"Abbiamo subito il più grave attacco della nostra storia. Centinaia di persone innocenti sono state uccise, torturate, rapite. Migliaia di persone sono state minacciate, terrorizzate, umiliate.
Abbiamo risposto con durezza.
Abbiamo ucciso migliaia di persone, centinaia di bambini, colpito chiese, ospedali, bloccato ambulanze, terrorizzato un intero popolo.
Ed è stato soltanto un preliminare gettato dal cielo.
Questa notte scatterà l’invasione di terra, con carri armati e soldati istruiti per sparare a qualunque cosa si muova. Come è avvenuto in passato.
Migliaia e migliaia di persone cesseranno di vivere. Donne, donne incinte, donne anziane, bambine. E uomini, anziani, ragazzi, bambini.
Famiglie saranno distrutte.
Tutto sarà distrutto, e il fuoco laverà l’offesa, il dolore sopravanzerà di molto il dolore.
Invece no: non ci sarà l’invasione.
Adesso, davanti alle telecamere, davanti al popolo a cui appartengo, davanti ai nostri aggressori, davanti al mondo intero, io ordino di bloccare ogni operazione.
Quello che avverrà questa notte sarà la demolizione di un muro: quello che abbiamo eretto tra noi e i nostri nemici, tra un popolo e noi che siamo i suoi nemici.
Domani mattina chi oltrepasserà quel confine non più materiale non troverà la morte: troverà nel deserto un tavolo, e noi seduti da un lato, disarmati, con la fronte distesa, le mani vuote; e altrettante sedie che attendono di essere occupate. E cibo. E doni.
Ci hanno chiesto di scendere a un piano dove non c’è traccia dell’umano.
Ci hanno chiamati a essere non uomini ma demoni, rispondendo all’uccisione con l’uccisione, all’odio con l’odio, all’inferno con l’inferno. E per due settimane ci siamo lasciati trascinare. Siamo andati in un luogo dove, guardandosi allo specchio, non vediamo più i nostri volti, ma teschi dalle orbite vuote, pieni di fiamme che non smettono di consumare.
Noi non spareremo più un colpo. Noi non uccideremo un bambino, un uomo, una donna. Non uccideremo un terrorista, un soldato.
Noi non uccideremo.
Ci hanno chiesto di insegnare ai nostri figli la furia che segue l’orrore.
Noi insegneremo ai figli un’altra cosa.
Davanti agli occhi spalancati dei figli, noi risponderemo alla violenza con più democrazia.
Risponderemo alla ferocia con più giustizia.
Risponderemo al crimine con più legalità.
Risponderemo all'oltraggio con più dignità.
Risponderemo all’odio con il perdono.
Non un perdono che offriamo, ma un perdono che chiediamo.
Lo chiediamo a milioni di bambini che abbiamo costretto a una vita indegna di essere vissuta; a milioni di donne e uomini a cui abbiamo inflitto sofferenze ingiuste, se mai potesse esistere una sofferenza giustificata; a un popolo che abbiamo vessato, segregato, depredato, sfruttando la nostra posizione di maggior potere, sicuri di restare impuniti e di poter impedire qualunque reazione.
Noi chiediamo perdono ai nostri cuori, per averli pietrificati.
Noi rispondiamo alla guerra con la pace, e dismettiamo la guerra dai nostri cuori.
È un rischio, sarà pericoloso, come è pericoloso vivere.
Ma, mentre ogni altra opzione sarebbe paura, debolezza e miseria, questa è la sola opportunità di conoscere la forza, di farci espressione della grandezza umana. E non vale la pena vivere nella miseria. Non costringeremo un popolo, il nostro, a vivere di questa miseria.
Domani cercate la guerra nei nostri cuori, provate a suscitarla con ogni mezzo a disposizione: non ne troverete i sentimenti, le forme, gli intenti, le azioni, le munizioni. Non ne troverete le parole.
A chi dice che il nostro Dio vuole la guerra, a chi si appella al Dio degli Eserciti e delle Nazioni, noi diremo che quel Dio ha fatto il suo tempo: la sabbia ha ricoperto per intero il suo corpo ingombrante, il suo nome è scomparso dal nostro orizzonte.
