Carlo Cuppini

martedì 24 agosto 2021

Senza soluzione di continuità

Dentro le soluzioni pragmatiche eccezionali si annidano a volte paradigmi culturali, politici e antropologici nuovi e sconosciuti, destinati a farsi strada inosservati, e a permanere; soprattutto se viene invocato e provocato un’immensa rimozione collettiva di questi fenomeni, una volontaria cecità in tempo reale, in nome del “primum vivere, deinde (ma in un tempo costantemente rimandato) philosophari”.

Nel lockdown si celavano paradigmi culturali.
Nella digitalizzazione dei rapporti sociali, affettivi, professionali, paideutici.
Nell’uso indiscriminato della mascherine.
Nell’Italia a colori.
Nel coprifuoco.
Nel green pass, forse più che in tutti i precedenti esempi.

Quindi?
Queste misure non andavano attuate? Non lo so, alcune forse sì, altre forse no, altre ancora sicuramente no (indipendentemente dalla loro eventuale efficacia). Ma non sto dicendo questo: sto dicendo che se andavano attuate, bisognava guardarci dentro, mentre si attuavano. Nonostante lo shock per quello che stava accadendo.

Quindi?
C’è una regia mondiale che sta costruendo il famoso Transumanesimo – di cui recentemente, prima del covid, si è ragionato anche tra le mura del Parlamento, per iniziativa di una determinata forza politica – sfruttando diabolicamente il provvidenziale avvento del covid?
Non è detta. Non credo. Magari il farsi strada di questi paradigmi è un fatto autonomo: la semplice risultante di forze che agiscono nella Storia, in gran parte legate a una dimensione economica. Stavano lì ad aspettare, e arrivato il treno del covid ci sono saltati dentro, come in un comodo cavallo di Troia. Destinazione: il cuore della civiltà della globalizzazione.

Come che sia, il punto è che siamo entrati nell’epoca della biopolitica: dove la percezione del rischio biologico è pervasiva e permanente, e persiste a prescindere dalla concreta e attuale esistenza di rischi ed emergenze; un'epoca dove costanti e sempre più approfondite misurazioni biometriche decideranno di volta in volta se esiste un livello di biosicurezza sufficiente ad autorizzare una determinata interazione sociale, affettiva, professionale; altrimenti queste situazioni saranno interdette, o limitate. La biosicurezza sarà il requisito per accedere a ogni genere di esperienza, opportunità e diritto. E' già così, da due settimane. Il paradigma culturale nascosto dentro questo scenario, è nascosto dietro una assai esile armatura scientifica, peraltro, che fa acqua da tutte le parti. Eppure, neanche così lo vediamo, tanto è stata interiorizzata la richiesta di “rimuovere” dalla percezione, dal pensiero, tutto ciò che sopravanzi la dimensione dell’immediato utilitarismo di una determinata misura.

"Basta che funziona". 
E se funziona, "non ci sono discussioni". 
"Comandano i dati".

È ormai una forma mentis consolidata, un filtro con cui si interpreta la realtà. Il recente articolo di Alessandro Zaccuri su l’Avvenire che vede una continuità tra le più autorevoli critiche al green pass e la galassia del complottismo della più bassa lega, lo mostra bene.

L’attuale riconquista della “vita normale” e della “libertà”, che molti stanno vivendo con sollievo ed entusiasmo grazie alla consegna, da parte dello Stato, del passaporto verde, è la conquista di questa vita normale, di questa libertà. Quelle rilasciate, quelle sorvegliate.

Va bene.
Noi facciamo giustamente le barricate, come se avessimo realmente una possibilità di contrastare questo inosservato scivolare della civiltà verso un altro stadio. Ma poi, a un certo punto, si tratterà di capire come, in che modo esattamente, si potrà continuare a vivere in un mondo che è radicalmente diverso da quello in cui siamo nati, senza rinunciare a quanto, di ciò che ci definisce, è irrinunciabile. 

