Carlo Cuppini

giovedì 23 ottobre 2014

parola di dio


per mia nonna, Giulia

vi consegno la fine del mondo
perché possiate farne romanzi
poesie tradizionali o d'avanguardia
teorie lungometraggi e profezie

vi impongo come ordine del giorno
l'origine del tempo e della vita umana
che potrete tranquillamente dare indietro
entro la dodicesima settimana

vi affido il traffico il guard-rail la corsia tripla
il tunnel con in fondo la promessa di schianto
perché nessuno deve restare indietro
nel rebus democratico delle lamiere

vi dedico i tempi moderni con tutti gli accessori del caso
perché possiate sentirvi sottilmente a disagio
pur essendovi del tutto acclimatati
nelle pieghe dell'agio

vi rendo ogni mattina l'anima
lo sguardo il respiro il battito 
perché qualcuno possa ancora tentare
il salto oltre il confine dell'umano

venerdì 10 ottobre 2014

Sul Medio Oriente


Gli efferati crimini dell'IS e la sua violentissima avanzata non ci impediscano di condurre un'analisi lucida della situazione, anzi ci diano occasione per una riflessione più ampia: ciò che sta accadendo in Medio Oriente, per opera non di un gruppetto di terroristi ma di un esercito composto da 30.000 uomini (a quanto si può leggere), è fondamentalmente l'unificazione dei territori abitati dagli arabi sunniti (non solo, ma soprattutto) sotto il vessillo di un unico stato. Peccato che sia un (aspirante, sedicente) stato contrassegnato da un'ideologia e una prassi aberrante, che nasce con le premesse e le prospettive peggiori possibili e che si consolida attraverso una violenza non dirò inaudita ma di certo agghiacciante e che scuote le coscienze: cosa di cui, peraltro, non ci si può stupire, se si abbia la pur vaga nozione della devastazione umana, sociale e morale che è stata recentemente perpetrata in quei territori, in larga parte grazie alle iniziative 'occidentali'. Come non rilevare, mentre mettiamo mano a un'altra guerra, che il progetto dell'IS ci indica paradossalmente l'unico concetto geopolitico di buon senso per il governo del Medio Oriente? Un unico stato arabo sunnita che prenda territori da molti degli stati attualmente esistenti, accanto a uno o più stati arabi sciiti, un unico stato kurdo, e - devo aggiungere - un unico stato bi-nazionale esteso su tutta la Palestina storica. Disfare quindi i confini creati ad arte un secolo fa per soddisfare gli interessi coloniali di Inghilterra e Francia in vista della fine dell'Impero Ottomano, con tutte le evoluzioni post-coloniali conseguenti. Solo mettendo in agenda questo progetto, o almeno esprimendo umilmente e ufficialmente questa riflessione (che è anche un'ammissione di colpa storica) un nostro intervento militare nella regione potrebbe non essere guardato con sospetto e dissenso. Solo in questo modo si potrebbe credere che l'obiettivo non sia fare, ancora, i nostri interessi economici alle spese di quella terra, ma di fermare i massacri e gli abusi, dell'IS e non solo, in Siria, in Iraq, in Palestina, in Israele, in Libano, in Turchia, in vista di un ripensamento generale - non certo semplice e non a tavolino, ma necessario! - della mappa delle identità nazionali e degli stati, delle quali identità questi ultimi dovrebbero essere espressione. La colpa storica che l'Occidente, nel disseppellire di nuovo l'ascia di guerra, dovrebbe emendare o ameno ammettere, è in realtà doppia: infatti la spartizione del Medio Oriente fatta con gli accordi segreti Sykes-Picot (1915-16, all'inizio della Grande Guerra) non è stata solo la negazione delle identità e della dignità dei popoli mediorientali – premessa di moltissime delle tragedie, non solo locali, a venire – ma è stata anche il tradimento della promessa politica (di buon senso, e che fa tornare all'inizio di questa riflessione) fatta dalla Gran Bretagna attraverso Sir Henry McMahon (Alto commissario britannico in Egitto) agli arabi: di poter formare uno stato arabo unico su tutti i territori interamente arabi del Medio Oriente, se si fossero schierati con gli Alleati, contro la testa dell'Impero Ottomano (la Turchia), nella Prima guerra mondiale, come avvenne.

venerdì 29 agosto 2014

Contraddizione

La mia mente è convintamente atea e razionalista; il mio cuore, o spirito, è profondamente rivolto al sacro e all'invisibile. Non credo che l'una abbia più ragione dell'altro, o viceversa, nel bilancio finale del senso dell'esistenza. Non aspiro alla sintesi, alla coerenza, all'integrità, non ho una visione olistica di me stesso, non posso raccontarmi in quattro parole. Mi va bene camminare sul valico di questa e di molte altre contraddizioni, coltivarle e agitarle. E che l'attrito tra ciò che è difforme faccia scintille.

