Carlo Cuppini

sabato 29 aprile 2023

"La lezione del virus", un libro di Nino Finauri, prefazione di Carlo Cuppini

Lo scaffale dedicato alla critica della ragione pandemica si arricchisce di un nuovo volume: “La lezione del virus. Diario pandemico di un insegnante incredulo” di Nino Finauri, Edizioni Malamente.

È una bella notizia, per una serie di motivi.
Il primo è che le letture critiche della gestione del covid si contano sulle dita di due o tre mani, e solitamente, una volta pubblicate, devono percorrere una strada molto accidentata, tra attiva delegittimazione, indifferenza stizzita, boicottaggi, insulti distribuiti ad autore ed editore, censura totale sui social e su altri canali, ormai imprescindibili per la promozione di un libro.
Un’altra ragione per festeggiare l’uscita di questo libro è che non si tratta di un'ulteriore opera di saggistica, ma di un raro “libro saggio”: un libro, cioè, che esprime, tramanda, suscita, provoca saggezza. Ci ricorda la possibilità di essere saggi, purché prima si voglia essere liberi, e almeno un pochino coraggiosi, e anche sorridenti. Ecco, questo lo rende davvero unico. Tra queste pagine troviamo infatti la saggezza complessa della filosofia (l’autore è professore di filosofia al liceo), fatta di dubbio, ricerca intellettuale, inquietudine, discussione pubblica, salto agli ostacoli (della mala retorica), disvelamento di ciò che prima era velato, sfide dialettiche e sollecitazioni maieutiche. E accanto c’è la saggezza semplice della natura (l’autore è un passeggiatore silvestre, un esploratore di mari, un organizzatore cultural-rurale), fatta della flessuosità profumata dei fili d'erba, della voce robusta degli alberi, dell'andirivieni delle onde del mare, dei cicli delle stagioni, della ricchezza nella sobrietà, del rispetto sacro per la vecchiaia, dell’armonia degli ecosistemi.
Un libro saggio, dunque, che non vuole elaborare a posteriori i fatti del covid, che non rimarca le divisioni sociali, non pretende di insegnare, ma ripropone l’incredulità provata giorno per giorno e scritta nelle pagine di un diario pubblico tra il 2020 e il 2022.
Nell’attuale epoca post-pandemica (e pre-chissàcosa) abbiamo proprio bisogno di essere messi alla prova da quella incredulità. E questo è un altro motivo per cui il libro di Nino Finauri è importante, attuale e necessario. Necessario a tutti, vorrei dire; perché non è un libro buono per trovare conferme alle proprie posizioni (critiche), ma è un libro che mette in dubbio, che si mette in discussione, tanto saldo e incalzante nei principi quanto aperto e disponibile negli appelli al dialogo, a una elaborazione comune, popolare, umana, libera dai condizionamenti dei frontman e frontwoman della politica, delle istituzioni, della scienza, del giornalismo… insomma della classe dirigente. È un libro che spera di parlare a tutti, a chiunque voglia ascoltare. Ed è un libro che ascolta, se mai un libro può ascoltare (certo che può).
Ultimo ma non ultimo motivo per apprezzare il libro: i contributi critici di Samuele Giombi (dirigente scolastico), Matteo Giuliani (avvocato), Luca Imperatori (medico), Elisa Lello (sociologa) che lo arricchiscono e danno una prima, immediata attuazione a quel dialogo multidisciplinare, tra posizioni non unanimi, che l’autore evoca e stimola.
Infine, un motivo in più per sostenere la pubblicazione, e la casa editrice: Edizioni Malamente è nata solo due anni fa, dall’esperienza della rivista libertaria omonima, ed è una sfida che ha bisogno di essere sostenuta.
Resta da citare soltanto l'autore delle fotografie che punteggiano di una nebbia oscura, ispirata, possibilista - come nel momento tra il velare e il rivelare - il volume: Emanuele Bertoni.
L’autore e l’editore Luigi Balsamini mi hanno chiesto di scrivere la prefazione di questo libro, cosa che ho fatto con piacere. Ne riporto un passaggio:
“Negli anni pandemici Nino Finauri è stato tra le poche persone di cultura che instancabilmente, senza opportunistiche o tremebonde cautele, ha praticato pubblicamente il pensiero critico, ha messo in dubbio l’indubitabile (il principio di autorità), ha sti- molato dibattiti, ha decostruito il discorso del potere (come una volta facevano gli intellettuali di sinistra, anche a costo di sfilarsi dai ricatti morali delle emergenze e delle scelte ineluttabili), ha lanciato nell’aridità di una discussione pubblica piena di totem, tabù e dogmi il sasso della maieutica, il dubbio intorno all’efficacia e alla proporzione delle misure anti-Covid, la richiesta dell’onere della prova. E ancora: la forza dell’indignazione, il potere spiazzante del paradosso, la grazia del racconto allegorico, il pungolo dell’umorismo. Senza concedersi le chiusure dell’invettiva, del pre-giudizio, del sarcasmo.”
L’editore (che utilizza la licenza Creative Commons, meritando anche per questo un applauso) ha reso la prefazione interamente fruibile sul sito e se volete potete leggerla qui: https://edizionimalamente.it/.../Prefazione-Carlo-Cuppini...

