Carlo Cuppini

giovedì 26 settembre 2024

I piccoli profughi che non accoglieremo nelle nostre scuole

Da due anni in tante classi italiane sono stati accolti bambini e bambine, e ragazzi, ucraini scappati dalla guerra. Chiunque abbia figli o conosca bambini che vanno a scuola ne ha avuto esperienza diretta. È stato ed è un doveroso gesto di civiltà e di umanità, che parla di un Paese che conosce il dovere della solidarietà internazionale e che crede nella possibilità concreta dell'integrazione. 
Penso anche che per i bambini e i ragazzi italiani questa sia un'occasione di apertura, di arricchimento e di conoscenza, come sempre è l'incontro, al netto delle difficoltà pratiche (la lingua, le differenze di abitudini, la necessità di mediatori e figure di sostegno...) che possono porsi inizialmente. Conoscenza della guerra, anche, della sua realtà, dei suoi effetti devastanti, del suo orrore.
Cercando un po' di dati, per comprendere il fenomeno al di là della mia personale percezione diretta, leggo che i minorenni, bambini e ragazzi, accolti in Italia come rifugiati a partire dall'aggressione russa del febbraio 2022 sono 38.000, di cui 27.000 sono iscritti nelle scuole.
Un altro dato che accosterei è quello, brutale, dei bambini e ragazzi uccisi nel corso della guerra: il bilancio dell'ONU dello scorso giugno parlava di 600 bambini uccisi e 1400 feriti, oltre ovviamente a "immensi danni fisici, psicologici ed emotivi".

A fronte di questo, è impossibile per me non pensare ai bambini e ai ragazzi di Gaza, e ora del Libano, che NON sono stati accolti in Italia come rifugiati, e non lo saranno, che NON sono entrati nelle classi delle scuole italiane, che i nostri figli NON avranno l'opportunità di conoscere, con i loro racconti, i loro traumi, le loro menomazioni, la loro bellezza e la loro ricchezza.
Sempre secondo l'ONU a Gaza sono stati uccisi dalle bombe israeliane almeno 16.000 tra bambini e ragazzi. 
Riporta ANSA:
"Un numero estremamente elevato di bambini a Gaza continua ad essere ucciso, mutilato, ferito, disperso, sfollato, orfano e vittima di fame, malnutrizione e malattie" è stato sottolineato.
Inoltre, il Comitato ha espresso grave preoccupazione "per l'impunità di cui godono le forze armate e di sicurezza responsabili della morte e del ferimento di minori e per la mancanza di informazioni sul numero di indagini, accuse e condanne relative a tali casi dal 7 ottobre 2023".
Il Comitato ha anche denunciato gli arresti arbitrari e la detenzione prolungata di un gran numero di bambini palestinesi da parte delle forze israeliane, il più delle volte senza accusa, processo, accesso a rappresentanza legale o contatti con i familiari". L'organizzazione esorta "a porre immediatamente fine alla detenzione arbitraria e amministrativa dei bambini, a rilasciare tutti i bambini palestinesi che sono stati detenuti arbitrariamente e ad abolire il sistema istituzionalizzato di detenzione e l'uso della tortura e dei maltrattamenti contro di loro in tutte le fasi del processo giudiziario"

Quanto al Libano, nel primo giorno di bombardamenti, lunedì scorso, sono stati uccisi 50 bambini, e continuano a morirne. 
Scrive Unicef:
"Innumerevoli altri bambini sono in pericolo, esposti ad attacchi, sfollati dalle loro case e senza poter usufruire al sistema sanitario sovraccarico e sotto organico. (...) Le scuole oggi sono state chiuse in tutto il paese, lasciando i bambini a casa impauriti. Coloro che si prendono cura dei bambini sono preoccupati per l’incertezza della situazione. Questa paura non può essere sottovalutata, poiché i bombardamenti e i raid aerei continuano e aumentano ogni giorno."

venerdì 6 settembre 2024

"Il figlio peggiore", di Peter D’Angelo e Fabio Valle

Come in un thriller convenzionale, arrivati al termine di Il figlio peggiore – il romanzo di Peter D’Angelo e Fabio Valle uscito per Fandango Libri – tutte le domande che la storia ha aperto trovano una risposta. In questo caso, però, sono le stesse risposte a far nascere un ulteriore e più grave interrogativo: dove finisce l’opera di fantasia e dove comincia la ricostruzione storica?

Entrambi gli autori sono giornalisti d’inchiesta. Di Valle, per mia ignoranza, non so dire niente di più. Di D’Angelo, avendo seguito il suo lavoro su "Il Fatto quotidiano” negli ultimi anni, posso dire che è un giornalista rigoroso, coraggioso e interessato alle verità, specie quelle non palesi. Questi dovrebbero essere attributi base del giornalista, requisiti minimi, per così dire, e pertanto non andrebbero neanche citati. Ma non è così in un Paese - l’Italia - che ristagna in una zona grigia della classifica sulla libertà di stampa, non solo a causa delle tendenze illiberali dei governi di destra e delle costanti intimidazioni malavitose, ma anche per via dell’autocensura che i giornalisti s’impongono per non scontentare il padrone, o per non mettersi contro il sentire comune (il quale, a sua volta, si determina compatto e intollerante quando c’è sostanziale unanimità sui media). Lavorando su temi sanitari negli anni della pandemia, Peter D’Angelo ha svolto un lavoro egregio, tenendosi alla larga tanto dalla retorica e dai tabù dell’area filogovernativa, quanto dalle parole d’ordine e dalla controretorica degli antigovernativi. In altre parole, ha fatto seriamente il lavoro di giornalista, non dimenticando che questo costituisce il quarto potere della democrazia.