Intanto, non drammatizziamo: non è la prima volta che a una generazione accade di vivere una crisi così profonda. Non sarà l’ultima, con ogni probabilità. Perdere il buonumore sarebbe imperdonabile. Teniamoci una risata e una pernacchia in canna, come ultima risposta da dare. Potrebbero essere sufficienti per finire la partita moralmente pari.

In tutto questo io mi chiedo se nell’epoca in cui ci stiamo precipitosamente addentrando l’essere umano continuerà ad avere sembianze riconducibili alle rappresentazioni che hanno percepito e fissato maestosamente gli artefici dell’Umanesimo; o se invece l’immagine dell’uomo sarà più simile a un’ombra proiettata sul suolo, sfocata, senza soluzione di continuità con il marciapiede.

lunedì 16 agosto 2021

Il punto

Il punto è rimettere al centro del dibattito una riflessione sui principi irrinunciabili e sui paletti giuridici invalicabili; insieme a una analisi dei paradigmi culturali che si annidano nelle soluzioni pragmatiche e, una volta introdotti, tendono a persistere e a farsi strada.

Se, ovviamente, non si può "fare finta di niente", perché la pandemia e l'emergenza ci sono, non si può neanche pensare che sia inutile (o oltraggioso) cercare di comprendere e tenere sotto controllo i nuovi costrutti culturali che dalla gestione dell'emergenza stanno emergendo.

"La scienza non è democratica", ha detto qualcuno. Non lo so: mi sembra una frase provocatoria e senza senso, degna di un personaggio di Lewis Carroll, illogica quanto "il sugo alla puttanesca non è in chiave di Sol".

In compenso, quel che è certo è che la democrazia non è scientifica: non è questione di falso/vero, non è una sequenza di 1 e di 0, non è il risultato di una misurazione, non è un metodo finalizzato a conseguire una conoscenza della realtà sulla base della replicabilità dei risultati: è un metodo che consente di abitare un terreno comune, dove sia possibile confrontarsi costantemente, in modi formali e informali, per progettare insieme la cosa pubblica. 

Per quello che mi riguarda, anche in emergenza, la democrazia e il bisogno di democrazia restano intatti. Se così non fosse, dimentichiamoci pure della democrazia: perché non ci libereremo in tempi brevi dalla (percezione di una possibile) emergenza. Vaccini o non vaccini. Green pass o non green pass. Covid o non covid. Credo che siamo entrati nell'epoca delle emergenze biologiche. E la democrazia va riaffermata, e attualizzata, ora, per il presente e per il futuro: non certo nel senso di ridimensionarla, ma di renderla capace di rispondere alle sfide contemporanee senza perdere la propria natura. Attraverso una riflessione collettiva, onesta, libera dall'emotività e dalla retorica divisiva.

venerdì 13 agosto 2021

Credo che questo sia il momento giusto per

Credo che questo sia il momento giusto per rimescolare le carte, per scrollarsi di dosso tutte le etichette con cui si è cercato di banalizzare e polarizzare il dibattito per un anno e mezzo (o di disinnescarlo proprio, criminalizzando le posizioni critiche), per andare oltre le precedenti prese di posizione e in definitiva per rigettare le divisioni che sono state artatamente create, per riconoscersi comunità nazionale.

Credo che sia il momento giusto per riconoscere che c'è solo una divisione, e non riguarda il vaccino, le convinzioni politiche, l'esperienza che si è avuta o non avuta del covid o altro: la sola differenza che oggi ha senso considerare è quella tra chi ritiene che questa emergenza perdurante (e tutte le possibili future emergenze di origine naturale o umana) vada affrontata con il massimo riguardo per il diritto e facendo salva l'unità – in primis morale – della comunità nazionale; e chi invece ritiene che, a fronte di una emergenza, tutto ciò che promette di funzionare va considerato legittimo, a prescindere dal diritto e dall'onere della prova relativo all'efficacia delle misure adottate dai decisori.

Come ho più volte scritto, questo ultimo approccio è una declinazione del paradigma tecnocratico, che trova un inaspettato inveramento storico grazie all'emergenza covid: "ciò che può essere fatto, deve essere fatto".

Vogliamo davvero validare questo paradigma e affidare a esso il futuro della cosa pubblica? 

