in relazione alla Lettera inviatami
dalla Direzione Amministrativa Abbonamenti RAI che, al contempo, con
graduale ed attenta escalation lessicale, suggerisce poi caldeggia
infine intima il pagamento del Canone televisivo da parte del
sottoscritto, vorrei fare chiarezza una volta per tutte sulla mia posizione; la quale, curiosamente, pur non essendo un caso
particolarmente singolare o improbabile, sembra corrispondere all’unica opzione non prevista dalla pur dettagliata, scrupolosa,
esaustiva, e in certi passaggi peritosa, Missiva.
Dichiaro dunque, nel pieno possesso
delle mie facoltà – e conscio di rivolgermi a funzionari che non
hanno esitato a impiegare nella stesura della Lettera in questione un
tono velatamente insinuante e minatorio – dichiaro dunque, per
quanto ciò possa suonare a certuni Signori umoristico o grottesco, o
finanche immorale, di non possedere alcun
“apparecchio atto o adattabile alla ricezione di programmi
televisivi”.
Mi domando peraltro, per puro esercizio
dell’ozio, come mai il sottoscritto sia stato incluso nella lista
dei destinatari della suddetta Lettera, dato che nella stessa si
legge che “la lettera […] viene inviata a tutti colori che, pur
avendo la disponibilità di uno o più apparecchi televisivi, decoder
digitali e/o altri apparecchi [...]”. Chissà quale increscioso
equivoco, o caso di omonimia (non voglio nemmeno ventilare l’ipotesi
della malafede) abbia spinto il solerte funzionario RAI del caso a
ritenere, con integra e incrollabile convinzione, che quel "pur avendo" debba riguardare il sottoscritto; procedendo dunque,
con lo zelo che fuga ogni dubbio, a inviare al sottoscritto la Lettera con il suo
contenuto tanto stolidamente perentorio.
Mi domando, altresì (procurando una
netta aggravante alla mia autoaccusa di vacua oziosità) come mai un
ufficio della RAI si faccia carico di invitare (poi caldeggiare, poi
intimare) un cittadino italiano a “regolarizzare definitivamente la
Sua posizione” nei confronti del fisco; dato che, fino a prova
contraria, il Canone televisivo è un’imposta dello Stato (come da
Voi diligentemente ricordato, con generosa minuzia di estremi
giuridici) legata al possesso di apparecchi televisivi, e non una
forma di abbonamento ai programmi RAI o di qualsivoglia altra azienda
pubblica o privata. Pertanto, come nel caso del Bollo
automobilistico, sarebbe logico che l’Agenzia delle Entrate dello
Stato, o le altre agenzie incaricate al controllo e alla riscossione,
procedessero con l’invio di lettere di sollecito o di richiesta di
chiarimenti – e non un Ente come la RAI.
Ma, a scanso di ulteriori equivoci e a
prescindere dalla pertinenza e dalla autorevolezza della Lettera da
voi inviata, tengo a precisare che i Signori della Amministrazione
Finanziaria saranno ben accolti presso il mio domicilio, dove gli
sarà di buon grado offerto un bicchiere d’acqua e gli sarà
civilmente garantito l’utilizzo della toletta in caso di bisogno –
naturalmente purché siano in grado di produrre un regolare mandato
rilasciato dall’Autorità Giudiziaria.
Dichiaro altresì, a titolo puramente
informativo e in modo del tutto accessorio, e dunque completamente
inutile dal punto di vista strettamente burocratico-fiscale (tanto
che vi invito fin d’ora a saltare queste righe che seguono, salvo
che vogliate concedervi un minuto di astensione e distrazione dalla
vostra rispettabile funzione) che con gioia corrisponderei allo Stato
un’imposta, anche pari a 113.50 €, che mi garantisse il diritto
di poter non essere raggiunto da trasmissioni televisive
pubbliche o private, o fenomeni analoghi, in alcuna circostanza
pubblica e privata, compresa la frequentazione di autobus di linea,
stazioni ferroviarie, bar e ristoranti.
Ricambio con eguale sussiego i vostri
“migliori saluti”.
Carlo Cuppini
Adoro.
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