Gli efferati crimini dell'IS e la sua violentissima avanzata non ci impediscano di condurre un'analisi lucida della situazione, anzi ci diano occasione per una riflessione più ampia: ciò che sta accadendo in Medio Oriente, per opera non di un gruppetto di terroristi ma di un esercito composto da 30.000 uomini (a quanto si può leggere), è fondamentalmente l'unificazione dei territori abitati dagli arabi sunniti (non solo, ma soprattutto) sotto il vessillo di un unico stato. Peccato che sia un (aspirante, sedicente) stato contrassegnato da un'ideologia e una prassi aberrante, che nasce con le premesse e le prospettive peggiori possibili e che si consolida attraverso una violenza non dirò inaudita ma di certo agghiacciante e che scuote le coscienze: cosa di cui, peraltro, non ci si può stupire, se si abbia la pur vaga nozione della devastazione umana, sociale e morale che è stata recentemente perpetrata in quei territori, in larga parte grazie alle iniziative 'occidentali'. Come non rilevare, mentre mettiamo mano a un'altra guerra, che il progetto dell'IS ci indica paradossalmente l'unico concetto geopolitico di buon senso per il governo del Medio Oriente? Un unico stato arabo sunnita che prenda territori da molti degli stati attualmente esistenti, accanto a uno o più stati arabi sciiti, un unico stato kurdo, e - devo aggiungere - un unico stato bi-nazionale esteso su tutta la Palestina storica. Disfare quindi i confini creati ad arte un secolo fa per soddisfare gli interessi coloniali di Inghilterra e Francia in vista della fine dell'Impero Ottomano, con tutte le evoluzioni post-coloniali conseguenti. Solo mettendo in agenda questo progetto, o almeno esprimendo umilmente e ufficialmente questa riflessione (che è anche un'ammissione di colpa storica) un nostro intervento militare nella regione potrebbe non essere guardato con sospetto e dissenso. Solo in questo modo si potrebbe credere che l'obiettivo non sia fare, ancora, i nostri interessi economici alle spese di quella terra, ma di fermare i massacri e gli abusi, dell'IS e non solo, in Siria, in Iraq, in Palestina, in Israele, in Libano, in Turchia, in vista di un ripensamento generale - non certo semplice e non a tavolino, ma necessario! - della mappa delle identità nazionali e degli stati, delle quali identità questi ultimi dovrebbero essere espressione. La colpa storica che l'Occidente, nel disseppellire di nuovo l'ascia di guerra, dovrebbe emendare o ameno ammettere, è in realtà doppia: infatti la spartizione del Medio Oriente fatta con gli accordi segreti Sykes-Picot (1915-16, all'inizio della Grande Guerra) non è stata solo la negazione delle identità e della dignità dei popoli mediorientali – premessa di moltissime delle tragedie, non solo locali, a venire – ma è stata anche il tradimento della promessa politica (di buon senso, e che fa tornare all'inizio di questa riflessione) fatta dalla Gran Bretagna attraverso Sir Henry McMahon (Alto commissario britannico in Egitto) agli arabi: di poter formare uno stato arabo unico su tutti i territori interamente arabi del Medio Oriente, se si fossero schierati con gli Alleati, contro la testa dell'Impero Ottomano (la Turchia), nella Prima guerra mondiale, come avvenne.