L'alternativa è una sola: inaugurare una discussione tra tutti - ma libera da pregiudizi, delegittimazioni ed emotività tribale suscitata dai media - per riabilitare in pieno la democrazia e attualizzarla, decidendo collettivamente dove stanno i paletti invalicabili e quali garanzie e prove devono essere fornite da chi ritenga necessario limitare diritti individuali e consuetudini sociali, e si accinga a farlo esercitando il potere che gli è conferito.

Oggi dobbiamo fare uno sforzo per andare oltre la mentalità che ha dominato finora e per liberarci dagli schemi divisivi attraverso cui ci hanno spinti a "confrontarci": esploriamo concetti nuovi, pensieri nuovi e parole nuove. Il linguaggio è una potenza autoctona: non limitiamoci a recepirlo e a ripeterne i clichè, finendo per essere parlati da altri, mentre crediamo di esprimere noi stessi.

Oggi, chi dissente dal corso attuale della gestione pandemica, deve trovare una via inclusiva e aggregativa, e le anime del pensiero critico devono cercarsi, riconoscersi, rifondarsi in un insieme plurale e dinamico, capace di riconoscere i comuni denominatori e valori.

Creiamo un clima e un momento reale di incontro, di confronto e di elaborazione. 
Lavoriamo per questo, da domani, da oggi stesso, ognuno come può.

giovedì 12 agosto 2021

Green Pass: Le ragioni del NO (petizione)

Qui si può sottoscrivere.


Da oltre un anno e mezzo il popolo italiano subisce limitazioni radicali a diritti e libertà considerate fondamentali dalla Costituzione, dalla Cedu e dalla Dichiarazioni dei diritti fondamentali dell'uomo.

Il governo ha approvato una misura - il green pass - che implica l'esclusione in radice dell’accesso ad attività, servizi e luoghi pubblici (teatri, cinema, attività sportive, locali pubblici, fiere, manifestazioni, congressi, etc.), ad una specifica categoria di persone, ovvero coloro che non si sono vaccinati o non hanno prenotato la vaccinazione (con la sola eccezione di coloro che sono guariti dalla malattia e salva la possibilità di sottoporsi a tamponi a pagamento, ripetuti nelle 48 ore antecedenti al godimento di quelle libertà o diritti). Il decreto legge del 6 agosto 2021 n.111, ha addirittura subordinato la possibilità degli studenti di frequentare l'università e seguire i corsi in aula in presenza al possesso del green pass e ha obbligato il personale scolastico del sistema nazionale di istruzione e universitario a possedere la suddetta certificazione. Accanto a tali provvedimenti permane, tuttavia, la libertà della scelta di non sottoporsi al trattamento sanitario della vaccinazione, garantita dall'art.32 co. 2 della Costituzione che, pur prevedendo la possibilità che vi siano deroghe stabilite con una legge formale, ammonisce che in nessun caso è possibile violare i limiti imposti dal rispetto della dignità della persona umana.

Ne discende che le restrizioni di accesso allo sport, alle attività sociali, culturali, formative, lavorative e di istruzione stabilite tramite il green pass colpiscono una categoria di persone che esercita una libertà costituzionalmente garantita, che viene penalizzata in quanto tale, per via di una propria qualità personale, di una propria condizione e di una libera scelta.

Il green pass contrasta, dunque, con i principi fondanti il nostro ordinamento, sia di matrice costituzionale che comunitaria ed internazionale. In particolare:

1- L’articolo 1 della Convenzione ONU sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione (New York, 1965-aperta alla firma nel 1966-ratificata nel 1976), precisa che costituisce discriminazione ogni comportamento che direttamente o indirettamente “comporti distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l’ascendenza o l’origine etnica e che abbia lo scopo e l’effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l’esercizio, in condizioni di parità, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali in campo politico, economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica”. Le restrizioni (1) contenute nel green pass rientrano letteralmente nelle “esclusioni” che determinano gli effetti indicati come discriminatori nella definizione della Convenzione. Discriminare, infatti, significa violare il principio dell’uguale dignità delle opinioni o situazioni differenziate.