E se quel Dio manderà i suoi Angeli in tuta mimetica e mitra a popolare i nostri sogni, per redarguirci, noi grideremo forte per svegliarci da quei sogni. E frastornati andremo nel deserto, di nuovo nella terra di nessuno, e aspetteremo lì, senza cibo e senza acqua, finché Dio non ci rivolgerà una parola nuova.
Ho concluso."
Militanza del fiore
Letteratura, civiltà
blog di Carlo Cuppini
sabato 21 ottobre 2023
Quello che avverrà
sabato 30 settembre 2023
"Poco mossi gli altri mari" di Alessandro Della Santunione, Marcos y Marcos
Nel corso del 2023 la casa editrice Marcos y Marcos ha dato casa (e carta), tra le altre cose, a due case molto strane, accogliendo nella serie principale il romanzo "Poco mossi gli altri mari” di Alessandro Della Santunione e nella collana Gli Scarabocchi (quattordicesima uscita) il racconto per ragazzi “Le mucche di Chernobyl” di Fulvio Ervas.
La casa al centro del romanzo “Poco mossi” è un grande appartamento nei pressi di Campogalliano, Modena, dove un’intera famiglia, con tutte le sua estensioni e propaggini, si è riunita per volontà di uno dei membri, il padre del protagonista, in una riproposizione della famiglia allargata tipica delle case di campagna di un paio di epoche fa. La conseguenza di questa scelta di vita in comune – tutti assiepati a costo di ricavare nicchie e giacigli negli anfratti più improbabili – è che nessuno più smette di vivere. Non è chiaro, per la verità, se ci sia un nesso causale tra i due fatti. Il risultato comunque è che nessuno muore più, e pertanto si accumulano parenti, generazioni, e anche idiomi, immaginari, mondi simbolici, rispecchiamenti. In questa proliferazione senza fine il tempo risulta gravemente manomesso rispetto alla credenza che lo vede procedere in modo lineare, irreversibile e uguale per tutti: rivelando strani andirivieni e inattese sacche di decompressione, accessibili a qualcuno e non ad altri, e viceversa. Accade anche che qualcuno invece muoia: non qualcuno della famiglia, in effetti, ma Dio. Succede così, da un giorno all’altro. In qualche modo tutti ne ne hanno cognizione, come di un dato di fatto.
Il romanzo, vincitore del premio Berto, ha una grazia sopraffina, e tiene insieme l’umorismo stralunato tipico di certa narrativa emiliana e la durezza della scrittura che decide di prendere di petto le questioni cruciali e crudeli dell’esistenza: il tempo, la verità, il dolore, la morte, l’oblio, l’amore, i fallimenti, Dio.
A volte – spesso – nella stessa frase si passa più volte da un registro all’altro, e le giravolte del narratore tra il ruolo del filosofo e quello dell’“idiota” (dostoevskiano) sono irresistibili:
“In questo meccanismo perfetto e necessario un Dio uomo è la vera bestemmia: una scheggia impazzita. Salta tutto, perché l’uomo diventa un enorme volano che accresce la misura del dolore di Dio, la sua violenza, creando inutili sofferenze: come i cani randagi, le villette a schiera, gli allevamenti intensivi, i centri commerciali, Hiroshima, il neoliberismo o le pantere nei circhi.”
In fondo Poco mossi gli altri mari è un romanzo sulla fine dell’innocenza, una riflessione sul “prima" che a un certo punto scompare, un tentativo di rimettere insieme le tracce che l’origine di tutto e di ciascuno deve pur lasciare da qualche parte. (Forse tutta la letteratura moderna, in fondo, non è altro che questo. Non lo so.)
