Carlo Cuppini

lunedì 16 maggio 2022

Tradimento, disconoscimento, abbandono, stupro dell’infanzia: la macchia indelebile del “modello Italia”

In due anni abbiamo scritto decine di lettere, appelli, petizioni, per sostenere che veniva fatto troppo contro l'infanzia, e che veniva fatto poco (o meglio, nulla) a tutela dei bambini, degli adolescenti e dei ragazzi. Come se queste persone piccole non avessero bisogni e diritti speciali; come se non fosse dovere degli adulti assumersi qualche rischio pur di assicurare loro una cura e un benessere speciali, come detta la legge, e prima ancora l'etica della responsabilità.

Pensando al lockdown senza deroghe per i bambini, alla chiusura della scuola fino a fine anno (caso unico in Europa), alla negazione degli spazi di socialità mentre in tutti gli altri contesti la vita riprendeva, alla colpevolizzazione portata avanti dai media, alla riapertura della scuola a settembre in forma di ospedale-prigione, per tutto il 2020 ho parlato di stupro dell'infanzia.

Poi, nel febbraio 2021, rivolgevo un appello al nuovo governo perché, come priorità assoluta, soccorresse l'infanzia, con misure risarcitorie per tutto ciò che nel corso dell'anno precedente era stato negato. E poiché la negazione della scuola è l'emblema del danno inferto ai bambini e ragazzi, ho lanciato l'idea, simile a quella proposta da altri, di un bonus di 10 euro per ogni giorno di scuola in presenza cancellato, da spendere in attività culturali, ricreative, di intrattenimento, di viaggio, di socializzazione: un'idea banale che voleva soltanto dimostrare che mettendo insieme coscienza, fantasia e fondi qualcosa si può fare, sempre; e che non fare è una precisa scelta, e una precisa responsabilità. Di fatto molte categorie produttive hanno ricevuto risarcimenti per il fatturato perduto; i bambini e i ragazzi non hanno ricevuto niente per il benessere, la serenità e le occasioni di sviluppo perdute, in un'età in cui niente torna due volte, e quello che è perduto è perduto. 

Invece il governo Draghi ha inizialmente insistito con la chiusura delle scuole; ha reso "eterno" e non scalabile l'obbligo di mascherina a scuola, sempre e comunque - una misura in contrasto con le indicazioni dell'OMS che già era stata censurata da numerosi pronunciamenti di tribunali totalmente ignorati, essendo formalmente la tempistica dei DPCM e DL a favore della mano libera del governo. 

Poi, quando già era documentato il tragico disagio dei ragazzi, è partita l'escalation: rappresentanti delle istituzioni e scienziati scelti hanno suscitato e fomentato l'odio sociale verso i non vaccinati, con uno hate speech che ha investito gli adolescenti tanto quanto gli adulti; infine ha creato il dispositivo di discriminazione e segregazione chiamato "certificazione verde", che ha escluso dalla vita sociale, da diritti basilari e da innumerevoli opportunità di benessere centinaia di migliaia di adolescenti e minorenni, costringendoli per mesi a una vita mutilata, umiliata e priva di dignità.

E adesso, con i 200 miliardi del PNRR che ci stanno piovendo addosso, per buona parte presi dalle tasche dei nostri figli tramite indebitamento, il governo annunciato un imponente taglio all'istruzione per i prossimi anni. 

Gli appelli di pedagogisti, psicologi, medici, intellettuali, genitori, sono caduti nel nulla. La garante per l'infanzia nazionale - contrariamente a molti suoi omologhi regionali - non ha detto una parola su tutto questo, se non per prendere una posizione pilatesca.

Lo sciopero della fame intrapreso dal sottoscritto e da molte persone in tutta Italia all’inizio del 2022 è stato solo l’ultimo tentativo di gridare un “no” assoluto, incondizionato e disperato alla tortura psicologica e sociale inflitta indistintamente ad adolescenti, giovani, adulti e anziani attraverso green pass e super green pass. 