2- Nella prassi giurisprudenziale, costituisce discriminazione ogni trattamento, considerazione e/o distinzione attuato nei confronti di un individuo o di una classe di individui sulla base dell'appartenenza ad un particolare gruppo, classe o categoria sociale, che mira a provocare l’esclusione sociale dei soggetti vittime del comportamento discriminatorio fondato su una visione differenzialista del mondo. La violazione del divieto di discriminazione viene, quindi, correlata a distinzioni e restrizioni basate su “condizioni personali”, su stati, su “autori”.

3- L'istituzione di un Green Pass per l'accesso ad un determinato set di attività, luoghi e servizi, escludendo dagli stessi una categoria di persone, inclusi i minori ed i giovani adulti, individuate soltanto in base alla loro condizione - quella di aver fatto una scelta garantita dalla Costituzione e non limitata da norme di legge, dunque, in assenza di un fatto illecito, espressamente riprovato dal diritto positivo - si pone, altresì, in evidente contrasto con l’art. 2 della Costituzione a mente del quale la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, nonché con l'art.3 della Costituzione che sancisce la pari dignità sociale dei cittadini e la loro eguaglianza di fronte alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali, imponendo alla Repubblica il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

4- Il green pass viola, inoltre, l'art.21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'UE, titolato "Non discriminazione" che prevede: "1. È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul 1

sesso, la razza, il colore della pelle o l'origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l'appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale.2. Nell'ambito d'applicazione dei trattati e fatte salve disposizioni specifiche in essi contenute, è vietata qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità", nonché l'art.23 che dispone “La parità tra uomini e donne deve essere assicurata in tutti i campi, compreso in materia di occupazione, di lavoro e di retribuzione”.

5- Il green pass vìola la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo che all'art. 2 stabilisce: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciate nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del paese o del territorio cui una persona appartiene, sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi limitazione di sovranità”, e all'art. 7 stabilisce: “Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge. Tutti hanno diritto ad una eguale tutela contro ogni discriminazione che violi la presente Dichiarazione come contro qualsiasi incitamento a tale discriminazione”;

6 - Il green pass viola anche la Convenzione Europea sui Diritti Umani, specificamente l'art. 14 che stabilisce: “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l'origine nazionale o sociale, l'appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione”.

7- Il green pass viola il Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea che all'art. 10 chiarisce: “Nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche e azioni, l'Unione mira a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale”.

8- Il green pass si pone, inoltre, in contrasto con la Risoluzione 2361 del Consiglio d'Europa approvata il 27/01/2021 che, al punto 7.3, vieta ogni forma di discriminazione per chi scelga di non vaccinarsi ed invita gli Stati ad assicurarsi che i cittadini siano informati in modo chiaro sulla NON obbligatorietà del vaccino.


9- Da ultimo, benché il D.L. 105/2021 che ha reso il green pass obbligatorio evidenzi la necessità di rispettare i Regolamenti UE 953/2021 e 954/2021, ne contrasta platealmente i contenuti, sia in riferimento al Considerando 36, che testualmente prevede: "È necessario evitare la discriminazione diretta o indiretta di persone che non sono vaccinate, per esempio per motivi medici, perché non rientrano nel gruppo di destinatari per cui il vaccino anticovid è attualmente somministrato o consentito, come i bambini o hanno scelto di non essere vaccinate. Pertanto il possesso di un certificato di vaccinazione, o di un certificato di vaccinazione che attesti l'uso di uno specifico vaccino anti COVID-19, non dovrebbe costituire una condizione preliminare per l'esercizio del diritto di libera circolazione o per l'utilizzo di servizi di trasporto passeggeri transfrontalieri quali linee aeree, treni, pullman, traghetti o qualsiasi altro mezzo di trasporto. Inoltre, il presente regolamento non può essere interpretato nel senso che istituisce un diritto o un obbligo a essere vaccinati.", sia in riferimento all'affermata necessità di garantire la libertà di circolazione dei cittadini, di fatto ostacolata dai vincoli imposti con il green pass.