venerdì 27 giugno 2014

Ritorno alla narrativa

La prolungata assenza dal blog (proprio quando avevo annunciato un'assiduità quasi quotidiana) è in parte dovuto a un non previsto ritorno alla letteratura. Covato e cercato per anni, ma non previsto in questo momento. Invece, approfittando di una decina di giorni di solitudine, con Ramona e Maia in trasferta a Venezia per lavoro, ho scritto un racconto di circa 20 pagine, intitolato provvisoriamente Il carico. Avevo un incipit forte e un nucleo di intuizioni, altrettanto forti ma vaghe e sfuggenti, che potevano condurre il racconto a destinazione. Ma non è stato facile. Il lavoro, durato cinque sere consecutive, mi ha indotto la ripresa di alcune riflessioni sul mio rapporto con la narrativa.
Il luogo interiore dell'ispirazione e della creazione è molto prossimo alla dimora dei fantasmi e dei demoni. Per poter scrivere è necessario chiudersi a chiave, soli, dentro quella stanza. E lì è molto facile essere attaccati dai demoni. La parte oscura vuole dire la sua, cercherà di prendere in mano la direzione del lavoro, spingerlo verso un vicolo cieco, distruggerlo, e possibilmente distruggere, almeno un po', almeno temporaneamente e virtualmente, anche l'autore. Devo calarmi in quelle zone per poter scrivere, non c'è alternativa. L'attività poetica è aprire le porte dell'inconscio, e da quelle porte può uscire di tutto. In più il corpo della scrittura, morbido e modellabile, come quello del sogno, si presta a essere infestato dall'oscurità. La scrittura che mi si confà non prevede la creazione di una struttura prima che esista lo svolgimento concreto della scrittura: questo offre gioco facile ai demoni che vogliono tirare giù tutto, nei bassifondi dove possono fare ciò che vogliono. La creazione della struttura metterebbe al riparo da questi attacchi, ma renderebbe il corpo della scrittura morto, chiudendo il rubinetto alla linfa che deve circolare. Così si deve scrivere, si deve guidare il flusso (di cui si è autori e responsabili solo al 50%) e allo stesso tempo si deve lottare con i demoni, per salvare il progetto, e se stessi. Dopo la seconda sera stavo per gettare la spugna: mi sembrava di essere totalmente in balia dei demoni, avevo paura di uscire da quella 'stanza' e andare a letto, come se i demoni potessero venire fuori con me, e infestare realmente la casa. La terza sera è stata cruciale: aperto e disarmato, perché il flusso circolasse, e allo steso tempo armato per dirigere il racconto fuori dalla palude del solipsismo, dove i demoni lo attiravano per terrorizzarmi e dissuadermi. Non so come, l'ho spuntata. Ho fatto fluire le parole, alimentandole con le intuizioni dei giorni prima, che riuscivo ad attualizzare, rendendole più forti dell'azione dei demoni. Sono riuscito a mantenere questo equilibrio fino alla fine, quando più quando meno. Quando ho sentito che riuscivo a mantenere il controllo del timone, ho cercato di scrivere il più in fretta possibile, per mandare la barchetta il più avanti possibile finché le condizioni erano favorevoli. Ma a un certo punto la stanchezza imponeva di staccare, forzare sarebbe stato peggio. Procedendo a tappe forzate sono arrivato in fondo alla stesura, con soddisfazione, stupore, e soprattutto sollievo. Avevo salvato quasi tutto quello che mi era volato nei luoghi dell'ispirazione a livello di intuizioni, visioni e sensazioni, quasi tutto, a parte forse nell'ultimissima parte, dove la volontà di concludere senza essere tradito proprio all'ultimo tuffo mi ha reso precipitoso. Ora il discorso della creazione è chiuso. Quello che c'è c'è. Adesso c'è da fare un lungo lavorio di revisione, processo artigianale, di sensibilità e intelligenza, dove i demoni non hanno alcun potere di interferenza.
Un'altra riflessione è la seguente: da giovanissimi (prima di un figlio) non si può che fare poesia, intesa come dispositivo verbale-gestuale per compiere dei raid nella realtà in presa diretta, degli assalti per manomettere i binari e fare andare in direzioni inattese i treni del senso, producendo una serie di appunti di una guerriglia politica. Dopo, non può che esserci la narrativa, meditazione profonda sulla vita la morte la memoria la tenuta e il tempo.

venerdì 23 maggio 2014

Segreto

Nel tempo della nona sigaretta, guardando le lucciole che sfrecciano da una parte all'altra del giardino, sotto un cielo di stelle tornato limpido, perfeziono un pensiero: in questa epoca l'atto rivoluzionario è non condividere, mantenere il segreto il più a lungo possibile dentro si sé, coltivando la vita interiore, la quale è la più grave minaccia per l'ordine costituito, e per questo è proibita (cfr. Il mondo nuovo di Aldous Huxley). Il ciliegio è insidiato da insetti e parassiti. Il corbezzolo sempreverde, dopo avere fruttificato, ha completamente rinnovato le sue foglie; l'acquazzone di oggi l'ha aiutato a liberarsi delle vecchie, deboli e ingiallite; ora tutto è fresco e giovane.

martedì 20 maggio 2014

Il nemico

Da ieri sul muro di pietra della casa oltre il confine del nostro giardino è tutto un brulicare di insetti, api o vespe, non so. Stanno a circa dieci metri di altezza, quindi tre o quattro metri sopra le nostre teste, dato che il giardino è rialzato, e non è facile capire di che animali si tratti. Sembrerebbero api però, dalla stazza, dalle dimensioni, dal corpo apparentemente scuro e peloso. Dal fatto che non sono minimamente interessate al cibo nostro. Ieri sono comparse e hanno iniziato a progettare un alveare in un buco tra le pietre. Stamattina avevano già fatto un bel lavoro.

