Carlo Cuppini

martedì 1 novembre 2011

Scrivere, sì

Scrivere, sì, è immergersi nel fiume del linguaggio e risalirlo controcorrente. Non per raggiungere la fonte (la fonte del fiume sta nel cielo, e la fonte della pioggia è il mare – non esiste fonte se non sognata dal desiderio di dissetarsi), ma perché questo è il solo modo che abbiamo per andare in salita, andare con intenzione percependo l'esistenza come attrito, sforzo e potenza. E se un senso di umanità esiste – come traccia di quell'anima che ci appare irrintracciabile nell'esilio – di certo essa si trova là, lungo la salita. Se un futuro esiste, ebbene esso si trova certamente a monte e non a valle: non verrà da solo ineluttabilmente, ma verrà soltanto a seconda del nostro opporci alla corrente.

Controcorrente. E bisogna assumersi il rischio dell'insensato, del vaniloquio, della perdita della conforto emotivo e dell'espressione sentimentale, della rinuncia al "poetico" insomma. Sapendo però che nel contravvenire a quella che ci è presentata come legge naturale del linguaggio, potremmo ritrovare qualcosa di quanto scomparso da tempo – la realtà, il desiderio e l'efficacia – riconoscendo il nostro volto nei frammenti scampati. E insieme, ritrovando la voce dei morti lungo i muri, e la promessa delle vite a venire contro i vetri.

Scrivere per dismettere il "realismo di stato" che ci è imposto unilateralmente come unica percezione del mondo possibile, e che invece non è altro che sentimentalismo pilotato attraverso un linguaggio mistificato – quindi scollamento dal reale: follia. Ma senza smettere di credere nel miracoloso, nell'emancipazione, e nella possibilità e necessità dell'impossibile. Facendo concretamente "estetica": cioè filosofia del vedere, del percepire, del conoscere, del posizionarsi tra le cose. Reinventare i fondamentali del mondo (della sua rappresentazione linguistica): ognuno di noi è chiamato a farlo, a suo modo, ogni volta. Creativamente e senza manuali di istruzioni o procedure semplificate. Altroché obbedire.

Non abbiamo altro mezzo che il linguaggio; altro spazio che il linguaggio; altro luogo che il linguaggio; altro destino che il linguaggio. Ce lo dobbiamo fare bastare. E dobbiamo riuscire.

Si scrive per la gioia e per l'aurora. Nient'altro. Anche mentre tutto capitola. Anche mentre, incatenati al fallimento, ci si lancia follemente in corsa in avanti nel buio.

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