blog di Carlo Cuppini

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martedì 24 agosto 2021

Senza soluzione di continuità

Dentro le soluzioni pragmatiche eccezionali si annidano a volte paradigmi culturali, politici e antropologici nuovi e sconosciuti, destinati a farsi strada inosservati, e a permanere; soprattutto se viene invocato e provocato un’immensa rimozione collettiva di questi fenomeni, una volontaria cecità in tempo reale, in nome del “primum vivere, deinde (ma in un tempo costantemente rimandato) philosophari”.

Nel lockdown si celavano paradigmi culturali.
Nella digitalizzazione dei rapporti sociali, affettivi, professionali, paideutici.
Nell’uso indiscriminato della mascherine.
Nell’Italia a colori.
Nel coprifuoco.
Nel green pass, forse più che in tutti i precedenti esempi.

Quindi?
Queste misure non andavano attuate? Non lo so, alcune forse sì, altre forse no, altre ancora sicuramente no (indipendentemente dalla loro eventuale efficacia). Ma non sto dicendo questo: sto dicendo che se andavano attuate, bisognava guardarci dentro, mentre si attuavano. Nonostante lo shock per quello che stava accadendo.

Quindi?
C’è una regia mondiale che sta costruendo il famoso Transumanesimo – di cui recentemente, prima del covid, si è ragionato anche tra le mura del Parlamento, per iniziativa di una determinata forza politica – sfruttando diabolicamente il provvidenziale avvento del covid?
Non è detta. Non credo. Magari il farsi strada di questi paradigmi è un fatto autonomo: la semplice risultante di forze che agiscono nella Storia, in gran parte legate a una dimensione economica. Stavano lì ad aspettare, e arrivato il treno del covid ci sono saltati dentro, come in un comodo cavallo di Troia. Destinazione: il cuore della civiltà della globalizzazione.

Come che sia, il punto è che siamo entrati nell’epoca della biopolitica: dove la percezione del rischio biologico è pervasiva e permanente, e persiste a prescindere dalla concreta e attuale esistenza di rischi ed emergenze; un'epoca dove costanti e sempre più approfondite misurazioni biometriche decideranno di volta in volta se esiste un livello di biosicurezza sufficiente ad autorizzare una determinata interazione sociale, affettiva, professionale; altrimenti queste situazioni saranno interdette, o limitate. La biosicurezza sarà il requisito per accedere a ogni genere di esperienza, opportunità e diritto. E' già così, da due settimane. Il paradigma culturale nascosto dentro questo scenario, è nascosto dietro una assai esile armatura scientifica, peraltro, che fa acqua da tutte le parti. Eppure, neanche così lo vediamo, tanto è stata interiorizzata la richiesta di “rimuovere” dalla percezione, dal pensiero, tutto ciò che sopravanzi la dimensione dell’immediato utilitarismo di una determinata misura.

"Basta che funziona". 
E se funziona, "non ci sono discussioni". 
"Comandano i dati".

È ormai una forma mentis consolidata, un filtro con cui si interpreta la realtà. Il recente articolo di Alessandro Zaccuri su l’Avvenire che vede una continuità tra le più autorevoli critiche al green pass e la galassia del complottismo della più bassa lega, lo mostra bene.

L’attuale riconquista della “vita normale” e della “libertà”, che molti stanno vivendo con sollievo ed entusiasmo grazie alla consegna, da parte dello Stato, del passaporto verde, è la conquista di questa vita normale, di questa libertà. Quelle rilasciate, quelle sorvegliate.

Va bene.
Noi facciamo giustamente le barricate, come se avessimo realmente una possibilità di contrastare questo inosservato scivolare della civiltà verso un altro stadio. Ma poi, a un certo punto, si tratterà di capire come, in che modo esattamente, si potrà continuare a vivere in un mondo che è radicalmente diverso da quello in cui siamo nati, senza rinunciare a quanto, di ciò che ci definisce, è irrinunciabile. 

Intanto, non drammatizziamo: non è la prima volta che a una generazione accade di vivere una crisi così profonda. Non sarà l’ultima, con ogni probabilità. Perdere il buonumore sarebbe imperdonabile. Teniamoci una risata e una pernacchia in canna, come ultima risposta da dare. Potrebbero essere sufficienti per finire la partita moralmente pari.

In tutto questo io mi chiedo se nell’epoca in cui ci stiamo precipitosamente addentrando l’essere umano continuerà ad avere sembianze riconducibili alle rappresentazioni che hanno percepito e fissato maestosamente gli artefici dell’Umanesimo; o se invece l’immagine dell’uomo sarà più simile a un’ombra proiettata sul suolo, sfocata, senza soluzione di continuità con il marciapiede.

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