ultimo libro Macioci ci offre qualcosa che in parte è diverso e nuovo: c’è tutto il Macioci che conosciamo e amiamo, e che temiamo, anche; ma questo sta insieme a una asciuttezza – a partire dalla forma relativamente breve del racconto – che produce una altissima pressione dentro il testo, e innesca una sorta di fusione nucleare che porta tutti gli elementi sopra citati a essere una cosa sola, non divisibile.


Diciamo subito che Sfondate la porta ed entrate nella stanza buia (Terrarossa Edizioni) è un libro su Alfredo Rampi: l’“Alfredino” della straziante tragedia di Vermicino consumatasi in diretta televisiva nel giugno del 1981. E lo è fin dal titolo, che cita una frase pronunciata dal povero bambino nel momento in cui l’agonia in fondo al pozzo lo conduceva verso il territorio del delirio. Ma poi diciamo subito che questo libro non è un libro su Alfredino, se non per il titolo, e per un rumore di fondo, in cui però né il volto né la voce del bambino reale sono riconoscibili.


Macioci fa una scelta geniale - geniale non è la parola corretta, in realtà, perché fa pensare a un esibito compiacimento, qui del tutto assente; fa una scelta di estrema intelligenza narrativa, e di altrettanto estremo pudore morale. Lo scrittore decide di “staccare” dalla vicenda che vorrebbe trattare - ma che non vuole in alcun modo violare - una “pellicola letteraria”, un doppio del tutto immaginario, una vicenda seconda, insomma, di un altro bambino che in quegli stessi giorni scompare nel nulla, forse caduto anche lui in un baratro, in un buco nero del terreno, o della Storia, o della coscienza sociale, mentre nelle televisioni si svolge lo spettacolo a reti unificate della tragedia di Alfredino.


Macioci sprofonda così, e ci sprofonda, nella storia intima, splendida e dolorosa, di Francesco e Christian, amici per la pelle, anche loro cone Alfredo seienni, dove il primo rimane e il secondo scompare. E svolgendo questa storia Macioci ricama un’ode vibrante, profondamente autentica, all’infanzia, all’amicizia primordiale, ai segreti di quegli sguardi immaturi sul mondo degli adulti, sul mondo naturale, sul senso del fato, sugli accadimenti che fanno crescere in un istante, o anche invecchiare. 


La storia di Christian e di Francesco riverbera quella di Alfredo Rampi, certamente, ma in modo empatico e pudico. Del resto, si sa tutto di quella storia, si sa anche troppo. Non c’è bisogno di ripercorrerla quarant’anni dopo. Non c’è bisogno di aggiungere pornografia del dolore alla pornografia del dolore, privato e collettivo, che imperversa e dilaga oggi in tutti i mezzi di comunicazione - spesso allo scopo di formare nel pubblico una determinata reazione/opinione, e quindi avvalorare una determinata teoria generale su qualcosa.

In questo modo, della vicenda di Alfredo Rampi, nel libro di Macioci rimane un fantasma silenzioso, sfuggente e inquietante, che non coincide con gli strepiti che sentiamo uscire dagli altoparlanti dei teleschermi, e se ne sta rimpiattato in un angolo in ombra della casa; dietro una porta in una stanza buia; in fondo a un pozzo insondabile. E da lì ci osserva. E quello sguardo è una interrogazione. 


Le parole ricercate, le frasi dense, tanto asciutte quanto poetiche, che compongono questo piccolo libro perfetto (se mai potesse esistere una perfezione nella e della crisi), sviscerano il lascito culturale degli accadimenti di Vermicino, senza profanarlo o strumentalizzarli; attuano una forma di lungimiranza a posteriori, illuminando le traiettorie di una mutazione antropologica strisciante, già allora in corso, che in quel terribile fatto di cronaca ha trovato un perno ideale su cui ruotare e trovare una direzione definitiva – quella che conduce fino al tempo incomprensibile, compiutamente esondato, che viviamo. Un tempo in cui qualunque movimento interpretativo, esegetico, ermeneutico, dei fenomeni, dei fatti, della propria stessa esperienza, è un movimento verso i media e dai media. E dove forse noi non sappiamo nemmeno più cosa siamo, se non un susseguirsi di reazioni suscitate, proprie e altrui. 


Anche per questo, tornare a interrogarsi sull'infanzia – quel territorio dove esiste "il vero", come una cometa che attraversa indistintamente il reale e l'immaginario – e accettare di essere guardati dalla (propria) infanzia, è tanto scandaloso e urgente

PS: Notevole la cura grafica delle pubblicazioni TerraRossa, all'esterno e all'interno dei libri. Bella ed efficace la copertina di Francesco Dezio.


https://www.terrarossaedizioni.it/negozio/sfondate-la-porta-ed-entrate-nella-stanza-buia/


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