venerdì 28 aprile 2023

"Il mistero delle meraviglie scomparse" al Leggenda Festival, 14 maggio

Leggenda Festival (Empoli, 10-14 maggio) ha un programma ricchissimo, pieno di appuntamenti straordinari. Vorrei seguirli tutti: la solita utopia... A uno però parteciperò di sicuro: quello dedicato a "Il mistero delle meraviglie scomparse"!
Alla libreria La San Paolo libri & persone presenterò, racconterò e leggerò il mio racconto fluviale a piccoli e grandi (anche a chi non crede che i fiumi possano assumere sembianze umane...).
Sarà una presentazione speciale, perché Giulia Gnassi tradurrà e interpreterà il racconto nella lingua dei segni. A beneficio dei non udenti, ma anche degli udenti, e di chi fa orecchie da mercante: perché grazie a lei la narrazione diventerà corpo, le emozioni avranno movimento, le parole saranno gesti, i fiumi scorreranno danzando e travolgeranno le barriere... 
Insomma, è già teatro... quasi! E se appena appena mi faccio prendere anche io la mano, non so dove questa cosa potrà portarci.
Domenica 14 maggio, ore 10:15. Segnate la data: vi aspettiamo.
Qui le info dettagliate.

Grazie a Marta Menichetti per l'invito e l'organizzazione.





martedì 25 aprile 2023

Viva la libertà, e chi la difende

Mi fa una certa impressione sentire parlare di libertà persone che un anno fa non hanno difeso il ragazzino di dodici anni che veniva privato della sua libertà di salire su un autobus o su un treno, pur potendo attestare un ottimo stato di salute con il referto di un tampone, perché privo di vaccinazione anticovid. Persone che non si sono opposte alla privazione delle libertà più essenziali, per milioni di cittadini, giustificata con la solenne menzogna pronunciata dal comandante in capo (“il green pass è garanzia di frequentare persone non contagiose”). Persone che non hanno colto un’insanabile contraddizione tra la risoluzione 2361 del Consiglio d’Europa (1) - “organismo custode dei diritti dell’uomo, della democrazia e dello Stato di diritto” – e l’operato del governo italiano; e tra la nota di Amnesty Italia del gennaio 2022 (2) e le scelte di Speranza-Draghi-alleati-consiglieri. Persone per cui la libertà di milioni di cittadini che non la pensavano come loro su un certo tema di drammatica attualità – minorenni compresi – poteva tranquillamente, oppure doveva assolutamente, essere sacrificata (senza poi sentirsi obbligati a fare valutazioni a posteriori sulla necessità o utilità di questa misura, e sulla responsabilità che si erano assunti sostenendola).

Va ricordato che non tutti si sono comportati in questo modo; e che a opporsi a questo corso non sono stati soltanto gli assalitori della CGIL di Roma: mi risulta, per esempio, che un migliaio di professori universitari abbiano firmato un appello contro il green pass nell’ottobre 2022. Nel mio impegno per la stessa causa ho avuto il piacere di conoscerne più d’uno. E 33 di questi sono stati poi sospesi per rifiuto di mostrare il certificato, rischiando di rovinarsi la carriera (3).
Mi fa una certa impressione sentire parlare oggi di libertà queste persone che un anno fa hanno taciuto. Lo so che nella stragrande maggioranza dei casi erano in buona fede, che si sono fidati delle autorità e delle istituzioni (non di tutte, però: non del Consiglio d’Europa, per esempio; i media del resto li hanno aiutati a non vivere conflitti interiori, evitando di dare anche marginalmente notizia di quella risoluzione, come della nota di Amnesty); so che hanno pensato che facendo “come tutti”, pensando “come tutti”, restando insomma nell’ortodossia non si potesse fare male.
Tuttavia io credo che la libertà non abbia a che fare con la fiducia nelle autorità e nelle istituzioni (il che non significa che si debbano guardare a priori con sospetto); né con il rispetto di qualsivoglia ortodossia; né con la buona fede.
Quindi oggi faccio gli auguri a chi sa distinguere il dispotismo e l’irrazionalità del potere anche quando non puzza di olio di ricino; anche quando è apprezzato nei buoni consessi internazionali; anche quando riceve il plauso del Presidente della Repubblica e la benedizione papale.
Auguri a chi si batte per la libertà anche quando questo significa mettersi contro i doppiopetti più rispettati e potenti d’Europa, talmente blasonati da spingere all’autocensura la quasi totalità della classe dirigente, scientifica e intellettuale.
Oggi dico viva la libertà e viva chi la difende, contro gli abusi sguaiati e puzzolenti dei fascisti e contro quelli beneducati e deodorati dei democratici.
Viva la libertà e viva chi la difende quando c’è il sole e anche quando piove.
Viva la libertà e viva chi la difende, per quelli che – su qualunque materia – la pensano allo stesso modo, e per quelli che la pensano all’opposto.
Viva la libertà e viva chi la difende, anche quando difenderla significa essere trattato – da chi ha alle spalle la ragione di Stato – come un paria, un malintenzionato, un sabotatore, un fascista, un delegittimato, un’etichetta.
Viva la libertà e chi la difende, senza la retorica e il conforto delle celebrazioni nobilitanti, ecumeniche, identitarie.
Viva la libertà, quella vera, che è antifascista, è anticonformista, è intelligente, attira antipatie e incomprensioni, suscita imbarazzi e risatine, scandalizza i benpensanti, nuoce gravemente alla salute dei perbenisti. Che non è gratis, e se è gratis dentro c’è la fregatura.
Viva la libertà eretica, scandalosa, “sbagliata”, che non compiace, che non fa fare carriera, che disturba, che non è oggetto di celebrazioni, che può essere discutibile e fa discutere, che è “diseducativa” (ripensando agli aforismi dell’ex ministro Bianchi: “Il rientro in classe dei docenti non vaccinati sarebbe diseducativo”, “La mascherina in classe ha un valore educativo”).
Perché di quell’altra libertà, francamente, non so bene che farmene.
Note:
(1) “7.3.1. ensure that citizens are informed that the vaccination is NOT mandatory and that no one is politically, socially, or otherwise pressured to get themselves vaccinated, if they do not wish to do so themselves;
7.3.2. ensure that no one is discriminated against for not having been vaccinated, due to possible health risks or not wanting to be vaccinated”
(2) “il governo deve continuare a garantire che l’intera popolazione possa godere dei suoi diritti fondamentali, come il diritto all’istruzione, al lavoro e alle cure, con particolare attenzione ai pazienti non-Covid che hanno bisogno di interventi urgenti e non devono essere penalizzati.
In ogni caso, Amnesty International Italia chiede che siano previste misure alternative – come l’uso di dispositivi di protezione e di test Covid-19 – per permettere anche alla popolazione non vaccinata di continuare a svolgere il proprio lavoro e di utilizzare i mezzi di trasporto, senza discriminazioni.”

