Riporto alcuni brani da un'intervista a Piero Sestili, ordinario di Farmacoterapia all’Università di Urbino, autore, con altri scienziati, di una lettera indirizzata la Ministero della Salute il 24 aprile scorso sulla necessità di affrontare i casi di covid con una risposta terapeutica precoce e domiciliare; ideatore di un protocollo di cura simile a quello proposto da Giuseppe Remuzzi, luminare della farmacologia, e alle idee espresse da Giorgio Palù, già presidente della Società di Virologia Europea e da pochi mesi presidente dell’Aifa. L'intervista completa è qui.
“Abbiamo assistito a una gestione irrazionale della pandemia. La conoscenza medica è stata ignorata, quasi che i vari esperti non si siano preoccupati di rammentare i più elementari testi di farmacologia.”
“Nel marzo dello scorso anno gli ospedali di mezza Europa vennero presi d’assalto a causa della pandemia da coronavirus. Nel volgere di poco risultò evidente come il Covid fosse una malattia subdola e potenzialmente pericolosa, perché in grado di innescare un fortissimo processo infiammatorio a breve distanza dal contagio. La sensazione serpeggiante anche tra i miei colleghi era quella che ci si stesse affidando essenzialmente alle terapie intensive, piuttosto che ricorrere alle terapie domiciliari precoci. Mi era infatti sorto un dubbio: perché non trattare il Covid ai primi sintomi, attraverso un tempestivo approccio antiinfiammatorio?”
“l malato Covid che assume paracetamolo può solo aggravare il problema. Quando la malattia è più aggressiva, infatti, il soggetto ha la sensazione di migliorare, mentre in realtà la patologia progredisce. Va poi considerato un altro aspetto: il paracetamolo favorisce la diminuzione di glutatione, potente antiossidante endogeno, ed è noto che le sindromi respiratorie (concetto che si può estendere al Covid) peggiorano quando il livello di glutatione si abbassa. Inoltre un uso eccessivo e prolungato di paracetamolo può indurre danni epatici seri. In poche parole: si stava compiendo un autentico disastro sanitario.”
Il paracetamolo è tutt’ora alla base del protocollo ministeriale di “cura” del covid: ciò che i 40.000 medici di base italiani hanno saputo dal Ministero e dalla ASL è che devono prescrivere paracetamolo ai casi sospetti o conclamati di covid.
Alla luce di questo e di articoli interventi di Piero Sestili, delle recenti affermazioni di Giorgio Palù, di quanto letto sul Corriere della Sera a firma di Cristina Marrone (“il danno agli organi di chi si ammala gravemente di Covid-19 non è causato direttamente dal virus, ma dalla forte risposta immunitaria al virus”) penso una volta di più che il peccato originale di chi si è trovato a gestire questa pandemia in Italia (e ha in vario modo posto i paradigmi adottati per emulazione da molti altri stati) è stato questo: avendo a che fare con una straordinaria epidemia (eccezionale velocità di contagio, modalità di trasmissione poco chiare), ci si è dimenticati che il cuore del problema fosse una malattia.
In altre parole, la medicina è stata soppiantata dall’epidemiologia - a opera di consulenti del governo che erano medici, e non epidemiologi; mentre fior di epidemiologici, italiani e internazionali, si esprimevano in modo assai critico.
All’inizio di questa storia i racconti cinesi, la retorica ricattatoria del governo e il terrorismo mediatico (che come sappiamo era imbeccato dai pizzini degli “uffici comunicazione RC” di Palazzo Chigi), hanno decretato che covid era una malattia incurabile e il contagio andava fermato. Chi ne fosse stato toccato, sarebbe morto (salvo il 95% degli a-pauci-sintomatici).
La profezia si è autoavverata, perché è stata pronunciata.
Del resto sappiamo per certo che covid era in Italia e girava liberamente, in lungo e in largo, con la stessa velocità di contagio e incontrollabilità epidemiologica, almeno dal novembre 2019. E, prima di essere scoperta, non ha fatto stragi.
Dunque si ripropone la domanda: covid è stato scoperto in Italia perché ha iniziato ad ammazzare (e nel caso, perché ha iniziato ad ammazzare dopo 4 mesi che circolava liberamente?), oppure ha iniziato ad ammazzare perché è stato scoperto, ed è stato raccontato, codificato, mitizzato in un determinato modo, e a quel punto è stato decretato che si abbandonasse il paradigma clinico/terapeutico fino a quel momento vigente, a favore di quello epidemiologico/criminologico?
Di fatto, per molti mesi – fino a ora, possiamo dire – il covid è stato non una questione medica, ma un problema di criminologia applicata: di ordine pubblico, di caccia alle streghe, ai runner, ai sub, ai vecchietti in giro per asparagi, ai giovani della movida, ai bambini sulle altalene, agli studenti che si passano il temperino da un banco all'altro, ai bambini di scuola che parlano tra un boccone e l’altro in mensa senza alzarsi la mascherina.
CONCLUSIONE POLITICA: DISCONTINUITA'
Alla luce di tutto questo, confermare Speranza e il suo consigliere (già noto per avere smantellato il Centro Nazionale di Epidemiologia), il Cts e i vertici di Aifa (tolto Palù, entrato successivamente e artefice già di una rivoluzione in corso), sarebbe un oltraggio nei confronti di chi è morto e si sarebbe potuto salvare, un ennesimo insulto alla dignità di un intero Paese, al diritto dei cittadini di essere tutelati con efficacia, alla richiesta di verità.
Un attentato al diritto alla salute che da un anno, a parole - e per altri scopi -, viene santificato.
Spero che i registi del nuovo corso abbiano tutt’altri intenti.
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