Prima il kiwi era una pianta enorme, una foresta che invadeva mezzo giardino. Era tre piante, per l'esattezza, un maschio e due femmine, perché il kiwi è una pianta che ha un sesso, e per fare i frutti sono necessari entrambi. Quando siamo arrivati abbiamo fatto fare una potatura radicale, e sono rimasti solo pochi sterpi, pochi stecchi maschili e femminili che sbucavano dal terreno. Così com'erano, li abbiamo buttati su un piccolo pergolato, ancorati alle assi di legno con dei cordini. Oggi, dopo un mese, quegli stecchi hanno buttato nuovi getti, nuovi rami - nuove liane, dato che il kiwi è una liana - che hanno raggiunto già un metro di lunghezza. Le foglie sono grandi come mani. E' tutto un rigoglio verso il cielo, un mare verde con le onde a forma di rami. Da un solo getto sono nati anche dei piccoli pallini, che cresceranno e diventeranno frutti. Prima della potatura abbiamo raccolto duecento kiwi; pensavamo che per qualche anno, dopo il taglio, non avremmo goduto dei suoi frutti; invece, se i merli li risparmieranno - e così i gatti della vicina - il prossimo inverno potremo raccogliere otto kiwi, che probabilmente Maia apprezzerà, come non ha potuto fare quest'anno. La notte è splendida, il silenzio, imperfetto e accogliente, invita a restare all'aperto, ad ascoltare, a fare niente, a fumare.
Marco Parente mi ha dato una grande gioia utilizzando un mio testo poetico per una sua canzone, "Amleto", nell'album-progetto con Umberto Fiori "BettiBarsantini". Marco Parente è il migliore cantautore-poeta in circolazione. Ma il punto non è che lui sia il miglior cantautore-poeta in circolazione: è piuttosto che le sue canzoni sono tra le più belle e poetiche che si possano ascoltare. Abbiamo passato un po' di tempo, stasera, a bere e chiacchierare in piazza Santo Spirito. Abbiamo convenuto che i tempi sono strani, non viene neanche più da arrabbiarsi, non si sa contro cosa si debba resistere. C'è una tenuità nella ossa, che non si sa da dove venga - dall'età personale, dai tempi - siamo tutti restii, noi che ci siamo sbilanciati e impegnati, a gettarci nella lotta come un tempo, come pochi anni fa. C'è un male, un'omologazione, che arriva molto in là, pericolosamente in là, e che lascia attoniti a domandare chi siamo, con chi siamo, contro cosa scagliarsi. "Ma non ho bisogno di prese di posizione, di dichiarazioni," ha detto Marco, "se ho fatto bene una cosa, se l'ho difesa fino in fondo, basta accostarla a un'altra cosa, per vedere che sono diverse, che in me c'è un obiezione, un dissenso che non ha neanche bisogno di essere esplicitato". La canzone dice "Amleto / facciamolo adesso l'errore più grande / facciamolo per una volta / con convinzione / per quel che ci riguarda andremo a rotoli / ma c'è caso che il mondo uscito fuori dai cardini / ricominci a girare". Qui finiva la poesia. E Marco ha aggiunto: "Imparare a sbagliare sbagliare davvero / Ecco, ora vedo il mare / Ecco, ora sento il mare / Ecco, ora siamo il mare".