giovedì 20 aprile 2023

A scuola con Matteotti e La Pira

Tempo fa, dopo l’orrendo sfregio anti-antifascista compiuto dal dirigente governista Claudio Anastasio, ho tenuto per qualche giorno come immagine di copertina di Fb una foto che mostra il bel volto sorridente di Giacomo Matteotti.
Questa mattina sono stato nella scuola primaria Giacomo Matteotti – una grande, ariosa, bella scuola fiorentina – dove in questi giorni si svolge la Festa del Libro, con scrittori e scrittrici che vanno a incontrare gli scolari e una biblioteca che si anima di suggerimenti e novità.
Ero stato invitato per presentare “Il mistero delle meraviglie scomparse” alle classi quarte e quinte. E poiché il mio libro parla anche di libertà e di pace, è stato ovvio parlare di Matteotti, il cui spirito aleggia tra quei muri curiosi e istruiti.
Novantanove anni fa Matteotti fu ammazzato perché difendeva la libertà. Ma prima era stato isolato, e anche sbeffeggiato, dai suoi stessi compagni perché difendeva la pace. A quel tempo accadeva infatti che i “pacifisti” sostenessero con grande slancio, e perfino con una certa protervia, la “guerra che avrebbe messo fine a tutte le guerre”.
Il mio racconto fantastico parla di libertà – quella sfrenata e naturale che il fiume porta in mezzo alla città, in barba a tutte le sue (per carità, utilissime!) regole, norme e discipline. E parla di pace, sostenendo che nei conflitti il punto non è dare ragione a questo o a quello, ricostruendo tutta un'infinita filiera di torti e di prelazioni, ma anteporre il piacere della condivisione all'aggressività delle rivendicazioni. Il punto non è “di chi è, e chi può trarne vantaggio”, ma “chi se ne prende cura, e per chi”.
Abbiamo parlato anche di Giorgio La Pira, leggendario sindaco fiorentino che nel 1955 riuscì a radunare proprio a Firenze i sindaci di tutte le capitali del mondo per pronunciare e sottoscrivere tutti insieme una serie di solenni “mai più”; un evento che ha un’eco nel mio libro, dove si racconta del “grandissimo accordo di pace” siglato dai potenti della Terra proprio a Firenze.
I bambini e le bambine non hanno affatto un’idea astratta e favolistica di questi concetti, come qualcuno potrebbe pensare; al contrario, ne hanno una percezione molto concreta, ed è un piacere e un grande stimolo cimentarsi con loro in simili discussioni.
A scanso di equivoci, preciso che parlando di questi temi ci siamo fatti delle grandi e grasse risate, giocando con gli esempi più strampalati e inventando frammenti di racconti paradossali. Non c’è mica bisogno di essere pesanti, moralisti e contriti, per parlare di cose serie e anche drammatiche! Anzi, come ci ha insegnato Rodari, il buonumore è, è stato e sempre sarà la più potente arma contro le ingiustizie e contro il digrignante intristimento che da esse deriva. Insieme al potere liberatorio e chiarificatore dell’immaginazione.
Un grande ringraziamento alle libraie della libreria LibLab, che hanno suggerito il mio libro per la Festa del Libro, e alle maestre, ai maestri e alla dirigente della scuola Matteotti che hanno accolto il suggerimento. E un pensiero alato, pieno di fiducia, di incoraggiamento e di gioia, a tutte le bambine e i bambini che questa mattina ho incontrato.
(Sempre grazie a marcos y marcos, ça va sans dire.)