Ma la morte di Dio – “un tipo strano” – è in realtà una sparizione, perché non è possibile rintracciare la salma, una morte decretata per prassi burocratica, quindi, e forse indica più che altro una sua diluizione in tutte le cose. E analogamente l’innocenza non è finita, e non è soltanto oggetto di nostalgia e di memoria: a ben guardare l’innocenza è esplosa, e come una radiazione ha modificato alcuni particolari: quelli di una scrittura che conserva a livello stilistico, sillabico, di tono della voce rappresentato, il rumore di fondo del primo incanto. Dove alle griglie interpretative non è ancora concesso il potere di escludere dall’esistenza e perfino dalla percezione tutto ciò che è destinato a restare senza nome e senza spiegazione.
A proposito di esplosioni e di radiazioni. La seconda casa, quella in cui è ambientato il racconto di Ervas, si trova all’interno della zona contaminata di Chernobyl ed è popolata da un’accolita di animali sopravvissuti al disastro, ma usciti da esso un po’ mutati.
Ma di questo libro parlerò in un altro post…
domenica 10 settembre 2023
"L'irrilevanza del vero" di Pieralberto Valli (Stampa Alternativa)
Ricorderete le immagini dei bunker di Mariupol mostrate a Porta a Porta, Piazza Pulita e Controcorrente, che in realtà erano quelle di un gioco da tavolo. Questo clamoroso falso non dimostrava che l’invasione russa fosse un’invenzione, ma rivelava una cosa forse ancora più rilevante riguardo ai destini dell’umanità: che il vero è diventato del tutto irrilevante rispetto al verosimile, quando è coerente con il discorso che deve essere fatto.
domenica 6 agosto 2023
6 agosto 2021, il giorno in cui l'Italia perse la ragione
Il 6 agosto, due anni fa, iniziava l'epoca del greenpass.
domenica 30 luglio 2023
20 libri che ho letto nella prima metà del 2023
giovedì 18 maggio 2023
La propria storia
Stamattina le bambine e i bambini della 5 C della scuola Anna Frank di Calenzano – accompagnati nei territori della conoscenza dalla brava, appassionata e attenta maestra Paola – non hanno soltanto risposto alla mia domanda, ma con molta serietà e spontaneità hanno iniziato a “scrivere” a voce gli inizi di tanti racconti. Come dei veri scrittori. Hanno fatto tutto loro.
“Tutte le mattina quando esco di casa per andare a scuola vedo sul pianerottolo il gatto dei miei vicini, e lui vede me. Ci guardiamo. Lui c’è, io ci sono: vuol dire che va tutto bene. Ieri mattina mi sono svegliata e il gatto non c’era.”
“Da piccola, quando tornavo da scuola facevo il gioco dei tombini. Dovevo saltare da un tombino a un altro. Il gioco l’avevo inventato io, e mi ero inventata anche le regole. C’era un’unica regola, veramente: che potevo fare al massimo due passi per raggiungere il tombino successivo. A volte potevo fare anche più di due passi, veramente. Dipendeva più che altro dalla distanza del tombino. Avevo fatto delle regole un po’ elastiche. Mi ero inventata anche un’amica con cui giocare. Un’avversaria, più che altro. Ci sfidavamo tutti i giorni, e io vincevo sempre, e lei si infuriava. È una che non accetta di perdere. Forse la conoscete: si chiama Elsa, è la regina di Arendel. Sta nel cartone di Frozen, ma anche in parecchie magliette, e in altre cose. Ha molti poteri magici, ma contro il mio talento nel saltare sui tombini non poteva fare niente. Da piccola facevo sempre questo gioco. Per la verità lo faccio anche adesso. Insomma, l’altro giorno mi incammino verso casa e arrivata al solito punto i tombini non c’erano. Non c’erano neanche i buchi che i tombini coprono. Era tutto asfalto. Ovvio che era stata Elsa, per vendicarsi delle sconfitte! Mi è salito il sangue alla testa e con i pugni chiusi mi sono messa a correre verso Arendel. O almeno mi sono diretta nella direzione dove penso si trovi. Sono abbastanza certa di portarci arrivare. Camminavo a testa bassa e pensavo: Rivoglio i miei tombini! Ridatemi i miei tombini!”
