blog di Carlo Cuppini

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lunedì 12 luglio 2021

"Il mistero delle meraviglie scomparse" - recensione di Giovanni Agnoloni su "La poesia e lo spirito"

Grazie infinite allo scrittore Giovanni Agnoloni per questa bellissima recensione de "Il mistero delle meraviglie scomparse" (marcos y marcos), che, con gesto originale, sceglie di leggere il libro come un racconto per adulti. Questa lettura "adulta" della fiaba mette in luce l'aspetto iniziatico del viaggio, come occasione di crescita per i bambini; ma anche, a ritroso, come invito a tornare alla fonte, all'origine dell'immaginazione, ai principi creativi e morali dell'infanzia. Questa recensione coglie anche i riferimenti - involontari, ma innegabili - alla più recente, pressante e irrisolta attualità.
Questo, che non è l’esordio, ma senza dubbio il libro finora più importante di Carlo Cuppini, narratore e poeta urbinate ma fiorentino di adozione, è proposto come un libro per bambini, ma di fatto è un’indagine e un percorso trasformativo rivolto anche ai lettori adulti. La storia ruota intorno a uno di quegli inciampi del destino che spesso segnano la transizione in un nuovo ordine di cose – più o meno come il tempo infausto in cui, negli ultimi diciotto mesi, ci siamo ritrovati a vivere (prima analogia significativa con il presente, per un’opera scritta prima della “pandemia”). E il fatto spiazzante è questo: i monumenti di Firenze sono spariti. Qualcuno, nello spazio di una notte, li ha presi e portati via – verranno poi ritrovati sparsi in varie parti del mondo, arrivati lì non si sa come.
Nello sconcerto generale, sia pur accompagnato da una certa misura di fatalismo nella popolazione (seconda analogia con i fatti che ben conosciamo), due fratellini, Filippo e Francesca, abituati a frequentare le rive dell’Arno, hanno la geniale intuizione – aiutata dall’improvvisa scomparsa di una statuetta-giocattolo, ghermita da una mano d’acqua notata da Filippo – che a rubare i monumenti sia stato proprio il fiume. E siccome la situazione, in città e oltre, si è fatta pesante, tanto che è stato chiuso tutto (terza analogia), e tra gli stati la tensione intorno ai monumenti rubati è andata alle stelle, i due, mentre i loro genitori indugiano davanti alla TV (quarta analogia), pensano bene di agire.
Aiutati da un archetipico vecchino munito di barca, risalgono l’Arno fino alla sorgente per negoziare con lui la restituzione dei monumenti e salvare la pace. E qui, se finora non fosse bastata una storia brillante e scritta con mano tanto lieve quanto profonda e tanto seria quanto brillantemente ironica, le cose si fanno veramente interessanti. Viene infatti fuori il suo aspetto più incisivo e carico di simbologie. Il viaggio dei bambini verso la sorgente del fiume non è solo un percorso iniziatico e un’esperienza educativa che fa di questo libro un gioiello di romanzo di formazione; è soprattutto una potente allusione alla necessità, per la psiche e lo spirito umano, di tornare alla Fonte, alla radice della scissione dal Sé, che spesso si annida proprio nei territori dell’infanzia, là dove il “gioco” è stato perduto e la passione che lo accompagnava è stata con esso smarrita – e, aggiungo, dove i summenzionati inciampi del destino sollecitano a prendere coscienza del punto di lacerazione e a ricucirlo, per ritrovare un’unità.
Davanti ai traumi collettivi e alle reazioni di paura, sconcerto, codardia e omologazione che ne conseguono (e ne sappiamo qualcosa), c’è solo una strada possibile per uscire dalla crisi, progredire e, così, crescere: trovare la nota dissonante, indagare e non chiudere gli occhi davanti a ciò che è evidente, ma che la propaganda dei media e del governo cerca di offuscare per perseguire altri scopi. Insomma, prescindere dagli altri, che siano ministri, giornalisti o semplici concittadini arresi e supini. Assumersi la responsabilità di un itinerario di autoconsapevolezza alla luce della verità dei fatti esterni e interiori. E agire non “a caso”, e nemmeno “troppo”, ma là dove e come serve. Non cadere nell’errore delle contrapposizioni dualistiche, che spesso giovano a chi persegue fini oscuri, ma cercare un’unità che non è improvvida compromissione – per evocare uno dei più importanti titoli di un maestro della narrativa italiana come Mario Pomilio –, ma l’adesione a un disegno interiore di chiarezza di coscienza, capace di riverberarsi sul mondo.
È questo che fanno Filippo e Francesca, i due piccoli protagonisti. E sempre questo fa il loro creatore, Carlo Cuppini, che con Il mistero delle meraviglie scomparse realizza una storia che possiede la principale qualità dei migliori libri: una densità filosofica che fa tutt’uno con la semplicità e la scorrevolezza delle forme.

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