sabato 15 aprile 2023

Immaginiamo insieme

Ultima mattina ad Arezzo (per ora: ci tornerò i primi di maggio), per incontrare quattro classi dei borghi di Staggiano e di Marciano.
Propongo anche a loro il gioco dell’immaginazione, ormai un classico di questi incontri: “Qual è la cosa che rende speciale, bellissimo e unico il luogo in cui vivi? Che cosa proveresti se una mattina quella cosa sparisse? Come reagirebbero gli altri? Gli adulti? E i bambini?”
Per questi bambini le cose che rendono speciali i loro luoghi sono le famiglie, i genitori, il fratellino, la sorellona, il cane, il gatto. Ma anche i pesci, uno scarabeo, un seme che viene annaffiato tutti i giorni e ancora deve germogliare, un boa.
“Un boa?”
“Sì, un boa. Lo teniamo in una teca.”
Poi il paesaggio, il tramonto, la libertà di fare quello che voglio. Gli amici. Il parco. Il campo da calcio. Niente tecnologia.
Una bambina dice: “A me dispiacerebbe se sparisse Il mistero delle meraviglie scomparse.”
“Il libro?”
“Sì.”
“In quel caso ci troveremmo di fronte al mistero del Mistero delle meraviglie scomparse scomparso!”
Immaginiamo insieme l’inizio della storia del boa scomparso…
Poi mi tempestano di domande, e io cerco di rispondere, facendo passare in filigrana la magia dello scrivere, la forza del raccontare, il segreto delle storie che si annidano in ogni dove… e una volta iniziate non hanno mai fine - sì: continuano anche dopo la fine del libro!
Infine mi mostrano dei lavoretti meravigliosi. Una classe ha fatto un libro artigianale dove ogni bambino, arrivato a metà della lettura, ha immaginato, scritto e disegnato il suo finale. Un'altra ha costruito un libro che raccoglie i pensieri e i disegni sulla parte più bella della storia secondo ciascuno (noto che in tre hanno scelto il momento - tutto sommato non centrale nella trama - in cui i potenti della Terra si riuniscono all'interno di un tendone da circo, neanche fossero pagliacci...). Le altre due classi hanno realizzato dei bei cartelloni pieni di disegni e di domande.
Firmo un’ottantina di copie. Esco frastornato e felice…
Tornato a casa, trovo un messaggio su Messenger: “Buonasera, sono la mamma di …, uno dei bambini della scuola di Terranuova Bracciolini. Ieri è tornato a casa felice, emozionato e pieno di nuove idee... mi ha detto che presto vorrebbe scrivere un libro anche lui. Grazie.”
Grazie. Grazie. Grazie. Buone storie a tutti. Quelle lette, quelle scritte, quelle vissute, quelle soltanto immaginate.

giovedì 13 aprile 2023

"Io mi ricordo benissimo che li ha azzurri!"

Stamattina, nel salone della Biblioteca Città Di Arezzo, ho incontrato bambine e bambini arrivati da tre piccoli borghi del Casentino (Capolona, 5000 abitanti; Pergine, 6000 abitanti, e Rassina, 1874 abitanti). Poi, percorrendo meravigliose strade in mezzo ai campi bagnati dalla pioggia, ci siamo spostati a Ciggiano (610 abitanti), dove, nella scuoletta accanto alla chiesetta, ho incontrato due classi.
(“Ci siamo spostati”: io e Barbara, che con le altre librarie della Casa sull’Albero ha proposto il mio libro alle scuole del territorio e organizzato questa magnifica quattro-giorni su e giù per il Casentino.)
Inutile dire che i piccoli lettori mi hanno ricoperto di entusiasmo, affetto, domande, storie, doni preziosi...
Visto il successo che ieri ha avuto l’esercizio di immaginazione sulle “cose che rendono bellissimo e unico il posto in cui vivi”, l’ho riproposto. E anche oggi non sono mancate risposte profonde, che meriterebbero di dare il "la" a una storia.
“La cosa che rende bellissimo il posto dove vivo è la mia famiglia.”
Per i bambini che ho incontrato oggi ciò che rende bellissimo e unico un posto sono soprattutto le relazioni (con esseri umani o altri animali). In totale, tra le varie classi, ho raccolto mezza dozzina di famiglie, quattro fratelli, una sorella, dieci cani, cinque gatti, sette tartarughe. Merita di essere citato “il cane dei nostri vicini, e anche mio fratello”. Poi c’è stato “il paesaggio che vedo quando apro la porta”, un “immenso bosco dietro casa mia”, un campo, “tutti gli animali e le piante intorno a casa”, “la torre del castello dove abito, anche se è vuota”, “uno straccetto con la testa di orso”, “un pupazzo gatto”. Poi c'è “una fotografia dove ci siamo io e la mia migliore amica”. Alla fine salta fuori anche la tecnologia, tutta in una classe: “un videogioco con Topolino”, “la mia playstation”, “il mio tablet e il mio gatto”.
Allora immaginiamo che un bambino si sveglia ed è sparita la sua famiglia. Dove può essere finita? Sarà soltanto un brutto sogno? O saranno stati gli alieni? "Forse sono partiti come in 'Mamma ho perso l'aereo!'"
E adesso immaginiamo una storia che comincia così: "Questa mattina è successa una cosa terribile: mi sono svegliata e la fotografia che mi ritrae accanto a Ginevra era scomparsa. Sta appesa sul muro accanto al letto, ed è la prima cosa che guardo appena mi sveglio, perché mi ricorda tutte le cose belle che ho vissuto insieme alla mia migliore amica, e mi fa pensare a quelle che ancora vivremo. L'ho cercata per terra, sotto il letto, ovunque: non c'era, e in casa nessuno ne sapeva niente. Allora, prima di andare a scuola, sono corsa da Ida, l'anziana signora dell'edicola, che sa tutto, o quasi. Ero certa che avrebbe saputo darmi un consiglio..."
Le maestre si impegnano a dedicare una mattina alla scrittura e alla lettura di queste storie: tanti misteri delle meraviglie scomparse quanti sono gli alunni.
Poi stuzzico i piccoli lettori: “Qualcuno si ricorda di che colore ha gli occhi Filippo?”
“Azzurri!”
“No, marroni!”
“Neri!”
“Avete ragione tutti! Perché nel libro non c’è scritto.”
“Ma come?! Io mi ricordo benissimo che li ha azzurri!”
“Te lo sei immaginato. Sembra incredibile, ma nei libri mancano tantissime informazioni essenziali. Eppure nessuno se ne accorge, perché la nostra immaginazione riempie tutti i buchi che incontra, come un bicchiere d’acqua versato su una dama cinese.”
Quello che può la loro immaginazione è raccontato dai lavori magnifici, realizzati con impegno straordinario, che al termine degli incontri mi mostrano con emozione e orgoglio.
“Visto che nel libro non ci sono le illustrazioni le abbiamo fatte noi, ognuno si è preso un capitolo, sono tutte qui dentro.”
Poi viene srotolato un foglio più grande di un lenzuolo che mostra con precisione infografica tutti gli approfondimenti che un gruppo ha fatto a partire dal libro: e tra foto, disegni e annotazioni c’è la storia, la storia dell’arte, la geografia, la scienza, la geometria, la conoscenza del territorio, l’educazione civica...
Una maestra: "Leggendo il libro ci è venuta voglia di andare a visitare la riserva naturale della Valle dell'Inferno, così abbiamo organizzato una gita per maggio."
Che bello, che un libro possa mettere in moto le gambe, oltre che l'immaginazione!
“Io ho una domanda: perché hai fatto ricomparire i monumenti in giro per il mondo, invece che farli sparire e basta?”
“Un motivo c’è, ma non ve lo dico… A qualcuno viene in mente?”
“Perché così si capisce che è stupido litigare per chi è il proprietario delle cose belle, che bisogna condividerle.”
“Bravissimo. Non si potrebbe dire meglio.”
Grazie di cuore a Barbara Gigli e alle fantastiche librarie di La Casa Sull'Albero Arezzo; alle maestre che hanno adottato questo libro e hanno inventato percorsi di lettura, di approfondimento e di creatività straordinari; alle biblioteche e alle altre realtà che hanno collaborato ai progetti di lettura; alle bambine e ai bambini che mi stanno riempiendo il cuore.
E grazie come sempre alla casa editrice marcos y marcos, che ha trasformato il mio racconto in un libro e in mille opportunità di incontro.