In questa trascrizione ci ho messo un po’ del mio, si capisce… Ma del resto funziona così. Uno inizia a raccontare, condivide la sua immaginazione, qualcuno ci aggiunge qualcosa… La storia diventa di tutti. Tant’è che la Elsa-ladra-di-tombini poi è ricomparsa in un altro racconto, quello del bambino trasformato in rana da un nano che voleva rubare il sassolino che aveva piantato…
È stato incantevole e illuminante comprendere, insieme a questi giovani studenti, quanto sia importante riuscire a raccontare la propria storia, la propria fragile architettura, i fantasmi e le creature invisibili che la popolano, fosse anche attraverso un racconto fantastico e strampalato (citofonare a Kurt Vonnegut, “Mattatoio n. 5”…).
Il punto è che chi non sa raccontare la propria storia non ha gambe su cui camminare, non ha mani per afferrare le cose; è destinato a inseguire le ombre, lasciando impronte che subito spariscono al sole.
Per poter raccontare la tue storia devi accettare il fatto che non sei tu a inventarla, ma ti trovi dentro a una storia già iniziata. Dove tu non sei quello che vorresti essere, e anche questo lo devi accettare. Però, accettandolo, puoi imparare a voler essere ciò che sei. Volendo al contempo che gli altri siano quello che sono, con tutte le loro magnifiche differenze e sfaccettature - e incrinature che a volte tagliano, anche, ma il male passa in un attimo, abbiamo potenti lenitivi: le carezze, i sorrisi, le parole gentili.
Siamo stati bene insieme. Non so se questo “bene” sia scritto in qualche programma del Ministero dell’Istruzione e del Merito (che a me fa pensare a tutte le volte che da bambino ho pensato mestamente “non me lo merito”…), con il suo buffo logo da cartone animato. Ma siamo stati bene, davvero. E i due grandi gelsi, carichi di more quasi mature, erano proprio adatti a incorniciare la foto allegra che ci siamo fatti tutti insieme.
mercoledì 17 maggio 2023
"Fuori è quasi buio" di Alice Keller (Risma ed)
Parlo di “Fuori è quasi buio” di Alice Keller, Risma Edizioni.
Risma pubblica libri per bambini e libri per ragazzi; questo, nei bookstore online, è proposto a partire dagli 11 anni. Ma “Fuori è quasi buio” secondo me non è un “libro per ragazzi”. È una storia raccontata da un ragazzino, sì, e nel suo sguardo, nella sua voce, si mescolano la sensibilità sua, di Simone, e quella dell’adulta che gli dà vita attraverso le parole, di Alice. Per questo direi che è un libro per ragazzini e per adulti. Sono pochi, e preziosi, i libri che parlano a età anagrafiche diverse, che si trovano separate da passaggi iniziatici: perché con la loro stessa esistenza fanno esistere un ideale spazio di incontro e di confronto. Un ragazzino, un adulto, un anziano, che ascoltano la stessa storia, e davanti alla storia sono tutti uguali, perché la storia ne ha per ciascuno di loro. Come quando il marketing non c’era…
Della trama dirò soltanto che la voce narrante appartiene a un ragazzino di circa tredici anni. Simone è scappato, insieme al fratellino Mattia che ha un grave handicap mentale non meglio precisato, e si nasconde. I due fratelli vivono come clandestini, perché sono rimasti orfani e Simone non vuole avere niente a che fare con ciò che il mondo offre loro, obbligandoli ad accettarlo.
In queste pagine, nel susseguirsi di brevi capitoli, c’è un realismo psicologico molto coinvolgente, che ci fa attraversare la vicenda interamente calati nei panni del giovane protagonista. E sopra questo fitto e lieve tessuto di pensieri, riflessioni, decisioni, pianificazioni, c’è la poesia: molta poesia, molte metafore, molto bianco intorno alle parole. Che poi forse questo è un fare più adulto; e pure qui la poesia sorge con naturalezza dalla rete dei pensieri di Simone, a volte in modo inaspettato. Tutto quel bianco sembra volersi mangiare le parole, le opprime, come il buio sembra volersi mangiare il destino dei due fratelli; ma le parole non collassano sotto quella pressione, perché hanno una loro forza interna, una densità capace di opporre resistenza, un moto espansivo sufficiente a contrastare l’azione del vuoto. Proprio come nella poesia.
