Carlo Cuppini

martedì 28 settembre 2021

Marco Villoresi: "Io mi sento cittadino più di prima"

Pubblico, con profondo coinvolgimento e adesione morale, il testo integrale di una nuova lettera di Marco Villoresi, professore di Letteratura Italiana all'Università di Firenze, sospeso dall'insegnamento e dallo stipendio in conseguenza della sua scelta di non esibire la Certificazione Verde. Anche la sua prima lettera, con cui il 16 settembre annunciava la sua decisione, è pubblicata su questo blog con l'autorizzazione dell'autore.

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Firenze, 26 settembre 2021

Carissimi.

Rivolgo le seguenti riflessioni a tutti i liberi cittadini che hanno a cuore la salute della democrazia e della società italiana, ma scrivo direttamente a voi, compagni e colleghi della comunità universitaria, che state lottando, con grande impegno e lucida intelligenza, contro il cosiddetto Green Pass. Sento il bisogno di scrivervi per dimostrare pubblicamente il mio totale apprezzamento per quello che state facendo. In particolare, per la vostra volontà di denuncia delle pericolose derive che investono i campi del diritto e dell’etica, della scienza e della comunicazione, condizionando sempre più pesantemente il nostro vivere civile. Tutto questo si concretizza nel vostro NO, che faccio mio, che facciamo nostro, così limpido e così genuino, il NO alla discriminazione tra cittadini, alle limitazioni delle libertà dell’individuo, alla riduzione della nostra umanità ad un mero codice a barre. 

Molti di voi, credo, sanno qual è stata la mia scelta. Come avevo annunciato in una lettera del 16 settembre alla Rettrice dell’Università di Firenze, poi finita sui giornali senza che io muovessi un dito e a mia insaputa - È la stampa, bellezza! -, mi sono rifiutato di esibire il lasciapassare. Il 22 settembre, giorno d’inizio del mio corso di Letteratura Italiana, la mia scelta è stata burocraticamente registrata. Le conseguenze le conoscete tutti: sono a casa senza stipendio. Dura Lex, sed Lex. Che, difatti, serenamente accetto. E altrettanto serenamente, condividendo il mio stesso destino, la sta accettando il collega Stefano Leoni, vicedirettore del Conservatorio di Torino.

Sembrerà paradossale ai più, ma questa scelta non la sto vivendo - permettetemi di rifarmi ad un’autorevole definizione - da cittadino di serie B. Tutt’altro, direi. Sono cose note, del resto: il passaggio dalla parola all’atto - quando l’atto è ben meditato e consapevole - ha sempre una funzione liberatoria. In questo momento, io mi sento cittadino più di prima. Un libero cittadino italiano che accetta le conseguenze di una sua libera scelta. D’altronde, come ho risposto ai molti - ai sorprendentemente molti - che mi hanno voluto mostrare vicinanza e stima, ho solo scritto quello che pensavo. E ho solo fatto quello che ritenevo necessario. Tutto qui.

Ma non è certo per parlarvi di me e di quello che sto vivendo, che vi scrivo. Vi scrivo, invece, per provare ad immaginare - provando a immaginarlo insieme a voi - cosa potrebbe essere fatto di pratico e di incisivo nelle giornate che ci separano dal 15 ottobre. Allorquando, è noto, l’utilizzo del lasciapassare - un unicum fra le democrazie d’Europa, ricordiamolo sempre - verrà esteso a tutti gli ambiti lavorativi. Una data che ritroveremo senz’altro nei libri di storia. Ma dubito, come tutti voi, che sarà una data di cui il nostro paese potrà andar fiero.       

Vengo al dunque, partendo da una cosa che penso di aver capito di questo reo tempo che ci tocca vivere. E che forse voi stessi, come e meglio di me, avrete con grande pena percepito, giorno dopo giorno, sempre più distintamente. Molti liberi cittadini si sentono soli e smarriti. E, soprattutto, molti lavoratori si sentono traditi. Traditi dalle istituzioni, dai partiti, dai sindacati. Solitudine, smarrimento, sensazione di esser stati traditi. Credo siano sentimenti diffusi e trasversali. Non si tratta di giovani o anziani, di persone appartenenti a specifiche categorie sociali e culturali, a quello o quell’altro schieramento politico. Né, tantomeno, si tratta semplicemente di chi, oggi come ieri, è più o meno favorevole a certe restrizioni o imposizioni, o a certe scelte sanitarie anziché altre. 