mercoledì 12 aprile 2023

"Di quel lupo neanche l’ombra"

Entro nel teatro della biblioteca di Terranova Bracciolini (sì, c’è un teatro dentro la biblioteca!) e trovo 97 bambine e bambini che mi aspettano urlando “Car-lo! Car-lo! Car-lo!…”.

Un benvenuto così è impossibile dimentiCarlo…
Hanno tutti già letto “Il mistero delle meraviglie scomparse” e sventolano le loro copie come bandierine.
Parliamo di loro, di me-scrittore, di Terranova e di Firenze (due città collegate dall’Arno: “Se da qui buttate un tappo di sughero nel fiume, il giorno dopo può darsi che io lo veda passare sotto il ponte di Santa Trinita.”)
Hanno smania di farmi delle domande. Danny, nato in Albania, un sorriso bello come il sole tra le guance rotondette, ne ha preparate decine, tutte molto importanti.
“Carlo, perché in questa storia hai fatto sparire le meraviglie di Firenze?”
“Ti rispondo con un esercizio di immaginazione. Pensate al luogo in cui vivete, che sia Terranuova o una frazione, o un posto in campagna. Ci state pensando? Bene. Cercate di capire che cos’è che rende questo posto bellissimo, prezioso e unico ai vostri occhi. Qualcosa di questo tipo c’è per forza, e non è detto che sia un monumento, potrebbe essere anche un pagliaio o un’edicola. Ecco, adesso immaginate che questa cosa sparisca. Quel posto cambierebbe moltissimo, giusto? Sarebbe sconvolgente svegliarsi e non trovare proprio quella cosa. E questo è già l’inizio di una storia interessantissima, non è vero? Allora, chi mi dice qual è la cosa che rende bellissimo il posto in cui vive?”
“Io!”
“Sentiamo…”
“La mia fattoria.”
“Io! La statua di Poggio Bracciolini.”
“Io! Il campo di grano dietro casa.”
“Io! Il torrente dove prendo i pesci con le mani.”
“Davvero prendi i pesci con le mani, e che pesci sono?!”
“Credo… squali.”
“Io, io!”
“Dicci pure.”
“Il fatto che non c’è mia nonna.”
“Non ho capito… Il fatto che non c’è tua nonna rende bellissimo il posto in cui vivi?”
“Sì!”
“E perché mai?!”
“Perché mia nonna mi tratta malissimo!”
“Ma… come?! Come quella del libro di Roald Dahl?!”
“Esatto!”
“Io! Io!”
“Che cosa rende bellissimo il posto in cui vivi, Filippo?”
“Un lupo mannaro con tre teste!”
“Ma devono essere cose vere…”
“Ma quello è vero!”
“Va bene. Allora proviamo a cominciare…
Dalle mie parti vive un lupo mannaro con tre teste. Anzi, viveva. Infatti da tre giorni è scomparso e io non mi do pace. L’ho cercato ovunque: dietro la macchine parcheggiate, lungo il greto del torrente, dentro il casotto del benzinaio. Niente da fare. Di quel lupo neanche l’ombra. Nemmeno un’orma. …

venerdì 7 aprile 2023

Una sentenza che è un'orazione civile

Vorrei richiamare l’attenzione sulla sentenza del 10 marzo del Tribunale Militare di Napoli (giudice Andrea Cruciani, relativa a un militare accusato di essere entrato nel luogo di lavoro senza green pass) per due motivi. Primo: i media non ne hanno fatto cenno (tranne una testata di cui non ho molta considerazione) come se fosse un fatto irrilevante, mentre io penso che avrà un peso nella storia giudiziaria del Covid, e per questo merita di essere conosciuta da chi si interessa a questo aspetto. Secondo: a prescindere dal potere che avrà di “fare giurisprudenza” sul tema del green pass e degli obblighi vaccinali, il testo costituisce una vibrante orazione civile che a mio avviso merita di essere letta, meditata, diffusa. 