C’è la crudezza, anche; perché questa è anche una storia di sofferenza; di sofferenze che si incontrano e si intrecciano. Ma Alice Keller non indugia nella crudezza, non se ne compiace, e non la manovra astutamente. Anche essa appare e scompare, con continuità, alternandosi e sovrapponendosi alla poesia. E c’è la filosofia: quella terra-cielo che appartiene ai bambini, agli adolescenti, e a chi sperimenta il dolore. Ma la narrazione non diventa mai pesante o cerebrale. E c’è l’impressionismo delle sensazioni, negli occhi e sulla pelle, ma senza concessioni al manierismo delle trovate spumeggiante e delle frasi a effetto. C’è soprattutto la grazia, che fonde tutte queste componenti nella voce semplice e pulita di un ragazzino che si è sganciato dal destino che solitamente attende i ragazzini; e va avanti nel buio perché è necessario, con la speranza di farcela, con la paura di non farcela, per sé e per il fratellino, dove il confine tra i due non è chiaro nemmeno a lui. Senza aspettative che vadano oltre l’azione che sta compiendo: un presente sprofondato e precario che richiede di muoversi con la massima cautela, senza il beneficio delle distrazioni.
Alice Keller è capace di sorprendere il lettore ogni poche righe; ma sorprende in modo tenue, senza che la sua scrittura diventi sensazionalistica o risulti virtuosistica. Con questo libro ci ha fatto un bel dono.
https://rismalibri.com/catalogo/catalogo/fuori-e-quasi-buio
martedì 9 maggio 2023
"Il mistero delle meraviglie scomparse" nelle scuole di Arezzo e del Casentino
Stasera mi preparo all'ultimo incontro con le scuole di Arezzo e del Casentino, che si svolgerà domattina alla scuola Chimera. Sfoglio i doni che i bambini e le bambine mi hanno lasciato nell'ultima mandata di "incontri con l'autore" il mese scorso. Mi soffermo su questo magnifico e veridico ritratto e penso a quanto sono emozionati di vedere davanti a loro, in carne e ossa, l'Autore di cui hanno letto un libro. L'atmosfera è vibrante, il tempo circoscritto dell'incontro è un tempo magico, perché l'intensità rompe le membrane tra le cose separate e rende morbide le cose che sono rigide; ed è quindi già in corso un accadimento alchemico. Loro lo sentono, io lo sento.
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sabato 29 aprile 2023
"La lezione del virus", un libro di Nino Finauri, prefazione di Carlo Cuppini
Lo scaffale dedicato alla critica della ragione pandemica si arricchisce di un nuovo volume: “La lezione del virus. Diario pandemico di un insegnante incredulo” di Nino Finauri, Edizioni Malamente.
venerdì 28 aprile 2023
"Il mistero delle meraviglie scomparse" al Leggenda Festival, 14 maggio
Leggenda Festival (Empoli, 10-14 maggio) ha un programma ricchissimo, pieno di appuntamenti straordinari. Vorrei seguirli tutti: la solita utopia... A uno però parteciperò di sicuro: quello dedicato a "Il mistero delle meraviglie scomparse"!
Alla libreria La San Paolo libri & persone presenterò, racconterò e leggerò il mio racconto fluviale a piccoli e grandi (anche a chi non crede che i fiumi possano assumere sembianze umane...).
Sarà una presentazione speciale, perché Giulia Gnassi tradurrà e interpreterà il racconto nella lingua dei segni. A beneficio dei non udenti, ma anche degli udenti, e di chi fa orecchie da mercante: perché grazie a lei la narrazione diventerà corpo, le emozioni avranno movimento, le parole saranno gesti, i fiumi scorreranno danzando e travolgeranno le barriere...
Insomma, è già teatro... quasi! E se appena appena mi faccio prendere anche io la mano, non so dove questa cosa potrà portarci.