Il figlio peggiore racconta le indagini del giornalista romano Carlo, personaggio di fantasia, sulla diffusione delle droghe in Italia. L’esito dell’inchiesta si può rivelare qui senza paura di rovinare la lettura, perché non è su questo che è costruita la tensione narrativa. Anzi, la risposta è scritta già nell’epigrafe: attraverso l’operazione Blue Moon, all’inizio degli anni Settanta, lo Stato Italiano ha avviato e gestito, inizialmente in modo pressoché monopolistico, la diffusione della morfina e dell’eroina nel territorio, immettendone quantità imponenti a prezzi stracciati, allo scopo di contaminare e portare all’autodistruzione le diverse anime della contestazione.


Dicendo “lo Stato Italiano”, secondo la ricostruzione fornita da questo romanzo che sappiamo essere basato sulla lettura di carte processuali, va inteso lo Stato nella sua forma più ufficiale – con riunioni svoltesi nelle sedi ministeriali, e non in oscuri scantinati, con il coinvolgimento di parlamentari, segretari di partito, generali, membri dell’intelligence USA, servizi segreti, manovalanza neofascista, caporedattori di testate nazionali – e non una serie di mele marce, i cosiddetti “pezzi dello Stato”, o i cosiddetti “servizi deviati”, parole magiche con cui solitamente si libera da ogni responsabilità lo Stato nel suo insieme, e ogni sua singola istituzione.

La trama del libro sarebbe coinvolgente anche se si trattasse solo di un romanzo di fantasia; ci si affezionerebbe ugualmente ai personaggi – si compatirebbe, in particolare, la parabola tragica del protagonista. Ma la portata cruciale delle verità storiche che vengono toccate spinge in secondo piano le riflessioni che si potrebbero fare sul piano puramente narrativo dell’opera.


In questo senso, la lettura lascia dietro di sé un’altra domanda, forse ancora più scomoda della precedente: i due autori ci stanno forse parlando anche di qualcos’altro? Ci sono argomenti che afferiscono alla storia italiana più recente che non possono essere trattati, se non parlando d’altro? Brecht, parlando di Galileo, ha parlato di molte altre cose, comprese quelle per lui più pressanti e attuali. E lo stesso vale per altre sue opere, e per opere di molti altri autori, che hanno avuto a che fare con regimi dittatoriali, o totalitari, o repressivi, o intolleranti, o illiberali.

Di certo ad alcuni lettori il libro ricorderà altri episodi che, analogamente all’operazione Blue Moon, hanno avuto il compito, o comunque l’effetto, di imprimere un netto cambio di direzione nella storia nazionale e non solo.


A me viene in mente il G8 di Genova del 2001, con l’oscuro ruolo dello Stato che solo in parte è stato acclarato dalle inchieste giudiziarie che hanno portato alla decapitazione dei vertici della polizia. Quell’inaudita, prolungata e pianificata carneficina – che i più sul momento, e per anni, hanno in qualche modo giustificato dando credito alla versione ufficiale dei manifestanti violenti – con il suo significato di tortura collettiva ha traumatizzato un’intera generazione e segnato l’inizio della fine dell’esperienza del Social Forum Mondiale, il più radicale, solido e creativo movimento di contestazione che avesse preso piede dalla fine degli anni Settanta. Come è possibile, viene da chiedersi, che tutti i governi che si sono succeduti dopo quell’evento esiziale – tutti, di qualsiasi colore – hanno ritenuto opportuno e appropriato promuovere l’allora Capo della Polizia Gianni De Gennaro, fino a farne il presidente di Finmeccanica / Leonardo?

E, ancora, mi vengono in mente gli anni della pandemia, dove ancora tutto è oscuro e molto è tabù. Ma quello che è incontrovertibile è che il rapporto tra le istituzioni dello Stato e i cittadini - in Italia e non solo – è stato irreversibilmente modificato: nel senso di una consegna di diritti e libertà fondamentali nelle disponibilità politiche del governo. Il cui volto e la cui retorica - indipendentemente dai colori politici della compagine del momento – hanno preso a ricordare quelli paternalistici e autoritari dello “Stato etico”.

giovedì 5 settembre 2024

Recensione di "Logout" su PULP Libri

"(...) Cuppini affronta molte tematiche differenti nel corso del romanzo, tutte interessanti e attuali. (...) Fino a dove possiamo spingerci pur di essere circondati dalla comodità? Altro tema è l’utilizzo dei social che anche in questo caso viene estremizzato: un mondo in cui gli influencer dettano legge a suon di like e video per ottenere un buon punteggio nella classifica generale della città, punteggio che determinerà il tuo ruolo nella società. Poi non possono mancare l’amicizia, valore fondamentale nei romanzi di formazione per ragazzi, e un moto di ribellione nei confronti di una stortura o di un’ingiustizia. Una storia per nulla banale e ben strutturata, con una giusta tensione narrativa e continui colpi di scena, che sottolinea cosa conti realmente nella vita, e che speriamo convinca i giovani – cittadini di domani – della propria importanza e del potenziale sito dentro ciascuno: qualunque cosa vogliano diventare saranno in grado di diventarlo, anche senza tecnologia ma coltivando sempre i rapporti umani."

Qui la recensione integrale:

Grazie a Valentina Marcoli per l'attenta lettura.