Carlo Cuppini

mercoledì 15 dicembre 2021

We are all humans (lo stato delle cose, e un libro di Emanuela Nava)

23 luglio… 6 agosto… 16 ottobre… 15 dicembre. Per ora siamo qui.

Il mio pensiero e la mia vicinanza stasera vanno agli amici, e ai figli degli amici, che oggi vengono privati di qualcosa, qualcosa di più - del lavoro, dei mezzi di sostentamento in alcuni casi - pur essendo documentatamente sani. Piccoli, enormi drammi privati che non si vedono in prima serata, non si leggono sul giornale. La loro potrebbe essere una scelta discutibile; potrebbe risultare perfino sbagliata, rischiosa e irresponsabile, per loro stessi e per gli altri. Non voglio entrare nel merito: è irrilevante. Voglio dire che ho in mente molti comportamenti privati che possono essere intesi come rischiosi, sbagliati e irresponsabili, e che, visti nella loro dimensione collettiva, determinano un enorme rischio e un immenso costo sociale.
Ho smesso di mangiare carne dieci anni fa per non fare parte di una filiera responsabile per il 15-20% (secondo alcuni, tutto considerato, fino al 50%) della produzione di particolato, il quale causa la morte precoce di 60-70.000 persone all’anno in Italia. E per non infliggere sofferenze inconcepibili a milioni di altri animali, spesso mammiferi. E per non ratificare un’idea di mondo che strutturalmente deve affamare centinaia di milioni di persone, e bambini, per riservare le risorse naturali al soddisfacimento degli appetiti incontenibili di pochi.
Sono sempre stato convinto della mia scelta e l’ho portata addosso come un manifesto politico di sobrietà, equità e autodisciplina . Ma non ho mai biasimato chi faceva una scelta diversa dalla mia. Mai ho pensato che chi, facendo scelte legittime, si rendeva corresponsabile di guasti immani, dovesse avere meno diritti di me. Più facile piuttosto che sia stato deriso dalle stesse persone che oggi vomitano veleno sugli irresponsabili non vaccinati (e ieri lo vomitavano sui runner) invocando la loro esclusione dalla vita sociale: quelli della responsabilità a comando, del moralismo a corrente alterna.
Oggi non spendo altre parole. Mi limito a mostrare questo libro scritto da Emanuela Nava, illustrato da Simona Mulazzani. Lo faccio per i contenuti che esprime; e per la stima, la riconoscenza e l’affetto verso chi lo ha scritto. 
Siamo tutti umani. Molto difficile è restarlo, quando il vento è contrario.

domenica 12 dicembre 2021

"L'abete nel cerchio" di Enrico Macioci, poesie in fondo alla classe

Enrico Macioci è un narratore di razza, autore di romanzi stilisticamente vividi e coinvolgenti e tematicamente profondi. L’ultimo, Tommaso e l’algebra del destino (Sem, 2020), sembra una prefigurazione metaforica del tragico abbandono dell’infanzia a cui abbiamo assistito nei due anni di pandemia. Enrico è anche un acuto e coraggioso osservatore della realtà e del sistema della comunicazione (impossibile ormai scindere i due termini), capace di legare a un vasto universo di riferimenti culturali i fatti che riguardano tutti, restituendo profondità abissale al nostro presente schiacciato e assolutista.

Grazie a questo libro (L'abete nel cerchio, Marco Saya Edizioni, 2017) lo scopro poeta.
Da lettore, trovo nelle sue poesie dei “dispositivi liturgici” che dispongono la mente – sfidandola – a una meditazione laica, paradossale, accesa, implacabile. Non vigile assopimento nel nulla, ma immobile combattimento spirituale immerso nel divenire.
Una poesia di immagini talvolta ermetiche (nel senso di poesia ermetica), post-romantiche (pensando alla poesia visionaria e panica francese a partire da Rimbaud), che accendono contrasti vertiginosi, senza desiderio di pacificazione, al più di accettazione.
C’è spesso Dio, un Dio con la maiuscola. Figura letteraria o vero interlocutore spirituale? Non lo sappiamo, e non ha importanza. È un perno essenziale intorno a cui gira il discorso con se stesso e con le manifestazioni naturali ed esistenziali del Cosmo, del Tempo e del Destino. La figura dell'ultima speranza: quella di una riemersione dal lago, di una rivoluzione.
La prefazione di Marco Guzzi ci fa pensare che queste poesie potrebbe essere maturate nella vicinanza spirituale o culturale con la proposta che il noto poeta-filosofo-attivista porta avanti da anni.
È una poesia che non esita a dire "Io", in barba alla spersonalizzazione delle avanguardie poetiche novecentesche (a cui spesso, da poeta, io stesso mi impicco, tallonato dal mostro del linguaggio, divoratore dell'ombra gettata dal pronome personale). Ma è un Io che, nello stesso movimento di darsi, ambisce a superarsi: spiritualmente, paesaggisticamente, linguisticamente.
E forse si manifesta soltanto per porre in essere il tentativo di questo superamento.
Io è un altro, come ebbe a dire Rimbaud. Anche Dio è altro. Tutto è altro. E in questa alterità ogni connessione saltata e saltante potrebbe miracolosamente, fortunosamente, risultare ristabilita. Come per un insperato errore di sistema. O incappando casualmente nella "maglia rotta nella rete" (proprio "In limine" di Montale è citato in un testo).
In questa alterità da abitare e parlare, forse un solo posto ci è riservato: quello dei “cattivi”, “in fondo alla classe”.







venerdì 10 dicembre 2021

Isla Calamidad, un piccolo capolavoro di illustrazione

Una decina d'anni fa avevo lasciato Simone Spellucci che collaborava con la facoltà di Architettura, si interessava di ecoballe e di cultura underground, faceva il grafico, faceva l'orto, faceva il miele. Progettava passeggiate, era un sognatore. Se ho fatto il Cammino di Santiago e la mia vita è cambiata, nel 2008, è in gran parte colpa sua e dei suoi racconti. Poi a un certo punto prende e va a vivere in Spagna. Si mette a studiare serigrafia e altre tecniche di stampa. Ma che, vuole fare l'artista? Alla fine si presenta con un piccolo capolavoro, scritto da Amina Pallarés, pubblicato da Tres Tigres Tristes. E questo è quanto.