Oggi viene diffuso uno studio di 90 pagine, promosso proprio dall'Autorità Garante per l'Infanzia e l'Adolescenza e svolto in collaborazione con l’Istituto Superiore di Sanità (“Pandemia, neurosviluppo e salute mentale di bambini e ragazzi”), che descrive una tragedia senza precedenti: un vero e proprio attentato alla salute mentale e allo sviluppo di una intera generazione, quella dei nostri figli.
Aumento di suicidi, autolesionismo, depressione, disperazione, sfiducia, disturbi alimentari, neurosviluppo compromesso... Danni cognitivi in alcuni casi non recuperabili, che costituiranno una tara per tutta la vita per milioni di ragazzini.
Tra le cause di questa catastrofe, lo studio indica le limitazioni della scuola e della vita sociale legate alle misure governative anticovid. Manca qualunque accenno a una riflessione sulla necessità e sulla proporzione di queste misure rispetto alla specifica fascia di popolazione di cui stiamo parlando, magari anche in relazione alle politiche – quasi sempre più contemperanti – attuate in altri Paesi; come manca qualunque autocritica su ciò che si sarebbe potuto fare per mitigare l'impatto delle misure adottate, alleviare l'angoscia e la sofferenza, favorire comunque un sano sviluppo, limitare i danni, e non è stato fatto.
Oltre agli aspetti psicologici, evolutivi, cognitivi e didattici, i rischi fisici a cui sono stati incoscientemente – nella negazione di qualcunque principio di precauzione – esposti i nostri figli, sono ancora un territorio ignoto. Di questo si dovrà parlare – per poi agire nelle sedi giudiziarie – quando ci saranno chiari e abbondanti dati ed evidenze.
Viene soltanto da chiedersi a questo punto: mentre questa situazione che oggi fotografate con tanto rigore veniva determinata, voi, preposti alla tutela dell’infanzia, esattamente dove eravate? Perché ratificavate o promuovevate o accettavate senza fiatare questo sistema che sovrappone attentato e omissione? Perché? E pensate davvero che in assenza di una impietosa autocritica da parte vostra noi potremo accordarvi la nostra fiducia?

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Qualche estratto dallo studio (che si può leggere qui:

“La pandemia da SARS-CoV-2 e le misure intraprese per il suo contenimento hanno avuto e, probabilmente continueranno ad avere, effetti considerevoli nella vita delle persone, specialmente quelle di minore età, con ripercussioni sul loro benessere psico-fisico.
Durante la fase pandemica acuta e in quelle successive, i diritti dei bambini e dei ragazzi - al gioco, allo sport, al tempo libero, allo sviluppo delle potenzialità, alla socializzazione - sono stati compressi e messi in secondo piano, trovando poco spazio nei provvedimenti emergenziali. Inoltre, la sospensione delle attività educative in presenza e la sostituzione delle attività di istruzione con la didattica a distanza durante la prima fase della pandemia e, successivamente, a intermittenza, nelle zone rosse e arancioni del Paese, nonché per le eventuali quarantene nei singoli istituti scolastici, hanno limitato le occasioni di apprendimento, di crescita, di scoperta e di confronto che avvengono a scuola.
In questo contesto, numerosi segnali d’allarme sono pervenuti dai presidi territoriali e ospedalieri di accoglienza e cura delle persone di minore età - pronto soccorso pediatrico, ambulatori, servizi sociali, servizi territoriali e ospedalieri di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza - i quali hanno registrato un incremento dei casi di disagio, di autolesionismo, di disturbi del comportamento alimentare e del sonno, dipendenze da alcol o droghe, senso di solitudine e ritiro sociale, soprattutto in riferimento agli adolescenti.”