In tarda mattinata è arrivato un messaggio della babysitter, che terrorizzata si era barricata in casa: "non si può stare in giardino, bisogna fare qualcosa".

Ci siamo documentati, io e Ramona, per capire il da farsi. Né a me né a lei piace l'idea di chiamare i pompieri per bruciare il favo - se si tratta veramente di api. Con tutto quello che si legge sulla prossima, probabile estinzione delle api. Con tutto il bene che ci fanno. Stasera avevano quasi finito il lavoro, per quel che possiamo capire osservandole a distanza. Prima del tramonto si sono chetate, il ronzio si è placato e poi interrotto, la nuvola di insetti volanti intorno al buco è sparita. Tutte a dormire dentro l'alveare, suppongo.

Le vespe sono fastidiose, velenose, pericolose; sono attratte dal cibo. Ma le api? Se ne stanno per conto loro, hanno i loro giri, impollinano i fiori, non credo che vengano a dare fastidio a noi umani. Sono un pericolo per Maia? Non ne sono sicuro. Non credo. Non crediamo.

Abbiamo letto, tra i vari consigli sul web, che la cosa migliore è lasciare l'alveare dove si trova, salvo verificare che le api non risultino troppo invadenti. Penso che faremo così.

Chi ha il privilegio di potere esercitare una violenza indiscriminata dovrebbe chiedersi chi è il nemico da distruggere, cos'è, in che senso lo è; se, in che modo e perché fare uso della forza distruttrice. E se non ce ne fosse bisogno, al di là degli isterici allarmismi?  In questa casa si mangia sempre un sacco di miele.

La sigaretta di questa sera mi ha permesso di notare che le lucciole hanno una luce più intensa, oggi, e sono più spregiudicate, volano anche a molti metri daterà, fino all'altezza del tetto della casa davanti. Forse è per via della temperatura che si sta alzando.

Oggi la notizia della condanna a quattro mesi di carcere per il ragazzo che ha detto "pecorella" a un carabiniere in tenuta antisommossa durante una manifestazione no-tav mi ha scosso, mi ha indotto a scrivere il post qui sotto.

Pecorella

Questo è un Paese dove la parola "pecorella" – detta a un carabiniere nel contesto di una manifestazione su un tema controverso, caratterizzata da un aspro scontro ideologico, politico e fisico – può essere considerata un insulto punibile con una condanna a 4 mesi di carcere.

Questo è un Paese dove persone incolpevoli e inermi possono morire in stato di arresto – per strada o in questura o in ospedale o in cella – e i cui cadaveri vengono trovati con il sedere spaccato, i testicoli schiacciati, il torace sfondato, ferite e lividi ovunque.


Questo è un Paese dove il capo della polizia al tempo del G8 di Genova, Gianni De Gennaro, si è salvato per un soffio, e con molte ambiguità, dalle condanne che hanno decimato i vertici della polizia, e poi è stato promosso da tutti i successivi governi, diventando capo del Dipartimento per le informazioni sulla sicurezza con Berlusconi, poi Commissario speciale per l'emergenza rifiuti in Campania con Prodi, poi Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Monti, per finire alla presidenza del più importante gruppo industriale di Stato, Finmeccanica, con Letta.

Questo è un Paese dove i poliziotti che hanno ammazzato un ragazzo, Federico Aldrovandi - condannati in via definitiva a 3 anni e 6 mesi di carcere - portano ancora la divisa e fanno ancora lo stesso mestiere.

Questo è un Paese dove decine o centinaia di poliziotti dedicano una lunga standing ovation ai poliziotti-assassini di cui sopra.

Questo è un Paese dove un sindacato di poliziotti organizza una manifestazione sotto le finestre dell'ufficio dove lavora la madre del ragazzo assassinato di cui sopra, per esprimere solidarietà ai poliziotti-assassini di cui sopra.

Questo è un Paese dove il capo di un sindacato di poliziotti afferma che se in Italia venisse introdotto il reato di tortura - come richiesto dall'Onu e dall'Unione Europea per allinearsi agli altri Paesi civili - i poliziotti italiani incrocerebbero le braccia e smetterebbero di lavorare per protesta.

Questo è un Paese dove il migliore tra i recenti capi della polizia, l'unico che ha avuto il coraggio di chiedere scusa per i crimini commessi dai poliziotti e cercare una pacificazione con il popolo italiano, aveva il nome più grottesco per il ruolo che ricopriva: Manganelli. E il fatto che prima di morire abbia scritto un romanzo - bello o brutto che sia - rivela che anche un capo della polizia può avere una vita interiore, e quindi una morale, per fortuna.

Questo è un Paese dove il gesto simbolico di una ragazza che stampa un bacio sulla visiera del casco di un poliziotto durante una turbolenta manifestazione può essere oggetto di denuncia per "violenza sessuale" da parte del segretario generale del sindacato di polizia Coisp, Franco Maccari.

***

In questo Paese io so da che parte stare. Lo so bene dal 2001 - anche se là fisicamente non c'ero - e nei 13 anni che sono seguiti non c'è stata alcuna circostanza che mi inducesse a cambiare parte o idea.