Ebbene, che cosa possiamo fare per combattere questo generale senso di disagio e di asfissia che colpisce molti italiani, anzi che cosa dobbiamo necessariamente fare noi che lavoriamo nell’Università? Comincerei proprio dall’Università, dalla nostra realtà professionale. Dicendo che il civile, pacifico e umanissimo rifiuto del lasciapassare deve andare di pari passo con la serena pretesa di vivere e di lavorare in un’Università libera, aperta, inclusiva. Questo significa cambiare molti dei paradigmi oggi in vigore, alcuni dei quali surrettiziamente consolidati in tempo di pandemia. Dobbiamo far presente con chiarezza ciò che NON vogliamo. Non vogliamo l’Università asservita al potere politico-economico, l’Università dei burocrati e dei lacchè, dei tornelli e dei QR Code, del pensiero unico e del sapere profilato. L’Università deve tornare ad essere, in ogni disciplina, il campo di ricerca permanente di quelle verità che non possono mai coincidere con la Verità. Sono le sole verità, lo sappiamo bene, che il libero pensiero scientifico può accettare: le verità soggette a costante revisione, sempre criticabili e fallibili, sempre reversibili e falsificabili. Questo credo oggi sia davvero indispensabile, per ritrovare il gusto di una sana dialettica senza censure e mettere un argine a quella spudorata trasformazione della scienza in scientismo a cui stiamo assistendo nell’ultimo anno e mezzo. Lo dobbiamo, innanzi tutto, ai nostri studenti. Che potranno contare anche e soprattutto su questo costante esercizio critico per restare sempre dei liberi cittadini, senza mai trasformarsi in docili sudditi.

In questi giorni che ci separano dal 15 ottobre, tuttavia, occorrerà trovare concretamente il modo per mostrare che noi docenti siamo vicini non solo ai nostri studenti – e, in particolare, a quelli non osservanti, a cui viene impedito il libero accesso alle lezioni, alle biblioteche, ai laboratori. Noi dovremo mostrare di essere solidali e vicini anche a quei cittadini soli, smarriti, traditi di cui parlavo prima, smentendo una volta di più coloro che hanno volgarmente insinuato che ci muoviamo soltanto per spirito di corporazione.  

Non c’è bisogno che ve lo dica: io posso liberamente esporre la mia idea di Università, come ho fatto, ma non ho nessuna autorevolezza, né tantomeno diritto di suggerire che cosa fare alla singola persona per opporsi alla vergognosa estensione del lasciapassare. Anche perché, oltre ad essere scelte molto intime, sono scelte che possono mettere in gioco aspetti materici della vita di tutti i giorni. Lo avrete capito, però, e certo non posso negare che alle libere scelte individuali - alle scelte fatte in scienza e coscienza che precipitano nel reale - riconosco una forza e un credito speciale. E persino, come dicevo poc’anzi, un valore terapeutico. 

Il vostro gruppo, che è il mio gruppo, è frutto di queste scelte individuali. Ora sappiamo che siamo tutti dalla stessa parte, la parte che ci sembra giusta. E non importa se siamo pochi o se siamo tanti. Avendo ben chiaro il comune obiettivo, ognuno di noi nei prossimi giorni continuerà a fare liberamente quello che riterrà opportuno. Mi permetto, però, di fare una considerazione elementare, sempre rispettando le idee, le sensibilità e le esigenze di ciascuno. Il 15 ottobre, ne converrete, è una linea di confine: se non ci sarà un forte segnale di civile e serena resistenza, dal giorno dopo le discussioni sul lasciapassare saranno per davvero solo sterili discussioni accademiche.

Nessuno può essere chiamato a fare ciò che liberamente non vuole fare. E nessuno meglio di noi lo sa, dato che è anche per questo che stiamo lottando. Credo, però, a una cosa molto semplice: se alcuni di voi, ovvero se alcuni dei professori firmatari dell’appello contro il cosiddetto Green Pass, per qualche giorno evitassero di esibire il lasciapassare, ecco, io credo che sarebbe il modo migliore per mettere in luce una forza pacifica e pronta a lavorare per una società più libera, informata e consapevole. D’altronde, sulla base delle notizie che stanno circolando, non è difficile immaginare che il 15 ottobre quel gesto di civile e trasparente disobbedienza lo faranno operai, artigiani, impiegati e persino poliziotti. Non importa quanti, sarà quel che sarà. Ma io voglio anche immaginare che a fianco di questi cittadini e lavoratori ci saranno dei professori universitari. E il solo immaginarlo, credetemi, mi dà gioia e salute.

Con stima e amicizia, 

Marco Villoresi




1 commento:

  1. Ho letto con attenzione e provato subito un senso di grande stima per il professore e per la sua scelta coraggiosa quanto sincera. Ancora possiamo sperare nell'onesta del pensiero libero di figure come queste che non sono disposte a svendere la propria dignità. Sono dei fari nell'oscurantismo di un potere che rintanato nelle mura del Palazzo resta avvinghiato ad un ruolo per paura di perderlo. Avanti così!!!

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