Hanoi, "grande dama d'Oriente", capitale di un paese per millenni travagliato e invaso, che da soli 40 anni conosce la pace, Hanoi, città imperiale vecchia di 1002 anni, il cui nome originario, Tang Long, significa "drago che si leva in volo", Hanoi, che si leva in volo con levità sopra il caos tutto asiatico di motorini e clacson e gente affaccendata, caos eterno, immutabile, e dove andrà tutta questa gente sempre sul motorino, a tutte le ore, caos che si snoda in ogni strada antica, caos che non è caos perché è organizzato tra i bonsai onnipresenti e l'incessante lavorio anarchico, ma perfettamente sincronizzato, della popolazione, Hanoi, città comunista eppure premoderna, un villaggio antico con 3 milioni di abitanti, quasi senza la presenza del cemento, senza palazzoni e cose squallide, niente che ricordi il mondo sovietico, solo casette basse, due o tre piani, fitte fitte, affastellate con una casualità sorprendentemente armonica come è l'urbanistica medioevale italiana, e molti edifici coloniali, liberty, tutto un accrocchio creativo di stili, strati, stupori, palazzine strettissime, lunghe e alte secondo lo stile nazionale (perché le tasse sulla casa si pagavano in base alla larghezza della facciata), Hanoi, piena di laghi, di alberi tropicali, di parchi, di aiuole e isole spartitraffico curate come fossero il giardino di Boboli, Hanoi, piena di leggende che raccontano il significato mitico di ogni suo luogo, di ogni scorcio, e pagode e templi che ratificano queste leggende, ne fanno oggetti di culto popolare e attuale, come la tartaruga gigante che dopo la fondazione, nel 1010, emerse dal lago proprio nel cuore della città e riprese la spada che era stata consegnata al re dagli dei per scacciare i cinesi dal Vietnam, o come il magico cavallo bianco che apparve al suo successore per mostrargli il luogo dove costruire robuste mura di cinta, o come le due sorelle Trung, che quasi 2000 anni fa riunirono il popolo vietnamita intorno al loro carisma e riuscirono a scacciare i sempre invadenti cinesi, salvo poi suicidarsi 10 anni dopo per non cadere prigioniere dei cinesi che di nuovo avanzavano, e tartaruga gigante, cavallo bianco, sorelle Trung, ogni cosa ha il suo luogo di culto in città, vicino a un lago o a un fiume o a un corso d'acqua, e tutti è oggetto di venerazione, e davanti a ogni altare la gente porta stupendi fiori, vassoi di frutta, incensi, ma anche pile di lattine di birra, pacchi di sigarette, e il cavallo bianco, a giudicare da queste apparenze, è il più grande estimatore di birra "Saigon" di Hanoi, con le due piramidi di lattine che si ergevano davanti alla statua che lo rappresenta, per non parlare della tartaruga gigante, che esisteva davvero e ha lasciato nello stesso laghetto la sua discendenza smisurata, bestie lunghe più di 2 metri che misteriosamente sopravvivono nel cuore di una grande metropoli, per il sommo stupore di biologi e zoologi, e ne abbiamo visto un esemplare trovato morto e impagliato nel 1968, in tempo di guerra, accanto a fotografie che testimoniano di avvistamenti molto più recenti di esemplari altrettanti imponenti...
Hanoi, coi fasci di centinaia di cavi neri che si lanciano e si spanciano da palo a palo per collegare i telefoni pubblici e privati, e i vietnamiti che ci fanno ironia da soli, con la maglietta molto in voga dove si vede un traliccio infestati di cavi e la scritta "Vietnam telecom", Hanoi, con le centinaia di gabbiette di uccellini appese ovunque fuori dalle case, dalle botteghe, sulle bancarelle, ai rami degli alberi, ai cavi volanti della telefonia, Hanoi, con il meraviglioso Tempio della Letteratura vecchio anch'esso di mille anni, nato come università per i figli dei Mandarini e oggi stupendo concatenamento di sette giardini e cinque pagode, la più importante delle quali dedicata a Confucio, rappresentato in effige e venerato come una divinità, e nei giardini siepi scolpite magnificamente a forma di draghi, serpenti, scimmie, topi, e piscine piene di fiori di loto di un rosa acceso come una fiamma, Hanoi, con il grande parco Lenin, pieno di ragazzi che fanno sport e un altro lago dove la gente pesca, Hanoi, con il mausoleo di Ho Chi Min, lo "Zio Ho", morto nel 69, sei anni prima della vittoria della guerra, mummificato come Lenin ed esposto come un nonnino addormentato che potrebbe svegliarsi da un momento all'altro, fatto oggetto di un culto amorevole, filiale, con la fila infinita di vietnamiti che ogni mattina si reca davanti al corpo dello Zio, e al suo cospetto si commuove e si paralizza, e i soldati di guardia devono invitare a scorrere, ad avanzare, per consentire agli altri di entrare...