In ragione di quanto sopra, l'istituzione del green pass si pone in aperta violazione dei principi e delle norme fondanti il nostro ordinamento, come sopra richiamate, e determina la violazione del dovere di fedeltà alla Repubblica e di osservanza della Costituzione e delle leggi, imposto a tutti i cittadini dall’art.54 Cost. e, prima ancora, alle Istituzioni.

Trovarsi nella necessità di riaffermare questi punti sottintende la denuncia di un gravissimo modus operandi che contrasta con i principi democratici e dello Stato di diritto, che strumentalizza le emergenze per comprimere diritti e libertà faticosamente conquistati nell'ultimo secolo, vanificando il sacrificio dei nostri padri.

-Le ragioni emergenziali non possono essere utilizzate come scudo per sospendere ed annullare diritti considerati intangibili dai Padri Costituenti e dalla comunità internazionale. La prima parte della Costituzione raccoglie il nucleo essenziale dell'ordinamento costituzionale, definendone i principi fondamentali e garantendo la tutela di quei diritti che sono considerati inviolabili conformemente a quanto riportato nelle Convenzioni e nei Trattati su richiamati il cui rispetto è previsto dall’art. 117 della Costituzione.

Con i benefici e con i limiti della democrazia la nazione ha affrontato numerose e gravi crisi; allo stesso modo possiamo e dobbiamo affrontare anche questa, e le future, senza derogare di un passo dal percorso della civiltà del diritto.

Se accettiamo che i principi fondamentali dello Stato di diritto possano essere sospesi oggi, in nome della gestione della pandemia, dobbiamo sapere che stiamo consegnando al futuro la possibilità di prendere direzioni diverse dalla democrazia in nome di qualsiasi altra minaccia, di origine umana o naturale.

(1) Per la definizione di distinzione discriminatoria, si legga anche l’art. 43 T.U. immigrazione, dove si ribadisce che emerge come sia tale anche la discriminazione cd. indiretta. “Art. 43 (Discriminazione per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi) (Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 41) 1. Ai fini del presente capo, costituisce discriminazione ogni comportamento che, direttamente o indirettamente, comporti una distinzione, esclusione, restrizione o preferenza basata sulla razza, il colore, l'ascendenza o l'origine nazionale o etnica, le convinzioni e le pratiche religiose, e che abbia lo scopo o l'effetto di distruggere o di compromettere il riconoscimento, il godimento o l'esercizio, in condizioni di parità, dei diritti umani e delle libertà fondamentali in campo politico economico, sociale e culturale e in ogni altro settore della vita pubblica. 2. In ogni caso compie un atto di discriminazione: .....b) chiunque imponga condizioni più svantaggiose o si rifiuti di fornire beni o servizi offerti al pubblico ad uno straniero soltanto a causa della sua condizione di straniero o di appartenente ad una determinata razza, religione, etnia o nazionalità".


Promotori:

Olga Milanese (Avvocato)

Carlo Cuppini (Operatore culturale)


Primi firmatari:

Giorgio Agamben (Filosofo e Accademico)

Giovanni Agnoloni (Scrittore e traduttore)

Carmelo Albanese (Filosofo e Urbanista)

Miriam Alborghetti (Giornalista)

Luciana Apicella (Giornalista)

Fabrizia Bagnati (Giurista, già presidente della Unione Nazionale delle Camere Minorili)

Ugo Bardi (Professore di Chimica Università di Firenze)

Roberto Bartali (Ph.D, Storico)

Paolo Bellavite (medico chirurgo, già professore universitario di Patologia Generale all'Università di Verona)

Giorgio Bianchi (Fotoreporter, giornalista)

Stefano Boni (Antropologo, Università di Modena e Reggio Emilia)

Ramona Caia (Danzatrice)

Giovanna Campani (Professore di Pedagogia Generale Università di Firenze)

Angela Camuso (Giornalista)

Francesca Capelli (Sociologa)

Carmine Carella (Libero professionista)

Francesco Carraro (Scrittore, giornalista, avvocato)

Luisella Chiavenuto (Giornalista free lance)

Marco Cosentino (Medico farmacologo- Professore ordinario di Farmacologia)

