Carlo Cuppini

venerdì 26 agosto 2011

Realismo, realtà, poesia. Appunti per un'insurrezione

L'avanguardia è stata l'unico realismo del Novecento.
Edoardo Sanguineti

Ultimo rifugio dei vigliacchi: la comunicazione.
Francesco De Gregori

Viviamo sotto dettatura
Alessandro Bergonzoni


Viviamo immersi nel linguaggio. Il racconto della realtà - di ogni aspetto della realtà - è continuo e "scientifico", a senso unico e indubitabile. Il racconto è saturante: non lascia spazio all'esperienza della realtà. Il Realismo a cui siamo chiamati ad aderire - esistenzialmente, psicologicamente, esteticamente, artisticamente, linguisticamente - sostituisce ed esclude la realtà. Il Realismo - come la prospettiva nell'arte secondo Panofsky - è però una forma simbolica specifica, storica, e non è la realtà, né la sua rappresentazione fedele.
La realtà non è rappresentabile. Ne sapeva qualcosa il partito degli iconoclasti a Nicea nell'VIII secolo, quando si giocò una delle partite fondamentali della civiltà europea. Ne sanno qualcosa gli ebrei e i musulmani oggi, a loro volta scettici verso la capacità delle immagini di dare conto della realtà, a meno di non manipolarla e falsificarla. Ne sapeva qualcosa Nietzsche, quando definiva il dionisiaco come l'aspetto "irrappresentabile" della vita, in opposizione all'apollineo, che in definitiva riduce tutto a immagini e lascia solo le immagini, sorvolando sulla sparizione delle cose.

Il Realismo che si invoca oggi in vari ambienti intellettuali, artistici e filosofici - come se Realismo fosse sinonimo di impegno o di intenzione di riaprire i conti con la realtà - coincide in effetti con quella consensuale finzione simbolica a cui siamo chiamati ad obbedire.
Il Realismo è un'ideologia estetica che non consente a ciascuno di noi di accedere alla produzione di significati estetici e filosofici. Ci è permesso infatti esprimere qualunque contenuto, fintanto che aderiamo alla prospettiva estetica del Realismo. Finché percepiamo innanzitutto noi stessi secondo i parametri del Realismo. Finché parlate in modo "sensato", dite pure quello che vi pare: nessuno vi metterà in galera: e in effetti sarete inoffensivi dal punto di vista dei gestori dell'ordine; o, più precisamente, disattivati.
Si potrebbe definire Realismo quello stile che imita la narrazione cinematografica [a questo proposito vedi sotto l'opportuno commento di Tojo, e la mia risposta], la quale imita in un certo modo e facendo un determinato uso del linguaggio, la vita.
Il primo passo verso la libertà - che non possiamo neanche descrivere ma che tuttavia qualcosa in noi è ancora in grado di intuire - è l'insurrezione dentro il linguaggio, nel tentativo di spezzare la nostra adesione al Realismo.
La poesia è il tentativo di articolare l'essere attraverso il linguaggio - nel linguaggio - come sosteneva Antonio Porta. La poesia è un tentativo di accedere alla realtà e alla storia, ma non parlando di esse con la parole e la sintassi che ci sono concesse. Accedere alla produzione di significato estetico fuori dal cerchio del Realismo, affacciandosi in uno spazio incognito dove non siamo controllati, per modificare il nostro rapporto con la realtà, e la nostra posizione all'interno del grande ordine simbolico generale.
La poesia crede nella realtà, crede in un rapporto possibile tra gli esseri umani e la realtà: un rapporto intrinsecamente irriducibile e non formalizzabile in uno schema simbolico dato una volta per tutte; un rapporto che richiede, come per l'artista prima dell'invenzione della prospettiva "scientifica", una continua creazione di modalità linguistiche. Queste modalità non sono mai definitive, mai all'altezza del compito, e non possono mai portare a una saturazione di senso, proprio perché necessariamente ed esplicitamente convenzionali e in qualche modo occasionali e imperfette. Ed è proprio nello spazio di questo scollamento riconosciuto tra realtà e rappresentazione che si articola la libertà - filosofica e artistica - e si garantisce la persistenza della realtà intera - al di qua di ogni sua possibile rappresentazioine - che rimane nostro luogo di origine e nostra casa.
La poesia intende distruggere la saturazione del Realismo in cui siamo immersi, perché fondamentalmente non sappiamo niente di ciò che è reale. Niente di ciò che è reale ormai ci riguarda. Non sappiamo niente di noi stessi, il nostro linguaggio, quello che ci è dato, ci impedisce ogni contatto.
Poi capita che uno vada in Africa, quasi per caso, e torni dicendo che è stata l'esperienza più bella della sua vita. Forse siamo così disabituati al reale che sta lì dietro il tendone del Realismo, che confondiamo la bellezza con la realtà. In effetti non c'è niente di bello nelle mosche, nella miseria, nella malattia, negli escrementi, nella morte e nella disperazione. Ma lì potremmo essere esposti a qualche brandello di realtà, sentire che il linguaggio che ci struttura è inadeguato, potremmo intuire la possibilità di accedere a una diversa posizione nell'ordine simbolico delle cose, da cui guardare tutto con altri occhi, e agire tutto con altre mani, e dire tutto con altre parole.
Perché la realtà è appagante, ci calza a pennello, sembra fatta apposta per noi - e lo è - non abbiamo bisogno di altro in effetti.
Simon Weil diceva  "l'immaginazione è l'inferno".
La poesia percuote il linguaggio del Realismo per strappare l'immaginazione che domina e dà forma al nostro tempo, che altro non è se non il Realismo, l'estetica del quotidiano, del giornalismo, del cinema, della letteratura, della politica, di facebook...
La realtà è la nostra patria - la nostra sola patria - da cui siamo stati esiliati, forse perché alcuni ne potessero disporre a nostra insaputa. In compenso ci hanno relegato in un campo profughi-lunapark, che però ha il difetto di non esistere.
Nella condizione di profughi e di poeti, cerchiamo di lacerare la membrana che ci impedisce l'accesso alla realtà. Che è l'atto di creazione di realtà e simbolo insieme. Che è la libertà.