Per quello che mi riguarda, alcuni passaggi andrebbero letti nelle scuole.

Il testo è piuttosto lungo (20 pagine), molto argomentato, documentato e fitto di riflessioni e considerazioni contestuali. Dal punto di vista tecnico, per quello che posso valutare da profano, è estremamente solido; ma in questo senso non costituisce una novità assoluta rispetto ad altre sentenze (richiamate nel testo) che sullo stesso tema sono andate nella medesima direzione: assolvendo l’imputato e condannando invece la misura del green pass e/o l’obbligo vaccinale. 

La forza di questa sentenza a mio avviso si trova sul piano letterario, per così dire: laddove esprime la tragedia di una società divisa, squartata dalle misure massimaliste e ciniche prese da un governo che non ha guardato in faccia a niente e a nessuno, nemmeno ai minorenni e agli adolescenti. Vediamo qui un giudice che non ha paura di prendere nettamente le distanze da uno specifico pronunciamento della Corte Costituzionale, motivando in dettaglio, con grande lucidità e con altrettanto vigore, la propria decisione. In queste pagine leggiamo una lezione su quali rapporti dovrebbero sussistere, in uno stato di diritto, tra l’ambito del diritto e quello della scienza; ascoltiamo un accorato appello a rimettere al centro dell’operato delle istituzioni i valori centrali della Costituzione, a partire dalla dignità della persona e del lavoro; il quale, a valutare dalle disposizioni e dal pronunciamento della Consulta di ottobre, sembra essere stato ridotto, implicitamente, a fatto accessorio: lavoro come lusso di cui un cittadino può essere privato anche in assenza di stringenti motivazioni.

Tecnicamente, il cuore della sentenza si riassume facilmente: il militare è assolto perché il fatto non sussiste, cioè non si dà il caso dell’offensività della condotta. In parole povere, il fatto che il militare non vaccinato sia entrato nel luogo di lavoro per timbrare il cartellino non ha determinato un rischio di contagio maggiore rispetto a quello causato dalla presenza dei colleghi entrati esibendo il green pass. E questo in considerazione del fatto che il vaccino non è garanzia di non infettarsi e di non infettare: non lo è mai stato, e meno che mai lo era – dati ufficiali alla mano – nei lungo autunno-inverno del green pass e del super green pass.

Si può dire che il green pass abbia costituito riduzione del rischio, in qualche misura, a livello statistico; per quanto un non vaccinato e un vaccinato da più di tre mesi avessero e abbiano la stessa identica possibilità di infettarsi (se ignoriamo i dati emersi da settembre scorso sull’immunità negativa, almeno in apparenza, dei vaccinati con la terza dose). Ma questa ipotetica riduzione statistica di certo non consente di considerare proporzionato la negazione del lavoro e della retribuzione di un individuo.

Caso mai servisse la “prova del nove”, basta notare che l’Italia del green pass e la Spagna senza green pass sono uscite in modo identico dalla pandemia (la Spagna prima, e meglio, caso mai).


Del resto, anche se la sentenza non la cita, non si può non ripensare alla nota ufficiale dell’Associazione Nazionale Medici Aziendali, risalente al settembre 2021, all’alba quindi dell’epoca del green pass, che dichiarava nel modo più netto che quello strumento non era assolutamente idoneo a garantire la sicurezza epidemiologica sui luoghi di lavoro, e che, non potendo realisticamente sottoporre tutti i lavoratori a tamponi quotidiani, l’unica reale forma di sicurezza sul lavoro erano i protocolli già in vigore: sanificazione, igiene, distanziamento, mascherine, aerazione…

Chi mai dovrebbe intendersi di sicurezza sui luoghi di lavoro, se non l’Associazione Nazionale Medici Aziendali? Eppure la loro nota è stata ignorata dal governo "dei migliori”, dal governo del “comanda la scienza”, dal governo progressista, democratico, per metà aspirante “laburista”; ignorato, al pari della richiesta di Amnesty di garantire a tutti, anche ai non vaccinati, tutte le opportunità, a partire dal diritto al lavoro; ignorato, come la risoluzione del Consiglio d’Europa 2361/2021 che, in piena pandemia, e agli albori della campagna vaccinale, chiedeva a tutti gli Stati di non discriminare i non vaccinati e di non esercitare pressioni per spingere alla vaccinazione: “7.3.1. ensure that citizens are informed that the vaccination is NOT mandatory and that no one is politically, socially, or otherwise pressured to get themselves vaccinated, if they do not wish to do so themselves;  7.3.2. ensure that no one is discriminated against for not having been vaccinated, due to possible health risks or not wanting to be vaccinated”. (Il NOT è in maiuscolo nel testo originale).