Hanoi, con la pagoda dedicata alla Dea Madre, su un ennesimo grande lago che separa il centro dalla periferia nord, circondato da alberi secolari, immense mangrovie con centinaia di radici-tronchi che creano un inestricabile labirinto vegetale esteso per più di dieci metri, alberi adorati, trattati come divinità, con i soliti incensi della preghiera incastrati nella corteccia, alberi protetti dal programma governativo "Vietnam Heritage Tree", Hanoi, coi ristoranti di cani, con i mercati dove compri tartarughe, granchi, pesci lunghi un metro, e ogni genere di bestie, freschissime, anzi proprio vive, pronte per essere portate a casa e cucinate, ma che dico a casa, a casa si va solo a dormire, è nella strada che si cucina, con la collaborazione di tutto il circondario, perché uno mette il pescione, uno mette il riso bianco, uno le seggioline e i tavolini, uno acqua, birra e ghiaccio industriale, uno una graticola per cucinare, e tutte le strade, tutti i marciapiedi, ogni singolo metro della città diventa refettorio e ristorante, a un euro mangi quel che c'è, non aspettarti di ricevere in menu, stai tranquillo il cane non te lo serviranno a tradimento, quello si trova solo in un unica strada, e attento a non mangiarlo il primo giorno del mese lunare, perché porta sventura, e quindi si mangia a poca distanza da terra, quasi per terra, tutto si fa per terra, si macella la carne direttamente sull'asfalto, per poi sciacquarla in bacinelle piene di acqua, forse la stessa dove poi saranno lavati piatti, bacchette e pentolame, ah, le bacchette, non scordarsi di strofinare vigorosamente le punte sull'asfalto dopo averle lavate, in modo da scrostare e rimuovere a fondo ogni resto di cibo...
Hanoi, con suoi sarti, e il vestito di seta che Ramona si è fatta fare da una vecchina di ottant'anni, che col marito vive nell'unica stanza sulla strada che è negozio, showroom, camera da letto, salotto, cucina, forse da qualche parte ci sarà anche il bagno, magari un metro quadrato dietro una porticina, e il letto è un lettone di legno senza materasso, una tavola massiccia con testiera elegante, si dorme sul duro, con la schiena ben dritta, e questa gente, anche a novant'anni, ha la schiena ben dritta, tutto si può dire dei vietnamiti tranne che non abbiano la schiena ben dritta, e corpi tonici anche, e si capisce che è una scelta, questa dalla povertà, che non è miseria, ma è vivere dell'essenziale e nell'essenziale, perché questa sarta nel cuore di Hanoi non è certo tra quelli che se la passano peggio in Vietnam, e un materasso se lo potrebbe ben permettere, ma a loro piace così, anche lo Zio Ho dormiva sul nudo legno, nella palafitta a due stanze che si era fatto costruire nel complesso presidenziale dove passò gli ultimi dieci anno della sua vita, una povertà che fa pensare alla dignità, perché se il Vietnam è il Vietnam, e non è la Thailandia o il Laos, è perché i vietnamiti hanno scelto di essere poveri per non essere servi, degli americani, dei dollari americani, e molte centinaia di migliaia di ragazzi hanno scelto di dare la vita perché il Vietnam fosse un paese povero, più povero di come fosse prima, sotto il regime fantoccio creato dagli americani con i dollari americani e un'economia parassitaria e artificiale, ma libero, libero, indipendente, povero e libero, povero e non debitore, povero e progressista, anche a costo di progredire lentamente, in base alle reali capacità di produrre, giusto un centimetro all'anno, e verrebbe da dire che così è stato, e, considerando i diversi punti di partenza, si direbbe che in 40 anni di indipendenza il Vietnam sia progredito lentamente e linearmente più di quanto sia progredita l'Italia in 60, che ha usato e sperperato i dollari americani del dopoguerra e ha fatto baldoria per decenni ipotecando il destino delle generazioni future, e ha finito per dimenticare completamente il concetto di progresso a favore di quello di crescita e sviluppo, e mentre oggi si prendono iniziative per rilanciare crescita e sviluppo si mette una pietra pesante sopra la tomba dell'idea del progresso, della dignità, del benessere, quello vero, quello della psiche, del morale, del bene comune che è la somma del bene di tutti, ma è anche più di questa semplice somma...
