Ripubblico questa lettera di cui si è parlato oggi alla trasmissione
"Tutta la città ne parla" su Radio3
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Presidente Giorgio Napolitano,
come italiano, come cittadino di uno stato democratico, come trentenne che guarda al presente e al futuro per sé e per il proprio Paese, io mi rivolgo a Lei con la morte nel cuore.
Presidente, è noto a tutti che la democrazia non è un dogma, né un dono, né una verità. Non è neanche la raggiunta e insuperabile perfezione nella storia della convivenza umana. Non è neanche qualcosa su cui si sia tutti d'accordo: nelle "repubbliche popolari", democrazia significa eliminare le differenze di ogni genere tra la popolazione, affinché nessuno se la passi peggio degli altri. Noi invece crediamo che la democrazia significhi "un uomo un voto". E certo non siamo senza ragione.
"Un uomo un voto".
Sì. Ma con quali regole?
Un voto per eleggere chi?
E un voto per assegnare quale tipo di potere, rispetto ai tre poteri fondamentali dello Stato?
E con quali possibilità di bilanciare, contrastare, influenzare gli altri poteri, non "dello Stato", che comunque condizionano la vita delle persone?
E attraverso quali meccanismi formali e sostanziali la fisionomia politica dello Stato viene modellata dal voto che ogni uomo è tenuto a esprimere?
Queste domande potrebbero avere risposte infinite. Le hanno, di fatto, dato che ognuna delle democrazie che conosciamo risponde diversamente ad ognuna di esse. Anche se il presupposto comune, indiscutibile, è sempre lo stesso: "un uomo un voto".
Anche in Iran, Egitto, Congo, Russia, Ruanda, vale lo stesso principio. E anche in moltissimi altri paesi. "Un uomo un voto".
Presidente, la democrazia non è lo stato naturale degli esseri umani che vivono uno accanto all'altro; e non è la suprema conquista della civiltà, da difendere in quanto tale, in quanto incarnazione di un ideale. L'ideale della democrazia non esiste: esiste, sempre e solo, questa democrazia.
Presidente, sappiamo tutti che la democrazia è cosa ben diversa dall'ideale: è un compromesso. Un accordo, un contratto. Una tregua voluta. E' ciò che ci appare come il male minore. E' la forma di organizzazione sociale che, per quanto fonte di ingiustizie, lacunosa, inadeguata e perennemente disattesa nei suoi stessi principi costituzionali, ci sembra pur sempre la meno ingiusta, meno inadeguata e meno disattesa tra i possibili ordinamenti dello Stato. Anche se nelle democrazie simili alla nostra la gente muore di fame e di freddo, qualcuno non ha i soldi per pagare l'istruzione dei figli, una certa percentuale di disoccupazione è l'elemento strutturale su cui si basa la tenuta dell'economia, i privilegi di nascita sono garantiti dalla legge e le pari opportunità sono un eterno miraggio, le istituzioni hanno la possibilità di nascondere dietro il segreto bugie, intrighi, crimini e stragi ai danni della popolazione, e il sistema rappresentativo è sempre una specie di democrazia.
Nonostante tutto questo noi abbiamo scelto la democrazia. O meglio: noi l'abbiamo trovata, e ci siamo identificati in essa, e l'abbiamo amata. Ma altri, prima di noi, l'hanno osservata, l'hanno soppesata, e l'hanno scelta. Non tutti con entusiasmo e piena convinzione. Moltissimi l'hanno scelta come compromesso, rinunciando con dolore alle proprie convinzioni, ai propri ideali e al proprio radicalismo. In nome della pace e della convivenza tra le persone. I partigiani comunisti e socialisti hanno ascoltato Togliatti e deposto le armi, e interrotto la loro rivoluzione. Gli operai e tutti i tipi di schiavi hanno rinunciato al pieno, completo riscatto che sognavano, che gli si era prospettato. E gli studenti, i giovani, e ancora gli operai, qualche tempo dopo, dopo avere messo in discussione la democrazia parlamentare e i suoi partiti, sono tornati a scegliere la democrazia. Questo compromesso che si chiama democrazia.
Perché tutte queste persone vedevano davanti a sé una garanzia che ispirava fiducia, più dello stesso ideale: questa garanzia s chiama "le regole". E la possibilità che, in una società pur fatta di non uguali, si potesse vivere sottostando a regole uguali per tutti. Questo sogno ha convinto gli italiani, tutti.
Presidente, noi oggi viviamo il più amaro tradimento di questa storia che è la nostra storia, di questo grande compromesso che ci ha reso popolo e concittadini, che ha portato i fratelli a deporre le armi che avevano alzato contro i propri fratelli.
