– fluttua Felice Baum, per le strade,
cammina in verticale nel vano dell’ascensore, precipita dal quinto
piano sfogliando le pagine, osserva la ragazza del cartellone
pubblicitario, prende il caffè al bar all’angolo, sta in bilico
sul bordo del marciapiede, nascosto dietro il platano addosso al
muro, si tocca il membro da dentro la tasca, osserva le nuvole grigie
addensarsi sulla collina, fa un altro mestiere per ore, rincasa in
orari diversi, scrolla lo zerbino davanti alla porta, pulisce le
scarpe, anche se inizia a piovere, cucina le pentole, telefona in
Australia, accade solo una volta, brevemente, parla spesso con la
madre, accende il computer, osserva la strada dai vetri, anche se
piove, fa acquisti in internet, la pioggia, guarda le nubi, compra
molte cassette d’acqua, molto scure e dense, le porta su per le
scale, scende per strada, cammina a ritroso, prende l’autobus, va
in centro, va all’agenzia, mangia la carne, ascolta la musica sul
divano, nel buio, non sa non ricorda, la nuca poggiata allo
schienale, le palpebre abbassate sul viso, si tocca il costato, preme
col palmo, infila le dita nei vani intercostali, sente il battito,
non sa non risponde, conta le costole, conta mentalmente le vertebre,
non sa il numero esatto, si perde, suona il telefono, si conta i
denti passando la lingua, crede di conoscerne il numero esatto, ha un
dubbio tra trentadue e ventotto, preme il lato della bottiglia sugli
occhi, chiusi, uscita dal frigo, fredda, per schiudere il tempo, di
dentro, si apre qualcosa di azzurro, o grigio-azzurro, osserva per
terra i lepidotteri in fila, avanzare, come in processione, con passo
regolare, osserva il meccanismo degli arti, tre alla volta, vanno
anche in verticale su per il muro, si alza dal letto, scende per
strada, si butta dal balcone, beve d’un fiato, rimuove le cause del
decesso, tenta di salvare una vespa accanto al tombino, ne distende
il corpo sul bancone del bar, prende un’altra birra, un caffè, una
tisana, un piatto freddo, le zampe si piegano e spiegano lentamente,
colleziona i tappi delle bottiglie, a migliaia incollati sulla
parete, dietro il letto, conduce spedizioni domenicali, da solo,
sulla circonvallazione, sedendo sull’autobus, in fondo, osserva,
conosce le cose oltre il vetro, ritorna, precipita dal quinto piano,
muovendo le dita sul costato, roteando gli occhi e le braccia,
sentendo i vuoti intercostali, distoglie lo sguardo dal suolo, dagli
insetti, dimentica le persone, osserva gli aerei, centinaia sopra le
nuvole, molto dense e nere, a settentrione, al margine dello spazio,
è stato più volte nello spazio, una volta su un altro pianeta, ha
staccato le stelle dal nero, torna a casa, ritrova le piante sul
pianerottolo, dove erano state rubate, le annaffia, nel cuore della
notte, gli insetti, vestito da tigre, si spacca un ginocchio, lo
batte sul marmo, picchietta la penna sull’unghia, dimentica tutto,
non sa non racconta, raccoglie le pigne, le succhia, cade
nell’ascensore, Felice Baum –risale –
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