Carlo Cuppini

giovedì 29 luglio 2010

Achab

Cento giorni dall'incidente che ha causato la "marea nera" nell'Oceano Atlantico; e i giornali oggi riportano  che la macchia sarebbe sparita dalla superficie dell'acqua; qualcuno sostiene che il peggio è passato; la BP inizia nuove trivellazioni nel Mediterraneo.
La poesia di oggi è l'immagine del capitano di una delle navi incaricate di rimediare alla perdita di greggio, che qualche tempo settimana fa si è tolto la vita. Non sono circolate molte notizie al riguardo; pare che si sia ucciso per la frustrazione e la disperazione davanti all'inarginabilità del disastro. Lo vedo in mezzo a una liquida distesa senza fine di nera, oleosa, luccicante morte biologica. Quest'uomo non aveva ovviamente alcuna responsabilità per ciò che è accaduto. Era lì al contrario per cercare di contenere la catastrofe. A quanto è dato sapere, invece, nessuno dei responsabili del disastro si è suicidato; probabilmente nessuno di loro verrà incriminato, condannato, punito; d'altra parte, ferma restando l'opposizione alla pena capitale, non esisterebbe una pena commisurata all'enormità della colpa, alle sue conseguenze planetarie secolari. La morte di quest'uomo incolpevole sta lì a dichiararlo.
Dalle mie parti, intanto, continuiamo a fare la raccolta differenziata come se avesse senso. E' giusto così: restare umani, almeno per noi stessi. Il giorno prima della bomba atomica, piantare un albero, ha detto qualcuno.
Mi voglio soffermare per un lungo istante sull'immagine di quel capitano, sprofondato in mezzo a quell'infinito, incommensurabile male.

mercoledì 28 luglio 2010

Anche se

per a. s. 
in cambio di un paio di scarpe

Ognuno è affezionato alla sua cella
per questo si sta dove si sta
anche quando non va
quando il caldo consuma le sinapsi
e l'umido ingrossa gli interstizi
le piante grasse implodono
e le termiti divorano il letto.

Ognuno resta dove sta
in questo lungo vuoto di storia
anche se l'angelo sta accucciato sul tetto
enorme e scuro in attesa
animale notturno di buio
lo sguardo fisso sulla montagna
dà le spalle alla nostra città.

lunedì 5 luglio 2010

Poesia e resistenza




Tempi brutti per la poesia

Bertolt Brecht

Non potrei desiderare di essere nata in un’epoca
migliore di questa, in cui tutto è perduto
Simone Weil

I prigionieri, al contrario, pensano servendosi
di un vocabolario tutto loro
John Berger


1. Non sono questi tempi adatti alla serenità. La disperazione è reale e totale. Come d'altra parte la gioia. Che può essere perfino sfrenata, quando si congiunge clandestinamente al senso della bellezza.

2. Fronteggiamo una nuova soluzione finale, illimitata: ciò che sta avvenendo è la pulizia etnica del genere umano. Non è una novità: stiamo attraversando i momenti decisivi di un processo di cui altri, prima di noi, hanno testimoniato l'inizio e descritto le dinamiche.

3. Ciò che ci sta accadendo è la deportazione forzata di noi dal territorio della realtà.

4. Il nostro status è quello di profughi: evacuati dalla nostra patria – la realtà -, nell'immaginazione. L'immaginazione è il regno dove non accadono le cose. Nel mondo ricco, l'immaginazione viene chiama "creatività". La creatività migliora il rendimento aziendale, è utile per primeggiare nei concorsi, dà struttura, percorribilità e attrazione al regno dell'idiozia. La creatività è disconnessa dal senso della storia, Sostituisce la capacità di azione, è potenza disinnescata. E non cambierà il mondo.

5. Essere poeti senza essere creativi: creare nell'esilio, cercando la via d'uscita dal regno dell'immaginazione forzata. "L'immaginazione è l'inferno", ha scritto Simone Weil. Oggi più che mai si può comprendere in pieno il senso di questa affermazione.