Approfondimenti:
Aby Warburg, Atlante Mnemosyne
Erich Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale
Rudolf Arnheim, Arte e percezione visiva
Erwin Panofsky, La prospettiva come "forma simbolica"
Guy Debord, La società dello spettacolo
Edoardo Sanguineti, Sanguineti/Novecento
Achille Bonito Oliva, Ideologia del traditore
Slavoj Zizek, The matrix e altre opere

3 commenti:

  1. come al solito, non sbagli un colpo. ma (a parte la mia idiosincrasia per il termine "patria", anche se ho capito l'uso che ne fai) ho un solo appunto da farti: quando definisci il Realismo come stile che imita la narrazione cinematografica, non specifichi di quale narrazione cinematografica parli. perché non credo tu ti riferisca (ad esempio) a Vertov o a Godard (non il riflesso della realtà, ma la realtà del riflesso). né dai a cesare quel che è di cesare, cioè non metti in risalto l'importanza di una delle peculiarità del cinema, che tanto ha influito sulla poesia del secolo scorso: il montaggio. ma questa è un'altra storia, visto che il saggio non tratta delle tecniche della poesia

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  2. Grazie Tojo per il tuo appunto: hai perfettamente ragione: ho accennato con leggerezza al cinema, e in modo del tutto improprio, intendendo, senza specificarlo, il main stream del cinema contemporaneo. sono, questi, appunti in progress che necessitano di molte integrazioni e chiarificazioni... spunti per una riflessione da sviluppare (magari a più voci). ho un grande amore per 'certo' cinema, che, come giustamente ricorda Tojo, ha inventato (o almeno elaborato coscientemente) il concetto e la pratica del montaggio. Aspetto fondamentale per le avanguardie e per tutta la coscienza del Novecento, come sostenuto anche da Sanguineti nel saggio a cui faccio riferimento. Ho scritto un articolo sui "Novissimi" (uscito su Alfalibri n.1) che parla anche di questi temi e sull'originaria prospettiva rivoluzionaria del montaggio (Ejzenstejn, Vertov). Lo si può leggere nel blog, nella sezione "articoli". Il montaggio, come inteso dai cineasti russi e poi da avanguardie e neoavanguardie, era e resta uno degli strumenti fondamentali per stracciare la cortina di realismo mimetico o illusionistico che si è insediato nei nostri organi percettivi e comunicativi.

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  3. ottimo, Carlo.
    salvo per leggere con attenzione. spero, tra alcuni giorni, di riuscire a scriverti (su questo e il resto in sospeso). intanto un abbraccio, e in bocca al lupo anche per la nuova rubrica...

    f.t.

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