Domenica 14 maggio, ore 10:15. Segnate la data: vi aspettiamo.
Qui le info dettagliate.
Grazie a Marta Menichetti per l'invito e l'organizzazione.
martedì 25 aprile 2023
Viva la libertà, e chi la difende
Mi fa una certa impressione sentire parlare di libertà persone che un anno fa non hanno difeso il ragazzino di dodici anni che veniva privato della sua libertà di salire su un autobus o su un treno, pur potendo attestare un ottimo stato di salute con il referto di un tampone, perché privo di vaccinazione anticovid. Persone che non si sono opposte alla privazione delle libertà più essenziali, per milioni di cittadini, giustificata con la solenne menzogna pronunciata dal comandante in capo (“il green pass è garanzia di frequentare persone non contagiose”). Persone che non hanno colto un’insanabile contraddizione tra la risoluzione 2361 del Consiglio d’Europa (1) - “organismo custode dei diritti dell’uomo, della democrazia e dello Stato di diritto” – e l’operato del governo italiano; e tra la nota di Amnesty Italia del gennaio 2022 (2) e le scelte di Speranza-Draghi-alleati-consiglieri. Persone per cui la libertà di milioni di cittadini che non la pensavano come loro su un certo tema di drammatica attualità – minorenni compresi – poteva tranquillamente, oppure doveva assolutamente, essere sacrificata (senza poi sentirsi obbligati a fare valutazioni a posteriori sulla necessità o utilità di questa misura, e sulla responsabilità che si erano assunti sostenendola).
giovedì 20 aprile 2023
A scuola con Matteotti e La Pira
Questa mattina sono stato nella scuola primaria Giacomo Matteotti – una grande, ariosa, bella scuola fiorentina – dove in questi giorni si svolge la Festa del Libro, con scrittori e scrittrici che vanno a incontrare gli scolari e una biblioteca che si anima di suggerimenti e novità.
Ero stato invitato per presentare “Il mistero delle meraviglie scomparse” alle classi quarte e quinte. E poiché il mio libro parla anche di libertà e di pace, è stato ovvio parlare di Matteotti, il cui spirito aleggia tra quei muri curiosi e istruiti.
Novantanove anni fa Matteotti fu ammazzato perché difendeva la libertà. Ma prima era stato isolato, e anche sbeffeggiato, dai suoi stessi compagni perché difendeva la pace. A quel tempo accadeva infatti che i “pacifisti” sostenessero con grande slancio, e perfino con una certa protervia, la “guerra che avrebbe messo fine a tutte le guerre”.
Il mio racconto fantastico parla di libertà – quella sfrenata e naturale che il fiume porta in mezzo alla città, in barba a tutte le sue (per carità, utilissime!) regole, norme e discipline. E parla di pace, sostenendo che nei conflitti il punto non è dare ragione a questo o a quello, ricostruendo tutta un'infinita filiera di torti e di prelazioni, ma anteporre il piacere della condivisione all'aggressività delle rivendicazioni. Il punto non è “di chi è, e chi può trarne vantaggio”, ma “chi se ne prende cura, e per chi”.
A scanso di equivoci, preciso che parlando di questi temi ci siamo fatti delle grandi e grasse risate, giocando con gli esempi più strampalati e inventando frammenti di racconti paradossali. Non c’è mica bisogno di essere pesanti, moralisti e contriti, per parlare di cose serie e anche drammatiche! Anzi, come ci ha insegnato Rodari, il buonumore è, è stato e sempre sarà la più potente arma contro le ingiustizie e contro il digrignante intristimento che da esse deriva. Insieme al potere liberatorio e chiarificatore dell’immaginazione.
Un grande ringraziamento alle libraie della libreria LibLab, che hanno suggerito il mio libro per la Festa del Libro, e alle maestre, ai maestri e alla dirigente della scuola Matteotti che hanno accolto il suggerimento. E un pensiero alato, pieno di fiducia, di incoraggiamento e di gioia, a tutte le bambine e i bambini che questa mattina ho incontrato.
(Sempre grazie a marcos y marcos, ça va sans dire.)