Carlo Cuppini

mercoledì 27 giugno 2012

a letto


a letto a letto
di letto in letto
restando
comunque a casa
fuori di casa
giù nel tempo
vorticando
intorno al perimetro
nel centro della stanza
al centro del letto
sotto il letto
coccodrillo
sognato
nel frattempo
nel letto 
bianco
sognato
caduto dal letto
spiaccicato
erano zampe                                                                    
non ali

domenica 24 giugno 2012

terzina idiota con rime politiche

gli agenti incaricati dell'ispezione finale
hanno rilevato la presenza del mio corpo astrale
rinchiuso nelle segrete del viminale

venerdì 22 giugno 2012

filastrocca (anti?)politica per la buonanotte

mi stringono la mano
la scuotono affabilmente
poi ruotano veloci il polso
afferrano la mia sul dorso
infilano una penna tra le dita
la muovono leggermente per farmi scrivere: spara
e in effetti là fuori c'è qualcuno che spara
e c'è anche uno che rimane ammazzato

senza smettere di sorridere
mi dicono: bravo
ora abbiamo stretto un contratto
questa è la democrazia è il moderno stato
noi siamo i rappresentanti
ma tu sei il sovrano
insieme a tutti quanti
perché qui il popolo è sovrano

annuisco convinto
consenziente
condiscendente
perfino connivente
anche se adesso che ci penso 
non l'hanno mica specificato
che dove c'è un sovrano
c'è uno schiavo

martedì 5 giugno 2012

Nel forno


Stecchito sul pavimento
faccia a terra
le braccia lungo il corpo
osservo da vicino una piastrella
conto gli atomi che la compongono:
sono dispari
anche se quella è quadrata
e qualcosa non torna.
Biscotti fioccano dall’alto nel frattempo
mi feriscono leggermente alla schiena
incuneandosi nella pelle.
Milioni di formiche banchettano sul groppone
con i frammenti integrali
salutari naturali senza aromi
rimasti talvolta inesplosi.
D’altronde nel forno
si sta cuocendo
un futuro nero.

lunedì 4 giugno 2012

la chiamano nebbia

      la chiamano nebbia
anche se i fiori sono già nella serra
anche se un uomo inquietante una notte
a torso nudo in mezzo alla strada
ha cercato di fermare la mia auto
ed era dicembre e lui pareva pazzo
      la chiamano nebbia
anche se gli aerei sono tutti partiti
mentre gli elicotteri continuano a roteare
insopportabili sopra le nostre teste
e all’angelo hanno tagliato le mani
come fecero al cadavere di Che Guevara
dopo avergli scattato la fotografia
      la chiamano nebbia
anche se i chiodi puntellano il fegato
come contrafforti la navata centrale
e i fanali hanno tagliato la notte
e i fatti poi si sono avvicendati
      e la chiamano nebbia
anche se si tratta di un’attesa
perché qui si finisce davvero
mentre uno è girato

domenica 3 giugno 2012

dramma cristiano sintetico

la voce, la foce, la croce –
veloce!
ora basta:
che cuoce che scuoce

sabato 2 giugno 2012

Militanza del fiore - Recensione di Simone Rebora

Pubblicata su retididedalus.it. 
Qui l'articolo integrale: http://www.retididedalus.it/Archivi/2012/giugno/LETTURE/5_cuppini.htm
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 Si avvale di un prefatore d’eccezione, la raccolta Militanza del fiore di Carlo Cuppini. E le parole di Adriano Sofri – certo non un letterato di professione, ma “scomoda presenza” della militanza tout court – possono essere scelte come epigrafe per questa breve rassegna: «Di tutti gli estremismi giovanili, la poesia è il più rischioso» (p. 5). 
Quattro giovani poeti: tutti esordienti (almeno in ambito editoriale) e tutti in vario modo legati al capoluogo toscano. Sono voci già affermate o ancora in cerca di una sicura identità, germogliate su terreni diversi e spesso non comunicanti, ma tutte accomunate da questo “estremismo”, dalla scelta della poesia come tramite per rapportarsi con la cultura e la società dell’oggi. 
Prima di Militanza del fiore, Carlo Cuppini si era già fatto conoscere su blog letterari come “Nazione Indiana” e “Absolute Ville”, pubblicando anche articoli e poesie sul “Nuovo Corriere di Firenze”. Non si tratta quindi di un esordiente a tutti gli effetti: e la sua prima raccolta dimostra da subito una marcata maturità – sia nella scelta dei temi che negli usi linguistici. Prima e più evidente cifra stilistica è la totale assenza di segni di punteggiatura (cui fanno eccezione un buon numero di slash), che esalta la costruzione ritmica del verso, spesso breve e frammentato – e la barra obliqua, in tal senso, diviene strumento per segmentare ulteriormente la versificazione. Parrebbe quasi 
giocare con il lettore, Cuppini, confondendo l’individuazione dei nuclei semantici e suggerendo al contempo diverse interpretazioni – o modi di lettura: 