Daniela Danna (Ricercatrice in Scienza Sociale Università del Salento)

Chiara De Filippis (Designer)

Umberto Desideri (Professore universitario)

Elena Dragagna (Avvocato)

Marilena Falcone (Ingegnere meccanico/ biomedico)

Mario Fedeli (Attore, scrittore)

Giacomo Fossa (Direttore d’orchestra)

Carlo Freccero (Critico televisivo, giornalista, autore televisivo, massmediologo e accademico)

Franco Galvagno (Docente scuola secondaria)

Domenico Guarino (Giornalista)

Francesco Guerrini (Geologo)

Marco Guzzi (Poeta, Filosofo e scrittore)

Marialuisa Iannuzzo (Medico legale)

Francesco Ierardi (Avvocato)

Daniele Libi

Laura Lippi

Carlo Lottieri (Filosofo, politologo, professore universitario alle Università di Verona e di Lugano)

Maddalena Loy (Giornalista)

Enrico Macioci (Scrittore)

Linda Maggiori (Scrittrice, blogger, attivista per la sostenibilità)

Giulio Mancini (Ingegnere meccanico)

Stefano Manera (Medico chirurgo, specializzato in Anestesia e Rianimazione, medicina integrata e funzionale)

Clara Marinelli

Simona Massaro

Maurizio Matteoli (Medico pediatra)

Ugo Mattei (Giurista, accademico, presidente Fondazione Generazioni Future)

Francesco Meneguzzo (Ricercatore Fisico - Consiglio Nazionale delle Ricerche)

Emilio Mordini (Psicoanalista e docente universitario)

Paola Olivieri

Diana Nocchiero (Concertista, direttrice artistica della rassegna "Melodica" di Ragusa)

Sergio Porta (Professor of Urban Design, Department of Architecture, University of Strathclyde)

Lucilla Rigobello

Gilda Ripamonti (Giurista)

Anna Franca Rivieri

Maria Sabina Sabatino (Storica dell'arte)

Laura Savoca

Paolo Sceusa (Presidente emerito di sezione della Cassazione, già Presidente Tribunale dei Minori di Trieste e Trento)

Giulia Servadio (Avvocato)

Augusto Sinagra (già magistrato, Professore ordinario di diritto dell'Unione Europea Università degli Studi di Roma "La Sapienza”)

Daniela Strumia (Filosofa)

Pasquale Tarricone

Vitaliano Trevisan (scrittore, drammaturgo, regista, attore)

Marta Trucco (Giornalista e scrittrice)

Fabrizio Tuveri (Medico odontoiatra)

Raffaele Zanoli (Professore ordinario di Food Marketing & Management, Università Politecnica delle Marche)

Pieralberto Valli (Docente, musicista, scrittore)

Comitato "Scuola È in presenza" - Modena

Comitato #GiùLeManiDallaScuola - Gorla Minore (VA)

domenica 8 agosto 2021

Il green pass (e l'abdicazione degli intellettuali)

(Articolo pubblicato su Umanesimo e scienza)

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Nell’epoca pandemica, gli intellettuali cresciuti nei decenni dell’edonismo - forse per questo estranei alla cognizione del dolore e della morte - per non rischiare di apparire insensibili 
(è la prima preoccupazione di molti) hanno rinunciato al compito di destrutturare il discorso del potere e di smascherare il suo continuo dissimularsi nei luoghi più impensati, per limitarsi a ratificarlo arricchendolo al più di figure retoriche e invettive morali.

Quello sul “green pass” è precisamente un discorso del potere su se stesso, con se stesso, perché le masse intendano, apprendano e si conformino. Un discorso corale, pronunciato contemporaneamente da molte bocche, comprese quelle di alcuni “scienziati scelti”.
Sia chiaronon è un discorso di natura sanitaria, relativo a obiettivi sanitari, interno alla comunità scientifica, fondato su evidenze e considerazioni scientifiche. 
Le implicazioni di questo discorso non riguardano il futuro della pandemia, né la possibilità di tornare a fare collettivamente una vita libera e normale: riguardano piuttosto il rapporto del potere con se stesso, nell’articolazione delle sue varie anime e compartecipazioni, e quello tra le masse e il potere.

