La poesia, nel suo farsi che non può che essere interrogativo e interlocutorio, potrebbe costituire un insegnamento su come e perché sottrarre l'interiorità alla comoda schiavitù delle prescrizioni autorizzate. Non sono né l'io né il non-io a permettere di cogliere questo insegnamento: piuttosto una loro collaborazione, che è allo stesso tempo una insanabile contraddizione; è la pratica in-naturale sui linguaggi artistici a costruire la cerniera tra mondo diversi, che non ci appartengono e a cui non apparteniamo in via esclusiva: l'osmosi tra il dentro e il fuori, i vasi comunicanti, che, con un piccolo di più di coraggio e di aspirazione alla gioia, chiamerò "la Grazia".
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