Carlo Cuppini

martedì 1 dicembre 2009

58 - "come una benedizione"

Questa estate, durante un viaggio in Palestina, sono stato a trovare i ragazzi dell'Operazione Colomba che stanno a At-Tuwani, un villaggio nel Sud della Cisgiordania, lontano da qualunque cosa. Stanno lì da cinque anni, dandosi il cambio ogni qualche mese, ma assicurando una presenza costante: questa è necessaria per limitare (non impedire) le violenze dei coloni israeliani contro le famiglie dei pastori e i loro bambini, frequenti vittime di imboscate mentre vanno alla scuola elementare. Questo luogo poverissimo, arido e martoriato, così intriso di una selvaggia spiritualità che immediatamente mi aveva fatto pensare al Vangelo di Pasolini, la gente semplice e generosa che vi abita, mi hanno toccato qualche corda del cuore. Chi ha seguito il mio racconto in tempo reale http:/viaggioinpalestina.blogspot.com lo sa. Mi arrivano di tanto in tanto notizie dai volontari internazionali di At-Tuwani. Purtroppo non sono mai buone notizie: la situazione sta sprofondando in una spirale di violenza a senso unico: dai coloni e dall'esercito israeliani, contro i pastori e i bambini di At-Tuwani. Voglio riportare questo racconto di Laura, una ragazza italiana. Perché ora il mio pensiero va anche a questi volontari, cristiani o laici che siano, oltre che alla gente di là. Che la voce di loro possa arrivare lontano, di loro che piantano semi di speranza nella polvere del mondo; e che con dita forti aprono le proprie palpebre per vedere, e per farci vedere.  
 
Ecco il racconto.
Colline a Sud di Hebron, Martedi 17 novembre, le 11 di mattina di una giornata fredda. La pioggia, come una benedizione, lava le pietre delle colline arse dal sole di una lunga estate mediorientale. Una famiglia cammina verso casa. Sono Fatima e Nasser, una giovane coppia con tre bambini. Ibrahim, 3 anni, trotterella dietro ai genitori: gli altri due, troppo piccoli per camminare, sono portati in braccio da mamma e papá. La coppia si ferma in cima alla salita per prendere fiato e guarda sconsolata verso Havat Ma’on, l’avamposto alla loro sinistra. Da quando i coloni
israeliani si sono installati su quella collina, piu’ di dieci anni fa, non possono piu’ usare la strada diretta, quella che in un quarto d‘ora di agevole cammino li avrebbe portati da At Tuwani a Tuba. Ora sono obbligati ad un giro tortuoso su sentieri sassosi per almeno quarantacinque minuti.
Improvvisamente due donne si avvicinano, gesticolando. Sono Sarah e Laura, due attiviste internazionali. Una parla un po’ di arabo: “Stamattina abbiamo visto dei coloni nell’area. Non prendete la strada corta, fate quella lunga”. Fatima sospira. La strada lunga é molto lunga e non é una strada. La aspettano due ore di cammino,con un bimbo in braccio, su e giu’ per ripide colline sulle tracce di greggi
e pastori. Le famiglia riparte, seguita dalle due volontarie, scende fra i campi
in attesa di essere arati e risale sulla collina successiva. Ibrahim é stanco e si ferma. Nasser approfitta della pausa per chiedere dove fossero esattamente i coloni. Quasi a rispondergli quattro uomini appaiono fra le rocce, ad una cinquantina di metri. La famiglia ricomincia a camminare, correre é impossibile. Sarah e Laura si fermano, iniziano a filmare. I coloni all’inizio esitano, sono disorientati. Poi iniziano a scendere, corrono verso la famiglia. Un quinto colono sale dalla valle e raggiunge il gruppo. I coloni circondano la famiglia e le internazionali, poi spintonano Nasser, che ancora stringe suo figlio in braccio. Ibrahim e’ terrorizzato, piange. Laura e Sarah si mettono in mezzo. I coloni le gettano a terra, vogliono le telecamere. Piovono colpi, calci e spintoni. La famiglia, nella confusione riesce ad allontanarsi. I coloni strappano le telecamere e finalmente se ne vanno. Dopo venti minuti li vediamo entrare nell’avamposto.  
Questa e’ la storia di quello che ho visto e vissuto in un giorno di ordinaria violenza nelle colline a Sud di Hebron. 

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