La necessaria destrutturazione di questo discorso va svolto su due piani, quello giuridico e quello propriamente scientifico. 
Ci vorrebbe un po' di semiotica, ma non usa più. Da parte mia, avendo più paura di vivere assoggettato all’irrazionalità del potere che di apparire insensibile, tento un abbozzo di decostruzione, sperando che seguano altri contributi.

1) Decidere che i diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione e dalle convenzioni internazionali non sono innati e inviolabili in qualunque circostanza, ma possono essere "rilasciati" ad personam dallo Stato, sulla base di misurazioni biometriche, apre definitivamente le porte all'epoca della biopolitica: 
un'epoca dove la saldatura tra politica e tecnica (non chiamiamola "scienza", via, siamo onesti) può dare vita a sviluppi mostruosi. 

A qualcuno questi sviluppi potranno piacere; a qualcuno potranno tornare molto utili; qualcuno starà già investendo su di essi. Ma si rileggano i testi di Foucault, e si sia ben consapevoli di quello di cui si sta parlando, senza nascondere le implicazioni giuridiche di queste scelte, che costituiscono altrettanti precedenti, dietro un “si deve fare quindi si fa: primum vivere deinde philosophari”.

Ciò che prefigura il pass sanitario è un apartheid accettato come condizione normale perché utilitaristica: una condizione che potrà essere attivata e modulata a seconda delle circostanze, durante e dopo il covid, in base alle scelte arbitrarie di quel soggetto chiamato “la scienza”, che non ha niente a che vedere con la scienza, e che invece identifica la suddetta saldatura tra politica e tecnocrazia.

“La scienza” si autoconferisce il potere di definire competenze, prerogative, limiti, confini e periodi di vigenza di tutti gli altri ambiti dell’umano: la politica tradizionalmente intesa, il diritto, la filosofia, l'etica. In nome della biosicurezza e agitando la paura della morte e il rischio di apparire “insensibili” se critici, oppure terrapiattisti.

Ovviamente quella inaugurata dal green pass non sarà una “dittatura sanitaria”: 
sarà "soltanto" una riformulazione del discorso che il potere fa incessantemente su se stesso per potersi inverare nella Storia. Un discorso aggiornato con locuzioni di carattere sanitario, questa volta, pronunciate magari dalle bocche di determinati operatori della sanità e di diverse discipline scientifiche, in modo che le diverse proposizioni, ancorché in contraddizione l’una con l’altra, spesso e volentieri, appaiano verosimili e autorevoli.

(Sappiamo bene, dall’esperimento Milgram, cosa può un camice bianco sulla disponibilità di una persona a derogare dai propri principi, non è vero?)

Da lì il discorso si distribuisce a cascata in tutti gli snodi dell’organizzazione sociale, attraverso i meccanismi semplici del conformismo e della delegittimazione del dissenso. 
In questo passaggio i media hanno un ruolo centrale.  


2) Il razionale scientifico del green pass. Parliamo di questo. Proviamo a sviluppare un ragionamento ricapitolando schematicamente alcune conoscenze:

a) il virus Sars-Cov-2 non si può eradicare;

b) il virus continuerà in ogni caso a circolare, e a mutare;

c) si auspica (e forse ci si può legittimamente aspettare, dato che è sempre successo in passato) che a un certo punto si affermino le mutazioni compatibili con una convivenza pacifica, facendo scomparire gli aspetti clinici più significativi di questa convivenza comunque inevitabile;

d) si punta a vaccinare la quasi totalità della popolazione in pochi Paesi, mentre in altri i vaccinati sono una percentuale risibile (il 2% in tutto il continente africano); senza che però si chiudano le frontiere tra Paesi molto e Paesi poco vaccinati (che io sappia non puntiamo all'autarchia microbiologica);

e) le persone a rischio, o che si sentono a rischio, hanno l'opportunità di proteggere se stessi nella quasi totalità dei casi, vaccinandosi;

f) l'efficacia del vaccino nel prevenire le forme gravi della malattia è fortunatamente molto alta, stando ai dati ufficiali;

