Carlo Cuppini

mercoledì 4 agosto 2010

Canzoni per un fiore di Palestina

1. 
Verde

Questa donna buttata in terra
aggrappata al tronco di un ulivo secolare
questa donna che ha finito di piangere
perché ha finito le lacrime
potrebbe essere la madre di mia madre
che scongiura la sua infanzia rurale
i suoi fantasmi assiepati nel pagliaio
non tornate.

I soldati erano dieci
hanno dato al suo uomo la scure
hanno detto: l’ulivo va tagliato
potrebbe servire al terrorista
per nascondere l’arsenale
per lanciare granate granaglie o grandi frittate
oggetti comunque pericolosi
per quelli che noi difendiamo.

Hanno detto: abbattilo vecchio
tu che sei vecchio e rugoso
come l’ulivo
e poi è il tuo giardino.

E l’uomo tirava accettate
su ogni istante del proprio passato
su ogni parte del proprio legame
con gli umani e con Dio.
Dio soltanto poteva
guardargli
nel catrame del cuore.

La donna ora dice: non morire
albero vecchio mio amato marito
sui tuoi rami dormono i morti
tra le radici aspettano i vivi
se crolli tu chi curerà il mio domani?
e noi -sradicati- dove andremo a morire?

I soldati ringraziarono
ripresero la scure e
buttate le cicche nel giardino
continuarono il giro.


2. 
Nero

Se esplode la finestra
esce la luce
come il sangue dal naso
in terza media
e l’ombra del sole piomba addosso
se l’elicottero che a mezzo cielo
si è frapposto
comincia a sparare.

La violenza sbiancata
che rimbalza sui muri alle dodici e ventitre
-così riporta il telegiornale-
e poi ti raggiunge e ti ustiona
la faccia le cosce il torace
ti fa l’ombra per terra
disegna lei stessa il confine
che non può violare.

E nell’ombra sta acquattato
come un puma in attesa di slancio
il tuo destino di vetro
insieme alla compagine dei morti
che adesso – infranti -
non hanno altro luogo all’infuori
dell’orma scura ai tuoi piedi
dove piangere i vivi.


3. 
Rosso

Tira la tenda
non vogliamo lo strepito
che la luce sia soffusa
pulviscolo isterico non deve entrare.

Tra il tuo corpo di lama
odoroso di temporale e pane
ed il mio che proteso su te
ha imparato la fame e adagiato
su te ha trovato
la pace nello spazio mancante
tra le nostre membrane
ustionate non si sente lo schianto
edificio che cade.

Tra te e me in questo nostro
stringerci del colore
del mattone bruciato
nella stanza accerchiata in quest’ora
d’assedio
c’è nostro figlio
che vuole sbocciare.


4. 
Bianco

Riposami gli occhi
canta una canzone
non saremo più soli
forse domani
forse già ora
andrà in pezzi la storia
lasciandoci incolumi
nella bolla del respiro
protetti dentro il cuore del boato
potremo così non sentire
le avulse profezie della strada
staremo qui fermi saremo
quasi umani figure
fatte uguali e non
sentiremo alcun
dolore


5. 
Niente

Crollata la spalla
la luce in controluce
il lago nottetempo straboccato
la gente evacuata dal sole
terremoto bombardato dai droni.

Non è la primavera che sale.
Questo inverno di furore ci riguarda
dalla pagina finale del bestiario.

Per l’igiene del tempo a venire
la lista dei morti alla mano
tacciamo.


Poesie pubblicate su www.absolutepoetry.org

domenica 1 agosto 2010

Viaggio in Anatolia

Da Istanbul alla Cappadocia, fino alle terre dei Kurdi, nell'estremo sud-est. Questo il vero obiettivo: scoprire cosa c'è, cosa accade, tra l'Eufrate e il Tigri, scendendo lungo l'ampia vallata della Mesopotamia, verso il confine con Siria, Iraq, Iran. Dove da 80 anni vive il più grande popolo che i soliti intrighi colonialisti di inizio '900 hanno lasciato senza una nazione (con il beneplacito del nazionalismo turco che si è potuto accaparrare l'alta mesopotamia).
Molti buoni amici incontrati, molte esperienze e informazioni da elaborare. Chiacchierate filosofiche e teologiche all'ombra delle rovine viventi della storia più antica dell'umanità.
Incrociando i segni concreti delle nostre radici - la giudaica, la greca, la cristiana - con la nostra eterna ombra, il nostro fatale "altro da sé": l'islam, fratello che rinneghiamo, di cui fingiamo di non comprendere più il linguaggio.
Prossimamente, qualche parola di più.