C'è poi il depistaggio del titolo, che alla fine lascia in testa la domanda: dato che questo film NON parla di adolescenza, di cosa parla?
Parla di un adolescente, ma questo non sembra essere il punto centrale: la serie non potrebbe intitolarsi “Jamie".
Secondo me potrebbe intitolarsi "Innocence". È questo il tema segreto e inconfessabile del film, mi pare. Inconfessabile perché, dichiarandolo, apparirebbe inaccettabilmente provocatorio, visto che al centro della trama c'è un femminicidio. E il termine “innocenza” non sarebbe riferito alla condizione della vittima, ma a quella dell'assassino.
Perché innocenza? Quale innocenza?
L'inizio del film è disturbante e doloroso: quando Jamie, il protagonista tredicenne, viene prelevato brutalmente da casa dalla polizia, noi non possiamo credere che quel ragazzino dall'aspetto così infantile e fragile e inerme, con la sua disperazione, possa avere compiuto il crimine di cui è accusato. In fondo Jamie è solo "un bambino di tredici anni", come dice lui stesso alla psicologa in seguito. A chi potrebbe fare paura? Come potrebbe essere colpevole?
Per tutto il tempo Jamie si dichiara innocente. Interrogato dal padre, nega di avere compiuto il delitto. Di fronte alla videoregistrazione che mostra il fatto, dice che non è vero, che un film può anche non mostrare la verità.
Lì, davanti a quel video, il padre di Jamie crolla: capisce che il figlio ha davvero commesso un assassinio e il mondo gli cade addosso.
Noi però non ci crediamo, che sia stato Jamie. Non ci crediamo perché Jamie non ci crede. Se Jamie si dichiara innocente non è perché mente, è perché è, deve essere innocente. Di un'innocenza spaventosa, pericolosa, metafisica, difficile anche soltanto da pensare. Perché pensarla significa aprire una domanda che riguarda il rapporto tra un ideale stato di natura degli individui, dove la vita si rigenera di continuo e ognuno è solo ciò che è in quel momento, e le norme sociali necessarie, che riconducono ogni fatto e ogni persona all’interno di una vasta e complessa narrazione condivisa.
Che Jamie sia innocente non lo pensiamo noi spettatori perché abbiano strampalate, ambigue e magari aberranti idee filosofiche: lo dice il film stesso. Non attraverso la trama - che è di una semplicità e di chiarezza disarmanti, al limite della banalità - ma attraverso alcuni usi particolari del linguaggio cinematografico. Lo dice attraverso la fisionomia di Jamie, e attraverso il tipo di interpretazione richiesta al giovane attore che lo interpreta; attraverso l'indugiare pressante e compassionevole della camera a mano sul suo volto; attraverso i pochi ma significativi inserti musicali, che nei momenti cruciali sono litanie malinconiche cantate da voci bianche. Queste sembrano avere il compito di sublimare la storia in una dimensione ambiguamente angelica.
(Considerato tutto il contesto, viene in mente l'uso "metafisico" che il Pasolini regista fa della musica, per rivelare i limiti del Neorealismo e allo stesso tempo, aprendo squarci di altrove nel tessuto del racconto realistico, superarli.)
Dunque Jamie è innocente, qualunque cosa abbia fatto, perché - metaforicamente - è un angelo. Gli angeli tifano per lui, e lavorano per suscitare la nostra empatia. Non c'è crimine, assassinio, femminicidio che tenga.
Perché Jamie è un angelo, mentre Turetta e quelli come lui sono dei criminali tra i peggiori?
Perché Jamie vive nel mondo della finzione, e i suoi autori hanno deciso di assegnargli questo ruolo, questa condizione. Tutto qui. La realtà è un'altra cosa, funziona in un altro modo. E Adolescence parla solo in parte della realtà.
Mi pare infatti che la serie parli soprattutto di finzione. Di letteratura. Di narrativa. Di come il senso della vita tenda a uniformarsi ai significati e agli schemi di una narrazione potenziale. La vita di per sé è cruda e informe, non ha senso, non ha regole, schemi, traiettorie, stili, limiti. La narrazione ha e deve avere tutte queste cose.
Il film sembra dirci che, nella vita, nella sua vita cruda, Jamie è innocente, per davvero, perché veramente non è stato lui.
Chi è stato allora? Non lo sappiamo. Una forza che si è impossessata di lui? Un raptus che lo ha attraversato come una scossa elettrica? Una parte di lui, che in quel momento ha preso il controllo del suo corpo, ma che non è LUI? Un lui del passato, che ha cessato di esistere nel momento in cui si è conclusa l’azione, e che, di nuovo, non è LUI? Il Diavolo o altre entità del genere? Non lo sappiamo. A un certo punto smettiamo di chiedercelo.
Molte critiche e recensioni si sono concentrate sugli aspetti sociologici della serie, come se fosse un'opera di critica sociale, o di denuncia, o con un qualche valore didattico ed edificante. Non credo sia così. La serie tocca alcuni temi sociali, è vero: Jamie viene bullizzato nella sua sfera relazionale e sessuale da quella che sarà la sua vittima; Jamie è condizionato da assurde teorie maschiliste e misogine apprese online e circolanti nella sua scuola; Jamie è insicuro e privo di autostima, e però è portato a reagire con violenza fisica; Jamie ha un rapporto problematico con il padre, del quale teme di non essere all'altezza … Ma tutto questo è talmente esile e superficiale, nell’economia dell’opera, da non poterne costituirne il nocciolo.
Dunque, su un certo piano esistenziale Jamie è innocente, ci dicono gli sguardi della camera e i cori angelici. Ma nella narrazione Jamie è indubbiamente colpevole.
Come se ne esce? Ecco come: la vita dovrà finire per uniformarsi alla narrazione.
Perché i due piani convergano e si sovrappongano, Jamie deve diventare un personaggio pirandelliano: un attore consapevole del suo ruolo nella commedia (anzi, tragedia).
Nell'ultimo episodio – dove Jamie non si vede mai, ma ne udiamo la voce nel corso di un'ultima, esiziale telefonata al padre – il ragazzo sembra avere compreso che la sua vita è sovrastata da una narrazione che assegna ai suoi gesti un determinato, ineluttabile e irreversibile significato. Sembra accettare il fatto che i suoi autori abbiano imbastito una storia che, date le forze messe in campo e le coordinate stabilite, DEVE necessariamente finire con due vittime. Una è la ragazza che "non lui" ha ucciso, che LUI non avrebbe mai ucciso. L'altra vittima designata è lui, che non può sottrarsi alla funzione narratologica in cui è stato imprigionato.
È con una serenità soave, sovrumana, terrificante, che Jamie informa il padre che al processo si dichiarerà colpevole. E, paradossalmente, è proprio questo il momento in cui la sua innocenza appare completa, assoluta, inconcepibile e incrollabile. Un’innocenza sconvolgente e perturbante, di cui sappiamo soltanto una cosa: che non è sinonimo di incolpevolezza.
Nessun commento:
Posta un commento