Articolo pubblicato su "Latinoamerica (e tutti i sud del mondo)" n.109, ottobre/dicembre 2009
Se in Palestina scoppia la non-violenza: At-Tuwani, Bil'in e gli altri
1.
La resistenza palestinese in Cisgiordania sta approntando una nuova arma per combattere l’occupazione militare. Si tratta di uno strumento ancora in fase di collaudo, ma che sta già dimostrando la sua efficacia e fa innervosire le autorità israeliane: il suo nome è “non-violenza”.
Già nel corso della seconda intifada (2000-2006) è iniziato un processo di trasformazione nella consapevolezza politica e nelle scelte strategiche di parte della società palestinese. Le cause sono diverse. Il fallimento di un’opposizione popolare improntata alla violenta, della lotta armata e del terrorismo (che sono comunque tre aspetti distinti che non vanno assimilati) è conclamato, ed è chiaro a tutti che a beneficiarne è stata la politica espansionistica israeliana. Con il pretesto di reprimere le violenze popolari e prevenire gli attacchi terroristici l’esercito ha eliminato fisicamente, con arresti e omicidi, centinaia di leader della resistenza e decine di migliaia di militanti, e ha potuto stringere la popolazione civile in una morsa ancora più estrema di disperazione, privazioni, distruzioni, rappresaglie -in una parola: terrore. In secondo luogo, la delusione dei palestinesi verso i propri rappresentanti politici e l’ANP, accusati di essere corrotti e interessati più dal dialogo diplomatico con Israele che ai problemi reali dei palestinesi, è tangibile: la dimostrazione è arrivata con il successo di Hamas alle elezioni politiche del 2006. Ma chi ha gridato alla deriva islamista della protesta palestinese si è ingannato: troverete pochissime persone in Cisgiordania che vi diranno di avere votato Hamas per motivi religiosi; la maggior parte vi spiegherà che Hamas rappresenta un’alternativa ai negoziati portati avanti da Al Fatah, ormai vuoti e rivolti soprattutto a consolidare il potere della vecchia classe dirigente palestinese grazie al consenso diplomatico israeliano. Infine, il Muro di separazione fatto erigere da Sharon all’interno del territorio destinato allo Stato Palestinese, che ha di fatto annesso a Israele il 38% della Cisgiordania, ha trasformato loro malgrado gli abitanti dei villaggi prossimi alla frontiera in nuovi protagonisti della resistenza. Questi villaggi rappresentano una realtà completamente diversa da quella delle città e dei campi profughi, dove è scoppiata l’intifada, che da 40 anni pagano il prezzo più pesante dell’occupazione militare: qui la vita si è svolta finora in una condizione di relativa tranquillità, tra pastorizia, agricoltura e in qualche caso una piccola produzione industriale. Da un giorno all’altro, gli abitanti di Bil’in, Nilin, al-Ma’sara, e di decine di altri villaggi, si sono trovati separati dai propri campi, impediti a raggiungere ospedali scuole o fabbriche poco distanti; si sono visti espropriate grandi porzioni di terra e hanno assistito a una nuova vertiginosa espansione delle colonie negli appezzamenti rimasti chiusi al di là del Muro. Alcuni villaggi, come Nilin, sono stati completamente accerchiati dalla barriera, e l’entrata e l’uscita delle persone è regolata in modo arbitrario dai militari posti ai varchi. Proprio a Nilin è accaduto che a una donna prossima al parto e a un uomo bisognoso di cure ospedaliere sia stato negato di lasciare il villaggio senza che venissero fornite spiegazioni sul motivo. Decine di volte ai bambini viene impedito di recarsi alla scuola che si trova fuori dal villaggio. Gli esempi di questo impero dell’arbitrio e dell’illegalità (il Muro è stato dichiarato illegale dalla Corte Internazionale di Giustizia, come tutte le colonie costruite a partire dal ‘67) da parte dell’esercito israeliano sono innumerevoli: una visita a due o tre di questi villaggi vi permetteranno di tornare a casa con decine di storie inverosimili, ma vere e verificabili presso gli uffici dell’ONU e delle diversi organizzazioni internazionali presenti. E tutte queste storie che potreste ascoltare saranno accomunate dallo stesso sgradevole odore di sopraffazione, di razzismo, di rappresaglia contro i civili, di punizioni collettive per crimini di singoli, o addirittura per nessuno crimine.