[…] mi stendo nella pozzanghera nel corridoio / vedo 
scendere fiocchi di cemento / armato 
lievi sul corpo si sciolgono / cenere 
cammino tra la città e il bordo / del mare 
(p. 15) 

[…] ruotare agevolmente rosa dei venti / disfatta 
la festa / petrolio nel mare 
cavare / dagli occhi la testa 
(p. 149) 

Questa difficoltà di lettura testimonia la forte componente performativa di testi scritti appositamente per la recitazione, in un esercizio giocato sulla corporalità del lettore. A confermarlo, giungono anche le scelte tematiche, che pongono spesso il corpo al centro del discorso, dalla prima sezione intitolata «La funzione del corpo» (pp. 13-51), fino all’ultima, «Disorgana» (pp. 137-49), che descrive «11 coreografie» – memoria evidente della formazione teatrale del poeta, con il coreografo Virgilio Sieni. 
L’esercizio “corporale” della poesia conduce spesso a costruzioni sintattiche volutamente farraginose, al ripetersi ossessivo di formule e intercalari, non di rado sfocianti in vere e proprie nenie: 

nel buio del prima che 
la luce sia prima del 
prima del nome di 
ascolto esplosione 
(p. 94) 

[…] spegnere i riflettori / eccetera / le cose 
corona di denti sul cranio no / noi / guantanamo / noi 
eccetera / ci guardiamo negli occhi le cavità 
resti di civiltà / eccetera / fortificazione 
di denti a difesa dell’ultimo / eccetera 
sgomento possibile / eccetera 
salvo cambiare idea 
(p. 23) 

[…] angelo nebbia 
angelo col fanale 
angelo sminuzzato nel catrame 
angelo grana grossa dell’asfalto 
(p. 103) 

Nenia che scandisce una postmoderna preghiera, ma forse non così ferma e sicura, quando si spinge lo sguardo un poco più innanzi: 

[…] 
santa ogni pietruzza sotto il sole 
santa ogni pietra incarnata 
per essere qui in questo istante 
e sacro il silenzio e il rumore 
sacro il diradarsi della nube 
sacro il non colpire del proiettile 
destinato al petto di Bassem 
sacro il rallentare del cuore 
alla fine della corsa in fuga – 
invece dolore (p. 120) 

Perché la poesia di Carlo Cuppini (e torniamo qui al titolo e alla prefazione di Sofri) è poesia dell’impegno, poesia che non nasconde l’indignazione, che sceglie un confronto immediato con la cronaca e la storia – dalle dediche a Vittorio Arrigoni («Irreparabilmente») e Bassem Abu Rahme («zittito da un proiettile di gomma mentre a mani alzate parlava e sorrideva», p. 153), fino alla sezione – un poco discutibile, ma pur sempre godibile – dal titolo «Mameli Machine» (pp. 123-34), che servendosi di molteplici passaggi attraverso il filtro di “Google Translate”, realizza le sue «operazioni di disinnesco di un ordigno bellico»: l’inno nazionale italiano. Ma come già ampiamente notato, questo deciso impegno si accompagna a una ricerca poetica sempre libera e aperta, stemperandosi assai volentieri (ma non senza cognizione di causa) in una tagliente ironia. Ed è così che 

[…] l’ulivo va tagliato 
potrebbe servire al terrorista 
per nascondere l’arsenale 
per lanciare granate granaglie 
o grandi frittate 
(p. 108)