In questo Paese è necessario stare da una parte, perché due parti ci sono, anche se così non dovrebbe essere: a creare la frattura eversiva sono state e sono le forze dell'ordine ("alcuni membri delle forze dell'ordine", bisognerebbe dire, certo, ma in assenza di una chiara, netta e definitiva presa di posizione da parte dei vertici della polizia, non possiamo che dire: "le forze dell'ordine") che hanno dichiarato guerra alla gente, alla 'loro' gente, agli italiani, e continuano a portare avanti con metodo questa guerra, mese dopo mese, anno dopo anno, abuso dopo abuso, violenza dopo violenza, omicidio dopo omicidio. Due all'anno, di media, i morti ammazzati, se non sbaglio. L'ho già scritto.

In questo Paese io esprimo solidarietà a Marco Bruno, condannato a 4 mesi di carcere, non per avere tirato sassi, petardi, bombe, non per avere divelto un reticolato, sfondato vetrine, fatto minacce, bloccato il traffico, dato schiaffi: per avere detto "pecorella" a un carabiniere.

In questo Paese io mi unisco al gesto di Marco Bruno e dico – anzi, ancora peggio: scrivo – "pecorella" all'indirizzo di Stefano Fadda, il carabiniere insultato che non ha voluto/saputo/potuto evitare questo processo a danni del buon senso collettivo prima ancora che di Marco Bruno.

Dico e scrivo "pecorella" a quei poliziotti che hanno ammazzato e sono rimasti al loro posto.
Dico e scrivo "pecorella" ai loro superiori che non li hanno sbattuti fuori dall'Arma.
Dico e scrivo "pecorella" ai moltissimi chi li hanno applauditi.
Dico e scrivo "pecorella" a tutti i poliziotti e i carabinieri che non prendono apertamente posizione contro la degenerazione fascista, violenta, autoritaria, antidemocratica e criminale che riguarda alcuni settori delle forze dell'ordine.
Dico e scrivo "pecorella" a chi è rimasto impunito solo perché non sono stati fatti i nomi e perché ci si rifiuta di mettere la targhetta identificativa sulla divisa.
Dico e scrivo "pecorella" a chi, pur sapendoli bene, non ha voluto fare i nomi e ha fermando il corso della giustizia.
Dico e scrivo "pecorella" a chi non vuole che sia inserito il reato di tortura nel codice penale italiano.
Dico e scrivo "pecorella" a chi nel 2001 a Genova ha creato prove false per criminalizzare chi in realtà era la vittima.
Dico e scrivo "pecorella" a chi ha depistato le indagini per salvare se stesso e i propri colleghi o superiori o sottoposti.
Dico e scrivo "pecorella" a chi si rifiuta di rispondere alle domande dei cittadini allibiti e spaventati.
Dico e scrivo "pecorella" al giudice Gian Luca Robaldo, che ha firmato una sentenza esemplare, finalizzata a intimidire il dissenso anche nelle sue espressioni più innocue e pacifiche.

***

A non tutti i poliziotti e i carabinieri voglio dire e scrivere "pecorella".
Non a chi fa onestamente, coraggiosamente, a volte eroicamente, il proprio lavoro.
Non a chi si è confrontato con le critiche, aprendosi al dialogo, dando risposte.
Non a chi ha partecipato alle proiezioni del film Non lavate questo sangue, per esempio, per discutere, da poliziotti-cittadini, con altri cittadini, di quello che era successo a Genova, di come era potuto accadere.

Non voglio dire "pecorella" a chi pecorella non è, e fa il poliziotto o il carabiniere senza andare dietro al gregge, ragionando con la sua testa, valutando cosa è bene e cosa è male, sapendo che gli ordini – soprattutto se riguardano l'uso legale della violenza – devono essere valutati con il metro del proprio giudizio morale e che al limite possono anche essere messi in discussione.

A tutti gli altri dico "pecorella". Ma dovrei dire "pecorella con le fauci di lupo" (e chissà se anche "lupo", detto a un carabiniere, sarebbe giudicato un insulto punibile con 4 mesi di carcere dal giudice Robaldo... così, sommati, diventerebbero 8). Perché queste persone sono pecore nel rispettare gli ordini dei superiori, nell'andare dietro a ciò che fanno i colleghi - tra i quali si possono facilmente nascondere , nel non assumere le responsabilità del proprio agire, e sono lupi con i più deboli, con chi non è dotato di una divisa e di una pistola d'ordinanza, con chi è un povero disgraziato e presumibilmente non potrà pagarsi un buon avvocato, con chi è colpevole esclusivamente di trovarsi nel posto sbagliato nel momento sbagliato. Lupi mannari, per l'esattezza, perché i lupi non sbranano i propri simili.