Hanoi, che ci induce a restare più del previsto, Hanoi, che dopo avere tanto amato la sorella del Sud, Saigon, non può non rubarci il cuore con il suo infinito fascino antico e, sembrerebbe, immutabile, Hanoi, che ci regala in pieno anche l'esperienza di un tifone tropicale, mentre siamo seduti sulla terrazza panoramica di un bar chic al sesto piano di un palazzo a forma di nave, accanto al lago della tartaruga gigante, ed ecco che una bella giornata limpida si trasforma in una tempesta che ci investe con una pioggia orizzontale e vento a 100 all'ora, e fuggi fuggi dentro le vetrate, e vasi di orchidee che volano via, e camerieri che corrono a chiudere gli ombrelloni, e qualcuno che vola di sotto, degli ombrelloni non dei ragazzi, e tutti quanti nervosi e spaventati a chiedersi se i vetri reggeranno, e se sia il caso di prendere l'ascensore, e sembra che anche i camerieri siano piuttosto preoccupati, e dopo mezz'ora è tutto finito, c'è il sole, nelle strade alcuni alberi sono stati sradicati e abbattuti, scopriremo poi che un tassista è rimasto schiacciato da un tronco gigante dentro il suo taxi e ci hanno messo 5 ore a rimuovere l'albero e a recuperare il corpo, e le strade allagate, e il lago della tartaruga strabordato, e dopo ancora qualche ora tutto che è tornato normale, anche se nel frattempo sono morte una trentina di persone, ma ora il tifone se ne va verso la Cina dopo avere fatto altri danni nel nord-ovest del Vietnam, il tifone Kai-Tak, di cui poi i giornali parlano per giorni, il tifone che diventa tale quando una tempesta tropicale guadagna potenza e i venti superano gli 80 km all'ora, Kai-Tak, tifone nato dalla 13ma tempesta tropicale vietnamita dall'inizio dell'anno, Hanoi, città tanto vituperata da Oriana Fallaci dopo la sua breve visita del 68, invitata dal governo del Nord, accusata di essere grigia e monotona e trista e liberticida, invece oggi esplosione di colori, suoni, odori, volti, differenze, preghiere, culti, alberi, clacson, strade, case, spaghetti di riso, localini, venditori, laghi, laghetti, rollerblade, palloni, badminton, spiriti fluttuanti, anime vaganti dei morti, divinità benevole, giardinieri, soprattutto, un esercito di giardinieri sempre all'opera, e facce dello Zio Ho in ogni angolo della città, e poster con l'immancabile colomba bianca della pace su fondo rosso che ricorda qualche anniversario della rivoluzione, e sculture di arte astratta o a tema rivoluzionario sparse nei parchi...
Hanoi, che ci verrebbe voglia di restare ancora qui qualche giorno a perdere tempo nei parchi dove la gente fotografa i fiori, fa tai-chi, filosofeggia e legge il giornale, dorme sulle panchine, guarda dritto davanti a sé per ore e chissà a cosa pensa.
Invece ripartiamo per Saigon, e siamo contenti di ritornare là, a rivedere la città che ci ha accolti venti giorni prima e ci era sembrata la meraviglia dell'Oriente, prima di questo viaggio di 1300 km, prima di percorrere le vene profonde e le membra guizzanti di Hanoi, grande dama d'Oriente.
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