blog di Carlo Cuppini

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sabato 20 ottobre 2012

bollettino #51: vagante (paura)

– vagante proiettile intercetta, lo colpisce alla punta del piede, sanguina molto, Felice Baum, appena sceso per strada, risale di corsa le scale, per non morire dissanguato sul marciapiede, si lancia dalla finestra dell’ultimo piano, rimane sospeso per aria, oltre il rettangolo dell’infisso, le gambe le braccia slanciate, non cade, per via dell’assenza di sangue, di peso, l’assenza quasi totale, dal corpo, rimasto lungo le scale, colante, raggrumato, fluente, in pozze, rivoli, laghi, la gravità non attacca, rientra nuotando dentro casa, raccoglie il sangue piano piano, centimetro dopo centimetro, con un cucchiaio, va lungo le piastrelle, poi sulle scale, quando è secco lo reidrata, sotto il getto dell’acqua, nel lavandino, nel bagno, va giù di scalino in scalino, raccoglie, raduna, alla fine si infila quei litri abbondanti, nel corpo, dalla punta del piede, e la cuce, col filo, e scende di nuovo per strada – maledetti proiettili, vaganti, si dice, guarda attentamente a destra e a sinistra, prima di sporgersi oltre il portone, attraversare la strada – proiettili vaganti, di immagini, proiettili vaganti, di parole, faide interne, vendette sociali, espropri capitali, capitalisti, omicidi seriali, proposizioni taglienti, come ingiunzioni – proiettili non se ne vedono, a quest’ora, all’ora di pranzo, tutto tace – si avvia di buon passo, Felice Baum, arriva in ufficio in orario, compie a dovere il suo dovere, cancella la memoria del presente, dal tempo presente – tutto è digerito nella pancia, senza memoria, senza storia, tutto romanzo, tutto dimenticanza, misticanza, condita col sale, delle bustine, del fast food alla stazione – dalla grande vetrata, della stanza a pian terreno, affacciata sull'aperto, sulla campagna, sul prato, sul bosco, sul fiume, vede sfilare i carri armati, sempre alla stessa ora, in fila ordinata, allora abbassa la musica, classica, anche romantica e barocca, e talvolta moderna e contemporanea, Felice Baum, si approssima ai vetri, osserva sfilare quei carri, di carne, di ferro, di carnevale, che sparano coriandoli sui campi di cavolo, su coltivazioni di carciofi, coriandoli bianchi, e neri, come diserbanti, volantini informativi per la popolazione, del paese occupato, osserva il rumore dei cingoli – ritorna a guardare i bonsai, alza la musica, non tanto da coprire il silenzio, dietro i cingoli, nell'aria della stanza, i suoi nove bonsai, ognuno su un piedistallo, di legno lucido, nero, con in cima una vasca, piena d’acqua, con immersa una roccia, muscosa, a cui stanno aggrappate le radici, e dei piccoli pesci, rossi, con code a ventaglio, ogni alberello davanti a una parte, della vetrata, ognuno di specie diversa, di forma diversa, che cura ogni mattina, Felice Baum, pota attentamente con forbicine, da unghie, idrata ed annaffia, protegge, che chiama, gridando forte, per nome, quando ha paura –

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