A queste "pecorelle-lupo mannaro" avrei voglia di dire ben altro, per la verità; ma, visto il precedente di Marco Bruno, un "vigliacco" potrebbe costarmi 4 o 5 anni di carcere e un "infame bastardo" forse l'ergastolo. E con una vita da vivere, una compagna e una figlia da accudire e da amare, un lavoro da svolgere, molti progetti da portare avanti, un orto da curare, è meglio essere prudenti. Meglio fare come Marco Bruno, quindi, e limitarsi a un "pecorella" - "pecorella-lupo mannaro", tutt'al più - rischiando al massimo qualche mese di carcere.

domenica 18 maggio 2014

Satellite

Una notte quasi limpida, molte stelle nel cielo, un'ampia porzione di cielo, da est a ovest, una lucciola pulsa nel prato, accanto alla mucca di gomma di Maia, stamattina i boccioli della rosa erano tutti chiusi, stasera uno si è aperto, si vede il giallo gonfio dei petali, domattina sarà spalancata. Un pianeta rosso, molto luminoso, sopra la testa, probabilmente Giove, o Marte, non sono sicuro, un pezzo del grande carro proprio allo zenit, e un'altra costellazione, familiare, che un tempo avrei saputo riconoscere, ma oggi non più. Un aereo da ovest a est, subito dopo un satellite artificiale da est a ovest. Molti anni fa, quando ho scoperto che si potevano distinguere a occhio nudo i satelliti artificiali, e ho imparato a riconoscerli, mi emozionavo a seguire la loro traiettoria luminosa nel nero, finché all'improvviso non sparivano, entrando nella grande invisibile ombra gettata dalla terra nel cosmo. Questo satellite invece sparisce dietro i tetti senza essere scomparso, proprio perché va a ovest verso il sole tramontato da poco. Forse un satellite spia, o più probabilmente di qualche di qualche telefonia, il che è lo stesso. Ma non importa. Forse, una volta scomparso alla mia vista, dietro l'orizzonte, si schianterà con un altro satellite, di un'altra nazione, e i rottami cadranno nell'oceano atlantico o tra le dune di un deserto senza nome. Questo è ciò che accade durante il tempo della quarta sigaretta, da quando, quattro giorni fa, ho ricominciato a fumare.

martedì 29 aprile 2014

Polizia

E all'improvviso foglie gialle e rosse, che si staccano e cadono sul prato; foglie della siepe, piantata da poco, del corbezzolo che sta lì, tutto storto come in un dipinto giapponese, da molti anni, con i suoi fruttini tondi e spinosi che stanno già prendendo il colorito rosso, dell'oleandro. Anche il ciliegio mi sembra che abbia le foglie un po' grinzose. Forse hanno avuto poca acqua? O troppa? No, sicuramente poca, perché è stato caldo nei giorni scorsi. O forse è un loro ciclo che si svolge anche se nell'immaginario di noi urbani in primavera c'è solo il verde? Nel dubbio, irroro tutto il giardino con abbondante acqua. Ramona mi dice che fai, guarda che non ê necessaria, le piante soffrono anche con troppa acqua. Mi fermo assillato dal dubbio. Ho i rimorso. Per di più, dopo poco si mette a piovere. Piovere sul bagnato. E le foglie rosse si staccano. Non è facile prendersi cura delle cose vive. Non facile neanche prendersi cura delle cose morte, come il pavimento, l'intonaco delle pareti, un muretto, la strada, una città. Figuriamoci le vive. Ho attaccato al legno del pergolato delle rondini di legno colorato che la zia e la nonna hanno regalato a Maia. Ci stanno bene. Intanto qui sono arrivate le rondini vere. E oggi, mentre ero in ufficio, ho notato che anche in città ci sono le rondini, non i rondoni, quelle con la pancia bianca che tutti dicono ormai non ci sono più nelle città. Ma forse non le avrei mai notate in città se prima non le avessi notate nel giardino.
Oggi facevo redazione di un testo sulle vicende del PD, con prefazione del governatore della Toscana Enrico Rossi. Rossi parla di Furore di Steinbeck, di come sia stato censurato dal fascismo nella versione italiana, in particolare nel monologo di Tom Joad alla madre ripreso nella canzone di Bruce Springsteen. Tom dice dovunque ci sarà un ragazzo picchiato dalla polizia... Dovunque.... Dovunque... Tu mi troverai lì. Il primo dovunque è dedicato alla polizia. Rossi dice che il discorso di Tom potrebbe essere il manifesto della nuova sinistra. Ma qui ci sono ragazzi e uomini che continuano a morire in stato di arresto, o in carcere, nelle mani, sotto le mani, della polizia. L'ho già scritto nel post del 25 aprile. Ma lo devo riscrivere, perché è di oggi la notizia che al congresso del SAP, secondo sindacato di polizia italiana per importanza, i poliziotti che hanno ammazzato di botte Aldrovandi, e che sono stati condannati in via definitiva per questo omicidio, sono stati accolti con una standing ovation di 5 minuti. Ora, c'è qualcosa che non quadra: non siamo negli annou di piombo, non ci sono ideologie sovversive diffuse tra la gente... Come mai la polizia continua ad ammazzare la gente? Vorrei dire a qualcuno, al capo della polizia, che non è rassicurante sapere che la polizia di stato è in guerra - una i guerra unilaterale - contro il popolo. Tempo fa avrei voluto scrivere a Manganelli, allora capo della polizia dopo De Gennaro, perché aveva cercato di far riconquistare alla polizia la fiducia della gente e perché aveva un cognome da fumetto di Walt Disney - per essere il capo della polizia. Ma poi è morto. De Gennaro invece è vivo, fino a poco tempo fa era a capo di Finmeccanica, ce lo aveva messo Prodi o chi per lui. Insomma, era stato promosso, dopo le vicende del G8, in cui lui era in qualche modo il regista e il responsabile. E a lui non mi viene voglia di scrivere, perché mi fa paura. Una paura cane. Mi immagino che se gli scrivessi una lettera gentile, con molte domande non retoriche, potrei trovarmelo alla porta una sera, con un bel bavero tirato su, e mi ammazzerebbe di botte. Ci vorrebbe poco, con uno come me, non avrebbe gran che da divertirsi. Questa è la sensazione che mi incute. Insomma, è molto seccante pensare che, se le cose non cambiano, tra qualche anno dovrò insegnare a mia figlia, a tutti i bambini, che quando passa una volante, o si incrocia un poliziotto la sera, in una zona un po' appartata, bisogna passare alla larga, tirare dritto, nascondere la testa guardando in basso e dirsi speriamo che non sia il mio turno.