Forse questo giudice sarà considerato un visionario, un anti-vaccinista, un provocatore; e anche un terrapiattista-fascista-trumpiano-putiniano… perché così funziona la censura oggi: delegittima e rende grottesco, innescando ovunque l’efficientissimo e gratuito meccanismo dell’autocensura. 

Ma allora come mai nel merito medico/scientifico la sua posizione coincide con quella dei Medici Aziendali? E come mai le sue considerazioni etiche, politiche e di principio convergono con quelle del Consiglio d'Europa e di Amnesty International?

Il punto è che se considerassimo valide le considerazioni scientifiche dei Medici Aziendali e quelle etiche/politiche di Amnesty e del Consiglio d’Europa, cioè se avesse ragione questo giudice, allora sarebbe inevitabile rileggere l’operato della draghisfera (intendendo non solo il suo governo, ma tutto ciò che ha approvato le sue misure, dal Presidente della Repubblica ai partiti della maggioranza e non solo, agli editorialisti, agli influencer, ai singoli cittadini assenzienti) come la più brutale, irrazionale, ingiustificata manifestazione di autoritarismo che la Repubblica abbia conosciuto dalla sua nascita.


Deve essersi trovata proprio di fronte a questo dilemma, la Corte Costituzione, nel momento in cui è stata chiamata a esprimersi sulla costituzionalità degli obblighi e del green pass. Lo scrivevo in un post (“Il dilemma del giudice”) alla vigilia del pronunciamento del 30 novembre scorso: salvare il governo, il Presidente della Repubblica, l’80% della classe dirigente, del mondo partitico, istituzionale e mediatico, o affermare la semplice razionalità e la semplice giustizia applicando il dettato Costituzionale? Era ovvio che la scelta sarebbe stata la prima. Il green pass sarebbe potuto essere fermato a monte, come hanno fatto le Corti Costituzionali spagnole, senza distruggere lo Stato; ma di certo non era possibile valutarlo con oggettività a cose fatte, poiché nessuno Stato potrebbe permettersi di affrontare lo tsunami che ne deriverebbe: tutto verrebbe spazzato via. E quindi… ”To big to fail”, per così dire. A costo di distruggere la credibilità della Corte Costituzionale.

Il giudice Cruciani va al fondo di questa contraddizione, e la Corte Costituzionale, appunto, ne esce molto male. Nella sentenza sono richiamati i precedenti pronunciamenti della stessa Corte in merito a obblighi vaccinali, trattamenti sanitari obbligatori ecc., e si mostra che per arrivare a definire “non irragionevole” l’obbligo del vaccino anti-covid e il green pass è stato necessario arrampicarsi in modo grottesco (dico io) sugli specchi. Clamoroso il seguente passaggio: in passato la Consulta ha decretato che gli obblighi sanitari sono legittimi soltanto quando gli eventuali effetti avversi sono definibili “tollerabili”, cioè temporanei e lievi; adesso quindi, per legittimare l’obbligo di vaccino anticovid, decide che questi trattamenti sono da considerarsi “tollerabili” in virtù del fatto che, in caso di reazioni gravi (anche fatali), danno diritto a un indennizzo.

Qualcuno riderà, ma c’è poco da ridere. Quando la Corte Costituzionale decide di perdere completamente la sua credibilità in nome delle convenienze politiche, lo scenario è tragico e i cittadini restano orfani delle istituzioni più alte. Restano cioè senza garanzia di giustizia.


Si legge nella sentenza di Napoli: “Questo giudice si discosta invece da tale ultima interpretazione della Consulta, ritenendo che le menzionate statuizioni della consolidata e pregressa giurisprudenza della stessa Corte Costituzionale (…) anche utilizzando il mero criterio ermeneutico letterale, vadano interpretate in tutt’altro modo, e più precisamente nel senso che la legge impositiva di un trattamento sanitario non è incompatibile con l’art. 32 Cost. solo se gli unici effetti negativi prevedibili siano temporanei, di scarsa entità e tollerabili. Giammai quindi allorché effetti avversi gravi, irreversibili e finanche fatali fossero prevedibili. (…) Un trattamento sanitario obbligatorio inteso in tal senso, ad avviso d questo Giudice, violerebbe ‘i limiti imposti dal rispetto della dignità umana’ (art. 32 Cost.), risultando disumano.”


Del resto Giuliano Amato, presidente della Corte Costituzionale fino al settembre 2022, lo aveva detto chiaramente in conferenza stampa il giorno stesso della sua elezione (29 gennaio 2022): “La giurisprudenza della Corte costituzionale, nelle materie in cui la Scienza ha un peso, è di ascoltare le ragioni della Scienza.” Una frase che appare folle, un non-sense degno di Lewis Carroll, se pensiamo che la scienza, soprattutto sulle situazioni nuove e in via di svolgimento, non ha *una* voce, ma molte voci, spesso contrastanti, e procede per ipotesi diverse e anche contrarie, le quali vengono dibattute e ridotte via via che si accumulano dati e conoscenze conclusive. Quella maiuscola usata da Amato nel tweet fa di quel complesso ambito del sapere umano che è scienza un totem, una divinità inesistente, davanti alla quale inginocchiarsi tacendo. E non esistendo una divinità del genere, con un nome del genere, è del tutto evidente a cosa si riferiva Amato: alle autorità scientifiche statali, che invece esistono. Infatti la sentenza della Consulta fa riferimento all’ISS: non ai dati dei vari rapporti pubblicati, passati magari al vaglio della ragione, ma a qualche affermazione apodittica scritta in qualche paragrafo introduttivo (tipo che i vaccini sono molto efficaci nel prevenire l’infezione).

