Carlo Cuppini

lunedì 30 gennaio 2012

"Militanza del fiore" - recensione di Simone Siliani su "Il Nuovo Corriere"



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IL FIORE IMPEGNATO
CARLO CUPPINI, POETA CIVILE E "MILITANTE"
Simone Siliani

Con la leggerezza di chi lascia “l'orma del sogno nel letto”, Carlo Cuppini ci investe con la forza inaudita della sua poesia civile fin dalle prime nella raccolta “Militanza del fiore” (Maschietto Editore, Firenze, 2011). Sì, poesia civile; senza scandalo né ironia che per lungo tempo sono stati i toni sufficienti con cui si è guardato alla poesia civile. Ma oggi, qui, in questo tempo così impossibile da, non dico capire, ma almeno rappresentare, quale altro passepartout abbiamo per cogliere qualche barlume di senso del mondo se non la poesia, civile? Ma una poesia che milita, combatte non per se stessa, per potersi contemplare e autocelebrare nel suo splendore; bensì per l'Uomo, per la sua fragilità eppure per la sua preziosa unicità così spesso e diffusamente violata, annichilita, devastata. Eppure anche fra le bombe al fosforo a Gaza vi è delicatezza (“tra il tuo corpo che sa/di pane e di temporale/e il mio che proteso su te/ha imparato la fame/adagiato/su te ha trovato/un tempo la pace/nello spazio mancante tra/le membrane/nostre ustionate/non si sente lo schianto/edificio che cade”). Anche nella fossa civile di Ustica c'è lo spazio per la salvezza tutta riposta nell'aereo “che cade/se cade/non cade/lo tiene il bambino/che crede/che cade/che inciampa/non cade/che crede in qualcosa/che crede/che in punta di piedi/lo tiene/sospeso per aria/col dito”.
Ma poi Carlo Cuppini cerca l'impossibile equilibrio fra questa lieve e potente poesia civile con la ricerca interiore. E qui si produce il miracolo, protagonisti la parola non trovata (“non so formulare la parola essenziale/[...] un tempo ricordi ti ho chiesto/ascoltami anche quando non ti so parlare”), l'angelo-poesia (“l'angelo che ha cantato/sparisce/e riappare al di sotto/tra i capelli/sottopelle”, “angelo pane/angelo bicchier d'acqua/angelo tutta luce/cancelli dagli occhi la pece/ritorni respiro all'addome”). Che ci porterà all'immagine più potente e persistente del libro, quella che più di ogni altra riesce a rappresentare la nostra condizione, “ciò che di noi va in frantumi/ritorna polvere e sale”: quella della balena spiaggiata. Tutta la prima sessione, La funzione del corpo. Taccuino politico, ne è intrisa, come un ritornello sempre cangiante eppure incombente: “balena spiaggiata sulla sponda del sonno”, “Darwish cantava di una donna in amore/e a Foggia si spiaggiavano balenotteri”, “il corpo del cetaceo è stato minato/non lo si può rimuovere potrebbe scoppiare/sul suo dorso gigante banchetti coi pargoli/per tre generazioni”, “la balena è spiaggiata in riviera/la balena veleggia sull'acqua/la balena sta implodendo in fondo al mare/la balena è lanciata nello spazio/siamo noi ventre e siamo la balena”, “balena è casa nostra mondo madre”, “il grido selvaggio del pesce/si è sentito fino in cima alla collina/dove è nato il bambino senza occhi”. La balena metafora morente della nostra condizione esistenziale di spiaggiati, bloccati, in un lento inesorabile morire. Come, “alla fine del giro”, il corpo, che ”era in principio”, ora, e sempre. Amen.


“Il Nuovo Corriere di Firenze”, inserto “Cultura Commestibile”, 28/1/2012

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