sabato 26 aprile 2014

Liberazione

Continuiamo a trovare ogni mattina lunghi getti del kiwi spezzati per terra, le foglie mosce e quasi già senza vita. Fortunatamente la crescita della pianta è più rapida di questa metodica opera di distruzione, e il pergolato si sta coprendo di verde. All'inizio ho incolpato i gatti della vicina (avevo letto che il kiwi ha un odore irresistibile per i gatti, che distruggono ogni pianta non ancora abbastanza robusta), ma sembra che mi sbagliassi; quindi ho puntato il dito contro i merli; ma il ritrovamento di questa mattina sembra contraddire anche questa ipotesi: un getto trovato per terra, piuttosto robusto, appariva chiaramente, meticolosamente 'segato'. Comincio a sospettare delle lumache... Di notte si manifestano a decine, lunghe fino a 15 centimetri, con o senza casa; di giorno non si sa dove stiano; se la notte una lumaca sta su una foglia del kiwi, la mattina la foglia sarà bella e spolpata, e piena di filamenti luccicanti. È stata una buona idea tagliare l'erba il giorno della Liberazione.


Una mattina non mi sono svegliato
E non ho lasciato le orme sul prato.

Una mattina non mi sono svegliato
E per il 25 aprile il presidente
Onorava i due soldati italiani
che hanno ucciso i pescatori indiani.

Una mattina non mi sono svegliato
E il vecchio miliardario
Condannato a sette anni, poi altri quattro, e altri tre
Era ancora un politico influente e rispettato

Una mattina non mi sono svegliato
E avevo ottanta euro in più in busta paga
Mentre il paese deragliava
E l'asilo costava cinquecento euro al mese

Una mattina non mi sono svegliato
E gli sbirri condannati per avere
Ammazzato di botte un ragazzo
Erano ancora in servizio e arrestavano

Una mattina non mi sono svegliato
E anche un ex calciatore era morto
Misteriosamente in stato di arresto
Mentre era nelle mani dello stato

Una mattina non mi sono svegliato
E il senato non era più composto da eletti
E dopo poco anche la camera
Tanto la democrazia non funzionava uguale

Una mattina non mi sono svegliato
E l'Italia era il paese della mala legale
E chi lavorava era un fesso
Ma chi perdeva il lavoro si ammazzava

Una mattina c'era un sole splendente
E sarebbe stato bellissimo uscire
Correre liberi e gridare forte
Ma io non mi sono svegliato.



giovedì 24 aprile 2014

Cielo

Alzo gli occhi e vedo distintamente l'orsa maggiore. La disposizione degli edifici permette di vedere da qui tutta l'eclitti da dove corrono i pianeti, la luna e il sole. Adesso c'è un pianeta rosso quasi allo zenit, e uno più giallastro schiacciato verso l'orizzonte, a ovest. L'aria è fresca e umida, l'erba è bagnata e lucente, in camicia fa quasi freddo, ma va bene così. Grosse lumache sul cotto e sui vasi, come ogni notte. Altri getti di kiwi pendono spezzati senza più energia. Non resta che staccarli dalla pianta e buttarli nel secchio. Inizialmente davo la colpa ai gatti della vicina, che saltano la siepe e vengono nel nostro giardino. Ma forse mi sbagliavo: devono essere i merli, che si posano dovunque capiti, in ogni posto rialzato o sospeso, e i nuovi rami del kiwi non sono ancora abbastanza robusti da reggere il loro peso, i loro salti.
Tra le varie notizie impressionanti della giornata, quella che più mi ha colpito, come credo molti, è la croce dedicata a Wojtyla - enorme, eretta in un luogo solitario sui monti - che, spezzandosi, ha ammazzato un ventenne. A tre giorni dalla canonizzazione di Wojtyla. Se uno crede ai miracoli (e avere fatto miracoli è requisito fondamentale per essere dichiarati santi) questo fatto andrebbe inteso come un anti miracolo. Tragico, e increscioso. Che c'entra ammazzare un povero ragazzo in gita con l'oratorio, tre giorni prima di diventare santo? Ma poi, perché i santi? Credo che ai tempi di Francesco (il santo) non esistesse il concetto di santità, ma solo quello di beatitudine, che era una condizione, un modo di vivere e non uno status pre o post mortem. Nelle prime rappresentazioni di Francesco che riceve le stimmate, si vede sulle sue mani, sui suoi piedi, sul costato, crescono escrescenze di carne. Coerentemente con il primo, più autentico racconto della sua vita. In seguito si prese a raffigurare il cherubino che spara "raggi" misteriosi, tipo laser, che fora mani piedi e costato del santo. C'è una differenza abissale: la beatitudine è prodotta dal corpo, quasi uno sconvolgimento psicosomatico derivante da una modalità di vita sperimentale, che forzi i limiti della specie umana, come fece Francesco; la santità invece viene sparata da Dio o chi per lui, l'uomo è passivo nel ricevere le stimmate-buchi, il santo non è un uomo ma un supereroe eletto. Il santo non è uno di noi, è un'entità da pregare da stampare sui santini, da raffigurare in chiesa. È tutto fuorché un modello, perché c'è una cesura metafisica, incomprensibile e incolmabile tra il suo stato e il nostro. La tragedia di questo povero ragazzo mi fa pensare che non abbiamo bisogno di santi più di quanto abbiamo bisogno di Batman, ma di una vita beata, plausibilmente beata - cioè folle, gioiosa e libera - questo sì. 