Presidente, hanno modificato la legge elettorale in modo che i cittadini non possano scegliere i loro rappresentati in Parlamento. Ci hanno fatto credere che la democrazia italiana sia una specie di presidenzialismo, e che la composizione del Parlamento sia una specie di prodotto secondario della scelta del Premier. Non è così. Gli italiani votano solo per determinare la composizione del Parlamento. Il quale sceglie il capo del Governo. Ma quanti italiani se ne ricordano, oggi? Il nostro unico potere, nel meccanismo della democrazia italiana, è la scelta dei nostri rappresentati in parlamento. Con l'attuale legge elettorale, che impedisce all'elettore di esprimere la preferenza per un candidato, sono i partiti che scelgono chi sta in Parlamento. E Berlusconi, con l'identificazione personale tra capo del partito di maggioranza e capo del Governo, ha fatto sì che, alla fine dei giochi, è il capo del Governo a decidere la maggioranza delle persone che siedono in Parlamento. Il premio di maggioranza previsto dalla stessa legge non fa altro che consolidare e aumentare questa aberrazione.
Presidente, tutti sanno che l'informazione è il quarto potere nelle democrazie moderne, e questo non è affatto uno slogan. Non fosse altro che per questo motivo: che il potere non è più definito dall'esito di uno scontro tra classi distinte e monolitiche, ma dalla conquista del consenso dei singoli individui.
Presidente, in Italia non esiste una legge che regoli il rapporto tra potere politico e potere dell'informazione, separandoli.
Presidente, una persona che non legge i libri e i giornali è una persona che guarda la televisione. Ci dicono che in Italia un cittadino su due non legge i libri – mai – né i giornali; e, come è ben noto, cinque canali televisivi sui sette nazionali sono controllati dal capo del Governo. Non hanno fatto la legge sul conflitto di interessi. Non è un problema di destra o sinistra, o di partiti. La sinistra ha governato per cinque anni, e non l'ha fatta.
Ma il problema è a monte. A prescindere dalla politica, come si è potuto consentire a un uomo di diventare il proprietario della metà (all'epoca tre su sei) dei soli mezzi di informazione e di comunicazione di massa effettivi, in un paese che non legge i libri? E poi – ma il problema viene solo in seconda battuta – come si è potuto permettere che quest'uomo avanzasse legittimamente pretese di natura politica?
Presidente, in Iran ci sono libere elezioni; in Venezuela ci sono libere elezioni; in Italia ci sono libere elezioni. Formalmente. Ma cosa significano queste libere elezioni? Noi siamo stati traditi, la nostra storia è stata tradita, e noi abbiamo la morte nel cuore. Perché siamo stati sconfitti prima ancora di poterci accorgere che qualcuno o qualcosa ci aveva dichiarato guerra.
Presidente. Un uomo, pluri-indagato per reati di natura politica, economica, fiscale, mafiosa, sessuale, commerciale, giudiziaria, è a capo del Governo di questo Paese, e continua a cercare di modificarne le leggi e le regole fondamentali a proprio vantaggio. Quest'uomo ha insudiciato la sua immagine istituzionale (non ci interessa della sua persona privata) con intollerabili comportamenti contrari alla morale e con atteggiamenti e discorsi pubblici razzisti e misogini. Inoltre, al di là delle responsabilità politiche e penali, quest'uomo è esposto al continuo ricatto economico e politico da parte dei suoi consentanei. Non è forse una delle regole non scritte della democrazia, che un individuo in tali condizioni scompaia, di sua propria iniziativa, dalla vita pubblica del Paese?
Presidente, un alto prelato ha detto recentemente che in Italia si è consumata una "catastrofe antropologica". Questa non è una scienza che noi cittadini laici, a prescindere dalle convinzioni religiose di ognuno, vorremmo farci insegnare dai vescovi. Ma dobbiamo comunque convenire, e non possiamo non domandarci se non si tratterà per caso della stessa "catastrofe" di cui parlava il nostro poeta, Pier Paolo Pasolini. E magari di quella stessa di cui parlava Moravia, nel 1986, quando sosteneva che "Berlusconi è il principale responsabile dell'afasia e dell'analfabetismo di questo Paese". Non sarà proprio la stessa, venticinque anni dopo?
Presidente, ci rivolgiamo a Lei (parlo a nome di tanti, tantissimi, ne sono certo) perché siamo convinti che le questioni che solleviamo non siano di natura politica, ma istituzionale. Non sono punti ascrivibili all'agenda di questo o di quel partito, ma riguardano la democrazia in quanto tale, e la sopravvivenza morale di un cittadino. Non sono i partiti di opposizione che dovrebbe ribellarsi (anche quelli, naturalmente), ma prima di tutto lo Stato.
Presidente, è doloroso doverlo dire. Noi non crediamo più nella democrazia. Noi non crediamo più in questa democrazia. Perché la democrazia è sempre questa, e non altro. La democrazia ci ha condotti fino a qui. La democrazia ha tollerato, strutturalmente, questo abominio inqualificabile. La democrazia ha tollerato anche Hitler, non lo dimentichiamo. "Un uomo un voto". La democrazia ci ha tradito, dimenticandosi con leggerezza di sviluppare gli anticorpi contro ciò che avrebbe potuto portare la società alla catastrofe.
