Pubblicata su retididedalus.it.
Qui l'articolo integrale: http://www.retididedalus.it/Archivi/2012/giugno/LETTURE/5_cuppini.htm
---
Si avvale di un prefatore d’eccezione, la raccolta Militanza del fiore di Carlo Cuppini. E le parole di Adriano Sofri – certo non un letterato di professione, ma “scomoda presenza” della militanza tout court – possono essere scelte come epigrafe per questa breve rassegna: «Di tutti gli estremismi giovanili, la poesia è il più rischioso» (p. 5).
Quattro giovani poeti: tutti esordienti (almeno in ambito editoriale) e tutti in vario modo legati al capoluogo toscano. Sono voci già affermate o ancora in cerca di una sicura identità, germogliate su terreni diversi e spesso non comunicanti, ma tutte accomunate da questo “estremismo”, dalla scelta della poesia come tramite per rapportarsi con la cultura e la società dell’oggi.
Prima di Militanza del fiore, Carlo Cuppini si era già fatto conoscere su blog letterari come “Nazione Indiana” e “Absolute Ville”, pubblicando anche articoli e poesie sul “Nuovo Corriere di Firenze”. Non si tratta quindi di un esordiente a tutti gli effetti: e la sua prima raccolta dimostra da subito una marcata maturità – sia nella scelta dei temi che negli usi linguistici. Prima e più evidente cifra stilistica è la totale assenza di segni di punteggiatura (cui fanno eccezione un buon numero di slash), che esalta la costruzione ritmica del verso, spesso breve e frammentato – e la barra obliqua, in tal senso, diviene strumento per segmentare ulteriormente la versificazione. Parrebbe quasi
giocare con il lettore, Cuppini, confondendo l’individuazione dei nuclei semantici e suggerendo al contempo diverse interpretazioni – o modi di lettura:
[…] mi stendo nella pozzanghera nel corridoio / vedo
scendere fiocchi di cemento / armato
lievi sul corpo si sciolgono / cenere
cammino tra la città e il bordo / del mare
(p. 15)
[…] ruotare agevolmente rosa dei venti / disfatta
la festa / petrolio nel mare
cavare / dagli occhi la testa
(p. 149)
Questa difficoltà di lettura testimonia la forte componente performativa di testi scritti appositamente per la recitazione, in un esercizio giocato sulla corporalità del lettore. A confermarlo, giungono anche le scelte tematiche, che pongono spesso il corpo al centro del discorso, dalla prima sezione intitolata «La funzione del corpo» (pp. 13-51), fino all’ultima, «Disorgana» (pp. 137-49), che descrive «11 coreografie» – memoria evidente della formazione teatrale del poeta, con il coreografo Virgilio Sieni.
L’esercizio “corporale” della poesia conduce spesso a costruzioni sintattiche volutamente farraginose, al ripetersi ossessivo di formule e intercalari, non di rado sfocianti in vere e proprie nenie:
nel buio del prima che
la luce sia prima del
prima del nome di
ascolto esplosione
(p. 94)
[…] spegnere i riflettori / eccetera / le cose
corona di denti sul cranio no / noi / guantanamo / noi
eccetera / ci guardiamo negli occhi le cavità
resti di civiltà / eccetera / fortificazione
di denti a difesa dell’ultimo / eccetera
sgomento possibile / eccetera
salvo cambiare idea
(p. 23)
[…] angelo nebbia
angelo col fanale
angelo sminuzzato nel catrame
angelo grana grossa dell’asfalto
(p. 103)
Nenia che scandisce una postmoderna preghiera, ma forse non così ferma e sicura, quando si spinge lo sguardo un poco più innanzi:
[…]
santa ogni pietruzza sotto il sole
santa ogni pietra incarnata
per essere qui in questo istante
e sacro il silenzio e il rumore
sacro il diradarsi della nube
sacro il non colpire del proiettile
destinato al petto di Bassem
sacro il rallentare del cuore
alla fine della corsa in fuga –
invece dolore (p. 120)
Perché la poesia di Carlo Cuppini (e torniamo qui al titolo e alla prefazione di Sofri) è poesia dell’impegno, poesia che non nasconde l’indignazione, che sceglie un confronto immediato con la cronaca e la storia – dalle dediche a Vittorio Arrigoni («Irreparabilmente») e Bassem Abu Rahme («zittito da un proiettile di gomma mentre a mani alzate parlava e sorrideva», p. 153), fino alla sezione – un poco discutibile, ma pur sempre godibile – dal titolo «Mameli Machine» (pp. 123-34), che servendosi di molteplici passaggi attraverso il filtro di “Google Translate”, realizza le sue «operazioni di disinnesco di un ordigno bellico»: l’inno nazionale italiano. Ma come già ampiamente notato, questo deciso impegno si accompagna a una ricerca poetica sempre libera e aperta, stemperandosi assai volentieri (ma non senza cognizione di causa) in una tagliente ironia. Ed è così che
[…] l’ulivo va tagliato
potrebbe servire al terrorista
per nascondere l’arsenale
per lanciare granate granaglie
o grandi frittate
(p. 108)