Carlo Cuppini

giovedì 29 luglio 2010

Achab

Cento giorni dall'incidente che ha causato la "marea nera" nell'Oceano Atlantico; e i giornali oggi riportano  che la macchia sarebbe sparita dalla superficie dell'acqua; qualcuno sostiene che il peggio è passato; la BP inizia nuove trivellazioni nel Mediterraneo.
La poesia di oggi è l'immagine del capitano di una delle navi incaricate di rimediare alla perdita di greggio, che qualche tempo settimana fa si è tolto la vita. Non sono circolate molte notizie al riguardo; pare che si sia ucciso per la frustrazione e la disperazione davanti all'inarginabilità del disastro. Lo vedo in mezzo a una liquida distesa senza fine di nera, oleosa, luccicante morte biologica. Quest'uomo non aveva ovviamente alcuna responsabilità per ciò che è accaduto. Era lì al contrario per cercare di contenere la catastrofe. A quanto è dato sapere, invece, nessuno dei responsabili del disastro si è suicidato; probabilmente nessuno di loro verrà incriminato, condannato, punito; d'altra parte, ferma restando l'opposizione alla pena capitale, non esisterebbe una pena commisurata all'enormità della colpa, alle sue conseguenze planetarie secolari. La morte di quest'uomo incolpevole sta lì a dichiararlo.
Dalle mie parti, intanto, continuiamo a fare la raccolta differenziata come se avesse senso. E' giusto così: restare umani, almeno per noi stessi. Il giorno prima della bomba atomica, piantare un albero, ha detto qualcuno.
Mi voglio soffermare per un lungo istante sull'immagine di quel capitano, sprofondato in mezzo a quell'infinito, incommensurabile male.

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