Il mio progetto è fallito. La bomba non è scoppiata. Ero certo che dopo l'annotazione n° 12 di ieri si sarebbe scatenato il finimondo; pensavo che se anche una sola persona avesse letto quella notizia, la cosa avrebbe fatto il giro del globo in un paio d'ore; immaginavo che la gente prima l'avrebbe verificata, poi si sarebbe strappata i capelli e sarebbe scesa in strada urlando, che tutti contemporaneamente ci saremmo recati nei palazzi del potere con bastoni e coltelli e avremmo linciato i responsabili di queste azioni, che avremmo scorticato i giornalisti che ci hanno raccontato che i morti in Iraq erano qualche decina di migliaia, che avremmo inchiodato alle loro responsabiltà i tutori di questo criminale ordine mondiale, di cui siamo complici, utenti e beneficiari.
Niente di tutto ciò è accaduto.
Allora mi chiedo quand'è che noi esseri umani abbiamo smesso di essere intelligenti.
Quand'è che abbiamo perso il contatto con la realtà.
Mi chiedo come nasce la nostra strana morale, e a cosa serve.
Mi chiedo se qualcuno ricorda i motivi per cui è stato invaso l'Iraq. E quelli che hanno portato Hussein all'impiccagione.
Comunque non importa: abbiamo smesso da tempo di essere una specie animale intelligente, le cose procedono senza alcuna ragione, giustificazione, misura, pertinenza. Niente importa, niente che non sia utile ad abbrutirci ulteriormente nella nostra personale tana. Abbiamo smesso di essere un'eccellente specie animale tra le altre, per diventare "bestie", per usare una geniale categoria inventata da noi stessi.
Io voglio la felicità. La mia felicità. La cosa più tragica è che, sono sicuro, insieme al senso della realtà e della responsabilità abbiamo perso ogni possibilità di essere felici. Collettivamente. Ci accaniamo a cercare una realizzazione personale che gira a vuoto, nel vuoto di questo delirio dove è tutto finto e tutto è possibile, senza limite all'orrore, dove le parole e i significati cadono nel vuoto, dove il valore della vita umana cade nel vuoto, se i giornalisti decidono che non fa notizia, dove lo spazio della nostra possibile felicità è un vuoto che può essere soltanto riempito sempre più artatamente di immagini, ambizioni adrenaliniche e idiozia.
I miei amici di Marte mi hanno invitato a trasferirmi da loro. Capiscono la mia situazione, sono comprensivi e generosi. Umani. Ma io devo restare qua.
Questo è il mio mondo. Questa è la mia specie. I nostri crimini sono i miei crimini. La nostra infelicità è la mia infelicità. Le crepe del sistema sono il punto dove si può sviluppare il mio ritorno alla realtà. La mia possibilità di felicità.
Scriverò lettere ai miei amici su Marte.
Ma voglio restare. E parlare.
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