E tutti hanno tradito la democrazia. Chi aveva il – sacro – dovere di proteggerla, di verificare la presenza di anticorpi e la loro salute, deve avere abdicato al suo compito. Altrimenti, tutto questo non sarebbe potuto accadere.
Presidente, Lei rappresenta non l'agone politico, ma lo Stato. E per questo ci deve delle spiegazioni.
Presidente, che democrazia è questa, in cui è il capo del Governo a decidere la maggioranza dei nomi di chi deve stare in Parlamento, e gli elettori sono chiamati soltanto a decidere quale parte deve prevalere sull'altra?
Perché le istituzioni dello Stato (non le fazioni politiche di opposizione!) non hanno saputo fermare questo cancro che ha corroso l'ossatura stessa dello Stato e della democrazia italiana?
Perché Lei ha permesso che questo accadesse?
Perché i Presidenti che prima di Lei hanno ricoperto il ruolo di garanti della Repubblica, della Democrazia e della Costituzione hanno consentito che si avviasse questo processo e che si sviluppasse fino a condurci all'intollerabile?
Come pensa, Lei, che noi possiamo continuare a tollerare ciò che è per definizione intollerabile? Come pensa che dovremmo comportarci noi, nei confronti dello Stato, quando ci accorgiamo che lo Stato ha tollerato ciò che non doveva e non poteva essere intollerabile?
Presidente, il capo del Governo dichiara di volere modificare l'articolo 41 della nostra Costituzione, che afferma che l'iniziativa economica privata è libera purché non sia contraria all'utilità sociale e alla dignità umana.
Ma il fatto che proprio lui sia il protagonista della vita politica italiana degli ultimi 17 anni, è la dimostrazione che non c'è alcuna necessità di modificare questo articolo bellissimo e di naturale buonsenso, perché evidentemente esso non ha mai ricevuto né ascolto, né interpretazione, né attuazione. Altrimenti il popolo italiano non sarebbe stato reso afono e analfabeta come oggi è.
Quello che viviamo giorno per giorno è lo spettacolo di un golpe continuo, sempre più feroce e sempre meno mascherato da qualcos'altro. Spettacolo, sì. E proprio il suo essere oscenamente "spettacolo" è ciò che ci spinge a restare seduti sulla poltrona, impedendoci di scendere in piazza come in Egitto o in Tunisia. In questi Paesi, infatti, il potere – poco accortamente – non si era ricoperto per tempo di soubrette che potessero diventare, oltre che sollazzo del Presidente, il simbolo erotico di metà dell'elettorato maschile.
L'attuale capo del Governo Italiano è un uomo che, in un paese civile, non può essere idoneo a governare. Non ci sono margini di discussione su questo. Ovunque all'estero, è evidente. Solo in Italia ancora ne discutiamo. Solo in Italia Berlusconi è considerato un legittimo interlocutore politico. L'intera comunità internazionale ci guarda con disgusto e compassione. Eppure, secondo recenti sondaggi, la fiducia della popolazione nel capo del Governo non è in calo. Un elettore su due lo voterebbe, oggi. Ancora.
Berlusconi continua a ripetere che solo il popolo lo può destituire, attraverso le elezioni, e non i magistrati. Ma io vorrei sapere, ad esempio, quanti italiani conoscono il significato della parola "concussione", ultimo tra i moltissimi reati di cui è accusato il premier. "Non c'è concussione perché non esiste il concusso", ha dichiarato il capo del Governo, rispondendo alle accuse dei magistrati. Avrebbe potuto dire, con maggiore credibilità: "Non c'è concussione perché la maggioranza degli elettori non conosce il significato di questa parola; e dunque il mio essere concussore è ininfluente nella logica di questa democrazia".
Presidente. Noi abbiamo paura. Non vogliamo la guerra civile in Italia. Non vogliamo arrivare alla Tunisia, all'Algeria, all'Egitto. Non vogliamo i carrarmati nelle piazze, a spararci per via delle nostre esasperate proteste. Non vogliamo trovarci ad aggredire i nostri vicini di casa, o a doverci difendere da essi. Non vogliamo vedere bombe molotov scoppiare dentro gli Uffizi, come sta avvenendo nel museo egizio del Cairo.
"Un uomo un voto". No. Non basta questo per (ri)fare la democrazia.
Presidente. Lei ci deve aiutare. Lei ci deve difendere dall'abnorme abuso del potere cui siamo sottoposti. Ci deve difendere anche da noi stessi, da ciò in cui tale abuso potrebbe finire per trasformarci. Dalla furia cieca che potrebbe esplodere tra la popolazione. Abbiamo visto di recente Piazza del Popolo avvolta dalle fiamme. No.
Presidente. Lei ci deve svegliare da questo incubo.
Carlo Cuppini, cittadino
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