Non importa se oggi i vertici di quelle stesse istituzioni risultano indagati con una serie di gravi capi di imputazione; non importa il torbido che, anche al di là degli eventuali rilievi penali, è emerso dalle intercettazioni messe agli atti e pubblicate nelle scorse settimane; non importa se tre ricercatori dell’ISS hanno pubblicato uno studio che si discosta nettamente dalla posizione ufficiale dell’Istituto in materia di strategia vaccinale, alla luce di un rapporto rischio/beneficio da rivalutare urgentemente.


Scrive il Giudice a pagina 10 della sentenza: “Il Giudice quindi non può limitarsi a recepire passivamente e supinamente dei dati scientifici ancora non definitivi e provvisori, sia pure se provenienti dalle autorità nazionali ed internazionali preposte alla ricerca scientifica, con apodittici richiami a tali dati. Al contrario il Giudice è tenuto ad operare un vaglio critico su tali dati, debitamente illustrando quale ipotesi scientifica ritenga applicabile al caso concreto e per quali motivi.”

Che differenza con la tautologia salva-potere di Giuliano Amato!


Evidentemente, la priorità assoluta delle istituzioni è tutelarsi a vicenda, a qualunque costo. La loro specifica missione tecnica (tutelare la salute pubblica, garantire il rispetto del dettato costituzionale...) entra in gioco soltanto se e quando il primario obiettivo è stato raggiunto. Ricordate? Speranza: "Conviene non dare troppe aspettative positive", Brusaferro (ISS): "Allora non mistero i dati che ti ho inviato". E ancora, Sileri (viceministro della Salute): "I giornalisti mi chiedono e io devo mentire per rispetto alle istituzioni". E ricordate Remuzzi che, dopo avere dimostrato che l'uso sistematico degli antinfiammatori avrebbero ridotto del 80-90% le ospedalizzazioni, si spertica in elogi al governo, pur avendo questo - insieme ad Aifa - sempre sorvolato sul ruolo degli antinfiammatori, equiparandoli implicitamente al paracetamolo e indicandoli nei protocolli terapeutici solo per il trattamento sintomatico della febbre e dei dolori, e non per la loro dirimente funzione appunto di evitare un possibile decorso grave della malattia infiammatoria. Eppure tutto - TUTTO - è stato fatto, e qualunque costo sociale è stato sostenuto, per evitare che il numero enorme di ospedalizzazioni facesse saltare il sistema sanitario; e nella seconda fase le restrizioni e il cambio di "colore" scattavano proprio sulla base della percentuale di letti occupati negli ospedali...


Nella sentenza segue una parte sulle reazioni avverse, in cui il giudice valuta giustificata la scelta di non vaccinarsi in virtù dello “stato di necessità”: necessità di tutelarsi dal reale rischio di incorrere in una reazione avversa grave, anche letale, quale che sia la sua probabilità. 

Ma questo aspetto, personalmente, mi interessa meno, e vado alla riflessione conclusiva sulla dignità della persona e sulla centralità del lavoro nella nostra Costituzione e nella nostra democrazia.


Leggendo questa parte mi sono venute le lacrime agli occhi, e non in senso metaforico. Le parole scritte nero su bianco dal giudice Cruciani mi hanno commosso profondamente. Hanno sciolto una contrattura civile che mi portavo dentro da mesi, la stessa che mi ha reso dolorosamente estranei amici, parenti, conoscenti; la stessa contrattura che ha spinto me e tanti altri a forme di protesta radicali, fino allo sciopero della fame. Le parole di questo giudice, scritte e pubblicate adesso che l’onda è passata, mi fanno pensare che non tutto è stato travolto e portato via, e che anche in futuro ci sarà chi sarà pronto a resistere al fascismo trasparente, quello che non puzza di olio di ricino, che non dice mai una parola politicamente scorretta e frequenta tutti i salotti internazionali giusti.

In questo senso parlo di orazione civile.


“Ci si deve necessariamente e nuovamente discostare da quanto pur sostenuto nella citata sentenza della Corte Costituzionale (…) allorché si afferma che: ‘l’obbligatorietà del vaccino lascia comunque al singolo la possibilità di scegliere se adempiere o sottrarsi all’obbligo, assumendosi responsabilmente, in questo secondo caso, le conseguenze previste dalla legge.’ Una tale interpretazione, esasperatamente formalistica e cinica, finisce anche per svilire la centralità che la stessa Costituzione attribuisce al lavoro, quale imprescindibile mezzo di sostentamento e di sviluppo della persona umana.”


“Questo Giudice intende piuttosto adottare un’interpretazione costituzionalmente orientata (…) Sul lavoro infatti si fonda non solo la dignità professionale ma anche la dignità personale dell’essere umano che vuole mantenersi con le proprie forze, costituendo il reddito da lavoro per lo più il reddito di sussistenza, senza il quale si scivola nel degrado e nella dipendenza. (…) Il lavoro, quindi, per una persona che intende vivere una vita libera e dignitosa, non è una scelta, bensì una necessità. Non vi è dunque margine di scelta alcuno per il lavoratore, il quale se vuole continuare a sopravvivere dignitosamente, si vede costretto a sottoporsi al trattamento sanitario obbligatorio, essendo previsto, per il caso di non adempimento, la sospensione dal lavoro e dalla retribuzione.”


Dunque il Giudice dichiara “non luogo a procedere (…) perché il fatto non sussiste.”


Qui si può leggere il testo integrale della sentenza.