Nessuno si agiti: non sto per rivelare il titolo del prossimo film Vanzina-De Sica.
Il mio è un suggerimento per le ferie di fine anno.
Scommetto che già qualcuno si chiederà come passare Capodanno: volendo sfuggire al diktat del divertimento confezionato, offerto in un vassoio d'argento direttamente dalle gentili fauci della belva; cercando invece un'intuizione privata e sociale, un'occasione originale, geniale se possibile, per sottolineare il valore simbolico, bellissimo, del passaggio, del rinnovamento.
Il 31 dicembre scorso, non so cosa voi steste facendo: io mi divertivo in una cascina, nella campagna marchigiana, allontanando il freddo con il fuoco vivo del camino e tanto vino; tutti stretti nella casa di Nerone, contadino dionisiaco le cui feste sono leggendarie in tutto il centro Italia. E' stato un bel Capodanno. Era con me il mio amore. C'erano gli amici. C'era il mangiare e il bere. C'era una bella atmosfera, la giusta ebbrezza.
Intanto piovevano bombe e missili sul fazzoletto di terra più popolato dal mondo. 365 km quadrati -uno per ogni giorno dell'anno, guarda caso- dove vivono, e non possono uscire, 1 milione e mezzo di persone. Ma questo non dà realmente l'idea: perché ci sono anche vaste zone desolate e desteriche a Gaza. Allora diciamo che a Gaza ci sono diverse città, ciascuna chiusa in un km quadrato di terra, che sarebbero poi i famosi campi profughi dell'Onu, dove vivono, in ognuno, circa 100.000 persone. Centomila persone in un km quadrato. Questa non è la tv, quindi è necessario uno slancio di immaginazione, per capire. E' necessario soffermarsi un attimo su questi numeri.
Ed era proprio in queste città che cadevano le bombe, non sulla terra deserta.
Le bombe cadevano come pioggia, come neve, e non cadevano sulla terra, non sui tetti delle palazzine malandate, non sul cemento e sull'asfalto delle strade: le bombe non creavano crateri, perché cadevano su corpi umani per le strade, che non potevano scappare, su carne che, esplodendo, assorbiva e attutiva il potere devastante degli ordigni. Perché nelle città palestinesi della striscia di Gaza non c'è un solo centimetro di suolo che non sia occupato da un essere umano. Se dal cielo sopra un campo profughi Dio lascia cadere una moneta, ammazza almeno due o tre persone, tanto è densa la popolazione che sta ammassata ovunque. Da generazioni. Da decenni. Da quando è iniziata la pulizia etnica di cui, da noi, non si può parlare.
Ma se gli elicotteri israeliani lasciano cadere missili, non esistono obiettivi da centrare: scatta la macelleria. Tra il Natale scorso e il 20 gennaio le bombe sono cadute ininterrottamente a Gaza, giorno e notte. Poi c'erano anche i carriarmati e i cecchini. Hanno ammazzato 1400 persone. Più di 400 di queste erano bambini.
Chi, da queste parti, ha evocato il nazismo è stato zittito in malo modo.
Ecco, l'ho già fatta troppo lunga. Ma questo argomento mi sfugge sempre dalla mani, per una via che passa dalla pancia e fa lunghi giri, tormentosi, non trovando modo di essere digerita.
Ecco quindi il mio suggerimento per Capodanno 2010.
C'è una grande marcia, la notte del 31 dicembre. Per vedere cosa è rimasto. Per dare solidarietà a chi è rimasto. Per mangiare per qualche giorno il loro stesso pane, nei loro piatti. Dormire nei loro letti, accanto a loro. Guardare il cielo sopra le loro teste. Per poter tornare e raccontare che Gaza esiste, che non è una leggenda, non è una favola per inacidirci la cena durante il telegionale serale. Esiste, e si raggiunge con poche centinaia di euro, in poche ore, e nessuna complicazione logistica.
Il Coordinamento Europeo per la Palestina invita tutti ad unirsi al gruppo italiano che parteciperà alla Gaza Freedom March, a Gaza. Partenza il 27 dicembre, rientro il 3 gennaio. Il volo per e dal Cairo a carico dei singoli. Poi, per i giorni di permanenza a Gaza, è tutto organizzato. E costa 200 euro. Poco più di un cenone di Capodanno. Poco meno di una serata a Parigi.
(Più info in assopace.org)
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