– soffione, soffocare, per via dei boraciferi, in mezzo al pavimento, del salotto, Felice Baum non si
vede, manca sempre agli appuntamenti, che lui stesso ha fissato, mi
tolgo la maglietta, mi rotolo per terra, sopra il tappeto, sotto il
tappeto, tra i bracci lunghi delle piante, i rami dei rampicanti, la
bocche delle carnivore, con l’intestino in subbuglio, l’addome
pieno di aria, che dovrebbe stare fuori ed entrare dal naso, ed
uscire dalla bocca o dal naso, invece sta tutta dentro, nell’addome,
nell’intestino, nello stomaco, e va su e giù per i tubi, non
accenna ad uscire, e fuori non ce n’è, fuori è secco, il
soffione, ha bruciato ogni molecola, di ossigeno, e continua a
bollire, a ribollire, a soffiare, e si soffoca, qui, senza maglietta,
la pelle riarsa, rotolando per terra, anche di notte, sotto il
tappeto, sopra il tappeto, tra le piante affamate, l’addome pieno
d’aria, tutti i respiri lì dentro, dentro la pancia, niente aria
di fuori, per respirare, il naso non serve, la bocca non serve, senza
aria non si può gridare, Felice Baum non si vede, non si presenta
agli appuntamenti, quasi mai, o mai, la sua assenza è un atto
d’accusa palese, un chiarissimo atto d’accusa, la sua accusa
addita l’impiego, della prima persona singolare, che lui, coi suoi
occhi, con tutti i suoi occhi sulla pelle, sparsi nel corpo, anche
fuori dal corpo, non sopporta, non può tollerare –
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