Dunque, cos'è ora questa militanza del fiore.
Racconti, pensieri, deliri, lettere, invenzioni, report.
Forse questi materiali frammentari, sparsi, incoerenti, sono tutti report. Rapidi appunti stesi in tempo reale, resoconti da territori diversi. Dai territori occupati, i nostri territori occupati. Un primo sopralluogo dell'occupazione militare totale che ci riguarda, una mappatura istintiva e selvaggia.
Parlo dell'occupazione militare che oggi possiamo percepire in forme visibili e scenografate in Palestina, e che ritroviamo in forma subliminale e dissimulata, ma identica per modalità e scopi, nelle nostre società, nello spazio della nostra esistenza, nelle nostre città, case, nel nostro immaginario, nelle nostre scelte, prospettive, nei nostri acquisti, nelle nostre diete, nel nostro desiderare, creare, nel nostro inconscio, nella cecità e nella veggenza.
La mappatura che ogni frammento vuole portare avanti rinnovandone le premesse, non è un passaggio preliminare all'elaborazione di una strategia. E' piuttosto un movimento di scarto continuo, necessario a formare il punto di vista di un cane sciolto, a intelaiare una forma di resistenza. C'è una geografia mobile di atti concreti di comprensione, non un'analisi complessiva. Nessuna teoria. Nella militanza c'è l'adesione al momento e all'azione, c'è il rinvenimento di un'etica, che deriva da un senso immanente e connaturato dell'invisibile. Come se il divino fosse una questione di pura anarchia, e sforzo. Non c'è strategia globale, ma interventi a tutto campo nel dettaglio, con il coinvolgimento integrale dell'umano. Un attimo di immobilità vanifica tutto. L'intuizione è fondamentale. Come la precisa intenzione della gioia. E il non ritrarsi dall'oscurità.
La militanza del fiore, se guarda avanti, non guarda al sole dell'avvenire, ma all'alba di domani.
Che sarà certamente ghiacciata, come l'aurora di stamattina. Con nubi lacerate dal sole, e colori freddi, incantevoli, stirati in fondo al cielo.
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