mercoledì 23 aprile 2014

Musica

Prima il kiwi era una pianta enorme, una foresta che invadeva mezzo giardino. Era tre piante, per l'esattezza, un maschio e due femmine, perché il kiwi è una pianta che ha un sesso, e per fare i frutti sono necessari entrambi. Quando siamo arrivati abbiamo fatto fare una potatura radicale, e sono rimasti solo pochi sterpi, pochi stecchi maschili e femminili che sbucavano dal terreno. Così com'erano, li abbiamo buttati su un piccolo pergolato, ancorati alle assi di legno con dei cordini. Oggi, dopo un mese, quegli stecchi hanno buttato nuovi getti, nuovi rami - nuove liane, dato che il kiwi è una liana - che hanno raggiunto già un metro di lunghezza. Le foglie sono grandi come mani. E' tutto un rigoglio verso il cielo, un mare verde con le onde a forma di rami. Da un solo getto sono nati anche dei piccoli pallini, che cresceranno e diventeranno frutti. Prima della potatura abbiamo raccolto duecento kiwi; pensavamo che per qualche anno, dopo il taglio, non avremmo goduto dei suoi frutti; invece, se i merli li risparmieranno - e così i gatti della vicina - il prossimo inverno potremo raccogliere otto kiwi, che probabilmente Maia apprezzerà, come non ha potuto fare quest'anno. La notte è splendida, il silenzio, imperfetto e accogliente, invita a restare all'aperto, ad ascoltare, a fare niente, a fumare.
Marco Parente mi ha dato una grande gioia utilizzando un mio testo poetico per una sua canzone, "Amleto", nell'album-progetto con Umberto Fiori "BettiBarsantini". Marco Parente è il migliore cantautore-poeta in circolazione. Ma il punto non è che lui sia il miglior cantautore-poeta in circolazione: è piuttosto che le sue canzoni sono tra le più belle e poetiche che si possano ascoltare. Abbiamo passato un po' di tempo, stasera, a bere e chiacchierare in piazza Santo Spirito. Abbiamo convenuto che i tempi sono strani, non viene neanche più da arrabbiarsi, non si sa contro cosa si debba resistere. C'è una tenuità nella ossa, che non si sa da dove venga - dall'età personale, dai tempi - siamo tutti restii, noi che ci siamo sbilanciati e impegnati, a gettarci nella lotta come un tempo, come pochi anni fa. C'è un male, un'omologazione, che arriva molto in là, pericolosamente in là, e che lascia attoniti a domandare chi siamo, con chi siamo, contro cosa scagliarsi. "Ma non ho bisogno di prese di posizione, di dichiarazioni," ha detto Marco, "se ho fatto bene una cosa, se l'ho difesa fino in fondo, basta accostarla a un'altra cosa, per vedere che sono diverse, che in me c'è un obiezione, un dissenso che non ha neanche bisogno di essere esplicitato". La canzone dice "Amleto / facciamolo adesso l'errore più grande / facciamolo per una volta / con convinzione / per quel che ci riguarda andremo a rotoli / ma c'è caso che il mondo uscito fuori dai cardini / ricominci a girare". Qui finiva la poesia. E Marco ha aggiunto: "Imparare a sbagliare sbagliare davvero / Ecco, ora vedo il mare / Ecco, ora sento il mare / Ecco, ora siamo il mare".