g) i vaccinati si infettano e trasmettono l'infezione meno dei non vaccinati;

h) quel “meno” significa che tuttavia la trasmettono in qualche misura;

i) dare un pass a vaccinati che possono comunque infettare in qualche misura significa ritenere che la trasmissione da parte di un vaccinato "va bene", mentre quella che venga da un non vaccinato "non va bene" (è nata la microbiologia etica?);

l) i vaccinati, tanto più se in possesso di un passe-partout, potrebbero avere un esagerato senso di sicurezza in se stessi, riguardo alla presunta impossibilità di diffondere il contagio e nuocere alla comunità; 
un senso di sicurezza del tutto sproporzionato rispetto a quello che si nega - attraverso martellamento comunicativo e pullulare di norme spesso irrazionali, ma “educative” - ai non vaccinati asintomatici;

m) l'immunità "imperfetta", cioè non totalmente sterilizzante (ed è il caso dell’immunità data dai vaccini anti-covid, in misura diversa da soggetto a soggetto), può determinare l'insorgere di varianti vaccino-resistenti e/o più aggressive: 
lo ha sostenuto nei mesi scorsi la gran parte degli scienziati che si esprimono solitamente sui media; lo mostra uno studio condotto sugli animali nel 2015, e uno modellistico sui vaccini anti-covid del 2021 (relativo in quel caso all'intervallo di tempo tra le prime e le seconde dosi);

n) quindi possiamo dire che i vaccinati trasmettono di meno (quantitativamente); 
ma allo stesso tempo possiamo ipotizzare, o non possiamo escludere, che possano trasmettere "peggio" (qualitativamente);

o) ne discende che non è possibile escludere che una vaccinazione di massa (rispetto a una vaccinazione mirata alle sole fasce esposte a rischio significativo, con circolazione controllata del virus nelle altre) possa prolungare o addirittura perpetuare la situazione pandemica, invece che risolverla;

È certamente chiaro a tutti coloro che leggano con qualche attenzione e senza preconcetti che questo scritto non è contro la vaccinazione anticovid (e men che meno contro la vaccinazione in generale); 
che, sollevando alcune questioni su temi irrisolti mette in discussione la necessità della vaccinazione “universale” (soprattutto se svolta “in un solo Paese”, o solo in alcuni Paesi); e che contrasta esplicitamente, per ragioni politiche, giuridiche, etiche e filosofiche, ogni forma di discriminazione tra cittadini che adottino comportamenti diversi e ugualmente consentiti dalle leggi (in pieno accordo, peraltro, con la risoluzione di gennaio 2021 del Consiglio d’Europa).

A proposito di questo punto, mi sento di affermare che, pur essendo io totalmente contrario all’obbligo vaccinale, 
preferirei mille volte che il Parlamento disponesse l’obbligo, qualora la comunità scientifica fosse in grado di esprimere un razionale talmente solido da spingere la politica verso questa forzatura, assumendosene tutta la responsabilità, sia gli scienziati sia la politica. Una forzatura che, a quanto sostenuto da alcuni giuristi e costituzionalisti, può essere considerata una prerogativa dello Stato in determinate circostanze.

Naturalmente, i cittadini che ritenessero la legge ingiusta – e io sarei tra questi – avrebbero la possibilità di criticarla e contrastarla in tutti i modi previsti dalle leggi, dalla manifestazione di piazza allo sciopero al referendum abrogativo a tutte le altre modalità individuali e collettive. 

Ma questa strada sarebbe compatibile con la democrazia e lascerebbe illesi i fondamenti dello stato di diritto. L’apartheid no: apre la porta a un futuro nero.

Per concludere, un auspicio che vuole essere un appello: poiché chi si è vaccinato in molti casi lo ha fatto principalmente per senso di responsabilità sociale, come gli è stato richiesto da diverse voci autorevoli, 
mi aspetto che per la stessa responsabilità sociale, storica, democratica, molti tra i vaccinati rinuncino all’ennesimo dispositivo a-scientifico con cui si intende scardinare la civiltà del diritto, assestandole forse la spallata finale.