"Tra i fattori di rischio esogeni che hanno impattato negativamente sul neurosviluppo e sulla salute mentale dei bambini e dei ragazzi, favorendo l’insorgenza di disagi, sono state evidenziate le limitazioni, come conseguenza delle misure governative finalizzate a contenere la diffusione del virus, inerenti la possibilità di confronto e socializzazione in presenza. In particolare, l’iniziale chiusura delle scuole e la sospensione delle attività didattiche in presenza, nonché i provvedimenti, su base locale, di apertura e chiusura “a singhiozzo” di classi o intere scuole (in base a disposizioni regionali come quelle della Regione Campania), ha costituito un fattore di rischio insieme alla non fruibilità degli spazi di aggregazione e socializzazione e all’impossibilità di sperimentarsi nei differenti contesti sociali, quali sport e altre forme di associazionismo giovanile."

“Le ragazze e i ragazzi, infatti, hanno percepito un mancato riconoscimento del loro contributo, in particolare non hanno sentito riconosciuta la fatica che stavano affrontando con la rinuncia alla scuola in presenza, e la loro partecipazione allo sforzo collettivo per garantire la sicurezza della comunità. Gli adulti sono stati visti come stanchi e fragili, talmente preoccupati da quanto stava succedendo, della portata degli impatti generati dalla pandemia e delle misure di contenimento, da prestare meno attenzione al mondo di bambini e ragazzi.
La scuola e gli insegnanti, con le richieste performanti sia in DAD sia in presenza, sono stati spesso considerati dagli studenti come “sorgente di malessere”, più della stessa pandemia. La scuola, spesso, ha fatto fatica a comprendere come la DAD non sia stata un privilegio per gli studenti, ma una privazione di un diritto fondamentale oltre che una grave limitazione della loro socialità. Anche gli operatori della scuola hanno rilevato l’emergere di una serie di disturbi nel contesto educativo, tra cui i disturbi dell’apprendimento, dell’attenzione, del linguaggio, soprattutto per i minori migranti o i bambini e ragazzi con background migratorio; sono stati osservati, inoltre, disturbi della condotta e della regolazione cognitiva, metacognitiva ed emotiva. Spesso i ragazzi, poco supportati dagli adulti, hanno mostrato fatica a elaborare, razionalizzare e contestualizzare quanto accaduto durante la pandemia (ad esempio, malattie e lutti). Oltre alle difficoltà di concentrazione, gli insegnanti hanno riscontrato ridotte abilità di pre-scrittura e pre-calcolo e una retrocessione delle competenze e autonomie già acquisite negli alunni della scuola primaria. L’aumento dei bisogni educativi speciali è stato registrato soprattutto negli studenti migranti. Inoltre, è stata rilevata l’insorgenza di fobie scolastiche, il rifiuto a tornare a scuola per la didattica in presenza fino all’instaurarsi di attacchi di panico. Se in alcuni casi è emerso il rifiuto della DAD, con conseguenze rilevanti sia sugli apprendimenti che sulle altre aree di sviluppo, in altri casi è emersa la tendenza a preferire la didattica a distanza (così come la modalità online finalizzata all’interazione sociale o alle relazioni affettive, piuttosto che gli incontri dal vivo). La paura del contagio, lo stato di frustrazione (anche per la continua interruzione dei percorsi scolastici e formativi), e più in generale l’incertezza rispetto al futuro (es. nella scelta della scuola superiore e dell’università) in assenza di strategie per la sua gestione, hanno generato negli alunni stati ansiosi e depressivi. Alcuni alunni hanno anche evidenziato un particolare fastidio nel sentire le “voci robotiche” durante la DAD. La sfiducia nei confronti del sistema scolastico sembra aver interessato sia gli alunni (ad esempio hanno trovato insostenibile fare lezione e studiare in spazi ristretti, poco riservati e con eccessiva esposizione), così come le famiglie (ad esempio sono aumentate le richieste di home- schooling).”

“Complessivamente, la tutela della salute mentale dei minori di età è prepotentemente emersa come un’urgenza immediata. I problemi connessi al neurosviluppo e alla salute mentale, che hanno ricevuto insufficienti risposte, rischiano di subire un processo di cronicizzazione di disagio mentale su vastissima scala.”

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