– guarda le colonne di fumo, leggero, come si alzano all'orizzonte, verdi, violette, gialline, in fondo alla piana deserta, sullo sfondo della foschia, lunghe matasse annodate, srotolate in verticale, lentamente, densamente, dove si schiantano i moscerini, precipitano i tordi, impazziti, bruciano migliaia di formiche, sotto un cielo grigioazzurro, sempre più scuro, quasi una lastra di piombo, che pesa, inclina l'angolo sopra la testa – e dimènticati di cenare, dimènticati di ricordare, che ora, che ora è, dimènticati di dimenticare, e fai la cena, dimenati, ascoltando il sopraggiungere dei boati, molte ore dopo, per via della velocità del suono, della lentezza del suono, della distanza lineare, della circolarità del globo – che dietro l'angolo, oltre la linea dell'orizzonte, appena oltre il punto dove finisce lo sguardo, ci sono belve assetate, instabili, irrequiete, che non si vedono, dilacerate ciascuna dai denti di un'altra, ma tutto è come sott'acqua, e si intravede appena la sagoma, sfocata, di quel che succede – Felice Baum sta seduto, al centro esatto della stanza, sopra un tappeto quadrato, un po' liso, raddrizza la schiena, snoda attentamente la colonna, vertebra dopo vertebra, facendo esplodere bolle d'aria dentro le articolazioni, con scricchiolii abituali, abbassa le palpebre, in un istante lunghissimo, oscura la vista, respira, inspira, con minimo sforzo fuoriesce dal corpo, sgusciando, con fare pneumatico, con un sospiro, il corpo lo lascia seduto, in mezzo alla stanza, il resto si invola, si dirige, verso il luogo del potere, il centro del luogo del potere, la stanza che è al centro del luogo, del potere – si abbassa, tocca terra, non visto, raggiunge la scrivania, afferra lo stiletto, lo infila nel torace del capo, del capo dei comandi, del proprietario delle cose, dei fatti, lievemente, tra due costole, fino al cuore, si accascia senza un sussulto, né un gemito – Felice Baum si alza, il resto di Felice Baum, senza il corpo, di nuovo, dalla finestra, verso la casa della madre, entra dalla finestra, che dorme, anche se il vetro è chiuso, passa e prova un leggero, dolore, attraversando la lastra, dura e trasparente, fa una carezza alla madre, che dorme, ritorna indietro, rientra, nel corpo, nella stanza, va a cena – l'indomani, obbedendo a un comando, centinaia di migliaia di persone, milioni, sbucando da ogni dove, di prima mattina, vestiti di nero, di grigio, intabarrati per bene, vanno alla ricerca, di lui, gli danno la caccia, Felice Baum sta nel mezzo, della stanza, apre gli occhi e li chiude, con calma, poi fa colazione, legge il giornale – perché così fa la gente, non si dà, pensiero, e va –
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