martedì 22 aprile 2014

Pioggia

A est e a ovest il cielo era azzurro, con qualche striscia di nuvola. La luce del tramonto, intensa, ambrata, passava orizzontale e andava a illuminare i pini marittimi in lontananza. Scendeva una pioggia leggera, che quasi non si capiva da dove potesse venire, con tutto quell'azzurro, tutta quella luce della fine del giorno. Ramona stava allestendo il giardino verticale, riempiva di terra le tasche appese al muro sotto la tettoia. Maia, con la testa rovesciata all'indietro, guardava i merli, indaffaratissimi a volare dai buchi nel muro alle antenne sui tetti ai rami degli alberi nel giardino della vicina; e molto più in alto le rondini, che finita la pioggia tornavano a popolare il cielo per il breve tempo prima dell'oscurità. Anche stasera non è stato possibile tagliare l'erba. Forse domani, se la giornata sarà abbastanza calda, e senza pioggia.
L'altra notte ho sognato la mummia di Lenin. Andavo a vederla, perché era stata restaurata. Più che restaurata era stata concimata e ricucita. Stava a mollo dentro una tomba semi scoperchiata, immersa in un liquido che la faceva oscillare. Le membra sembravano morbide, prive del rigor mortis o della rigidità degli imbalsamanti; merito, evidentemente, del restauro e del concime. Inoltre, apprendevo, le sue viscere erano state ricomposte dentro il ventre, e ricucite; mentre prima stavano tutte di fuori, da molti decenni. Passarci sopra, camminando sul lastrone di marmo appena scostato per permettere la vista, era inquietante; ma anche rassicurante, per certi versi misteriosi. Tutto sommato, era appena stato restaurato, e le membra oscillavano morbidamente seguendo le correnti.

domenica 20 aprile 2014

Militanza del fiore - un ciclo nuovo

Il ciliegio ha perso i suoi fiori bianchi ed è già carico di piccoli frutti verdi che crescono in fretta. Non credevo che appena un mese dopo essere stato interrato il giovanissimo albero, alto come un bambino, avrebbe fruttificato. L'erba nuova comincia a essere lunga e aspetta il primo taglio, che deve essere fatto alto. Ma bisogna che passino alcuni giorni consecutivi senza pioggia e senza umidità, perché il terreno sia ben asciutto e sufficientemente duro - altrimenti l'erba si strappa. Per questo è stato finora impossibile procedere.
Dal muro di pietra della casa di fronte è tutto un via vai di merli, giovani e adulti: i più piccoli sono nati un mese fa e hanno un piumaggio striato che li distingue dai più vecchi. Vanno e vengono nel giardino, strappano le foglie più tenere dalle piante aromatiche - la menta, la salvia, soprattutto - e tornano nei loro nidi nelle fessure del muro. Dice che fosse il muro di una chiesa antica; il finestrone murato a sesto acuto parrebbe attestarlo.
Giorno di Pasqua. Un progetto. Ascoltare, raccontare, scrivere, da questo luogo nuovo, intimo ma aperto, spazio di azione e di concentrazione, il giardino. Tutto qui è nato da poco. Tutto qui si sta formando in questi istanti, e continuerà a farlo, crescendo. Tutto qui è preso in un suo ciclo, legato a una norma logica e inafferrabile. Bisogna stargli dietro, non si può perdere un passaggio. Misterioso bilico tra vita activa a vita contemplativa.
Maia, da parte sua, è sporta sull'orlo di imparare a parlare, imparare a muoversi, imparare a volare. Lanciarsi nel mondo, verso tutto. Sembra apprezzare il giardino, con slancio accoglie ogni novità, ogni movimento. Con gridolini di approvazione e partecipazione ogni mattina osserva le trasformazioni maturate durante la notte. "Ghe!" è l'approvazione, "Ba!" la stupefazione. Non servono molte altre parole per commentare il mondo, per il momento.
Un nuovo ciclo di militanza del fiore. Una breve nota, giornaliera o quasi. Un resoconto dal fazzoletto di terra che è il giardino. Guardando dentro, intorno e fuori. Perché, come sempre, tutto fluisce in un unico corpo, soffiato in un unico respiro. Dire amore, dire politica, dire giardino. Cercare le parole per dirlo. Cercare il modo di esistere, quello buono, che non lasci rimpianti.
Cose terribili e sinistre nel discorso ufficiale che ci avvolge, nel linguaggio dei media. Scrittori e cantati disciolti nello show business, pronti a tutto; guerre, fisiche e immateriali, lontano e vicino a noi; deportazione nel nulla, il solito meccanismo, sempre.
Ma anche: cose sublimi e impalpabili nei cammini degli uomini e delle donne; splendore sui sentieri nascosti e resistenti che possiamo scoprire, ci è dato di percorrere.
L'argine al male sta sempre su un piano diverso dal male. E' un linguaggio incommensurabile, che scompare in controluce.
Raccontare di ciò che giunge all'orecchio, e dentro il cuore, da questo luogo-argine.

martedì 8 aprile 2014

La più bianca


A proposito del referendum
Ci sono rimasto male
Adesso non posso contare
Sul disastro nucleare

Stare al mondo sarà dunque la norma
Fare le scale un dovere morale
Come mantenersi in forma
Stare chiuso in una scatola

Tra i fili d'erba c'è un rospo
La A sia la più bianca delle vocali
All'inizio di tutto c'e il novero dei morti
Mi siedo a tavola con il mostro

Il bello del male

Il bello del male
È che c'è n'è per tutti
Il bello cammina per strada
E tutti lo guardano
Perché c'è n'è per tutti
E non perde occasione 
E riluce sui denti
Come ogni altra cosa
Alla chiamata alle armi 
Dopo non manca nessuno

mercoledì 19 marzo 2014

stregato

resto stregato
dall'assenza di coda
nell'essere umano

da questo deriva
il dimalinpeggio
e ogni altro male