blog di Carlo Cuppini

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giovedì 20 ottobre 2022

È colpa dei bambini! (Pensieri e storie dopo una mattinata nelle scuole)

Quando vado nelle scuole per parlare del mio libro “Il mistero delle meraviglie scomparse”, in un modo o nell’altro viene sempre fuori una certa questione: quando c’è un problema, gli adulti reagiscono in due modi - o si fanno la guerra tra di loro (anche di questo parla il libro) o danno la colpa ai bambini. O entrambe le cose. 

A questo punto di solito i giovani scolari alzano la mano e smaniano per raccontarmi di quando il gatto ha rovesciato il vaso e loro si sono beccati la sgridata e la punizione - il gatto le coccole. Io li ascolto tutti. La presentazione del libro può aspettare un quarto d’ora. 

Poi racconto loro una storiella che amo. È la storia della colonna di piazza Santa Trinita. Non è raccontata nel libro, ma ci ha a che fare in due modi: spiega che i fiumi - autostrade della biodiversità e dell’immaginazione - trasportano un sacco di storie; dimostra che i monumenti, anche quelli meno noti e fotografati, sono a loro volta casseforti pieni di racconti e di memorie (false e vere) - basta interrogarli perché questo tesoro si dispieghi sono i nostri occhi. E poi è una storia di granduchi, papi, pirati, inventori, artisti, gelatai, guardie, ladri e bambini. Irresistibile. E anche istruttiva. 

Ve la racconto così come la racconto nelle scuole. Con qualche… ehm… licenza, indubbiamente. 


Nel Cinquecento a Roma gli era presa di tirare fuori dal terreno i reperti romani. Quando si imbatterono in una colonna alta 11 metri il Papa pensò di regalarla a Cosimo I, granduca di Toscana, che voleva farsi amico. Gli scrisse una lettera: "Caro Cosimo, so che te piacciono l’anticaglie romane. Te vojo regala' un pezzo de valore, da collezione: 'na colonna alta 11 metri, pesante 50 tonnellate, fatta di un solo pezzo de pietra che non si può manco smontare. Guarda, è 'na cosa stupenda, ti farà fare un figurone. Però te la devi veni' a pija'. Saluta tu' moje. Firmato: Er Papa."

Cosimo fece una smorfia e pensò: "Ma guarda 'sto vecchio spilorcio... E va bene, andiamo a prendere 'sta 'olonna."

Chiamò i suoi consiglieri, gli ingegneri, gli inventori, e stabilirono di costruire una nave fatta apposta. L'imbarcazione partì, arrivò a Roma, i marinai caricarono la colonna sudando sette camicie, ripartirono per Firenze. Naturalmente vennero assaliti dai pirati: a quel tempo era il minimo che ti potesse capitare, se andavi per mare. Se tornavi a casa senza un'orecchia, potevi considerarti fortunato di avere ancora l'altra attaccata. Comunque i marinai di Cosimo riuscirono a respingere l'assalto, con tutte le orecchie ancora attaccate al loro posto. 

"Via, adesso l'è tutto in discesa", pensarono. "Un fulmine 'un cade mai du' volte sullo stesso albero, giusto?" disse uno. 

Be', sbagliava. Infatti vennero assaliti da un'altra nave pirata. "Riborda!" esclamò il mozzo. Respinsero anche quella. Quella volta qualche orecchia saltò, e pazienza per chi rimase solo con una. "Via di filato a Firenze, adesso... prima della storia d'i' ddue senza tre!"

Si sbrigarono a infilarsi nel letto delll'Arno e il tre non ci fu. Arrivati a Firenze i marinai scaricarono la colonna dove capitava e dissero: "Oh, da qui 'un si move, eh! Noi s'è bell'e dato, co' muscoli! E pure con l'orecchie! Fattela garbare qui 'ndo ll'è, Grandu'a."

E visto che quelli erano grossi, e arrabbiati, Cosimo se la fece garbare lì 'ndo ll'era: in piazza Santa Trinita. Però appariva un po' spoglia: a guardare una colonna enorme messa per ritto che non reggeva niente Cosimo si sentiva un po' bischero. Così disse a Bernardo Buonatalenti - un genio che inventò un monte di cose, tra cui il gelato: "Vedi un po' cosa si può fare per abbellirla un pochinino, via."

Buontalenti propose di issarci sopra un enorme cono con sei palline di gelato - tutto in bronzo, ovviamente - per celebrare la famiglia granducale (il cui simbolo sono appunto sei palle) e allo stesso tempo la sua golosa invenzione. Cosimo però non era tanto convinto; alla fine scelse un'opzione più tradizionale e gli chiese di fare una bella statua della dea della Giustizia, con la benda, la spada, la bilancia a due piatti e tutto l'armamentario: una cosa che un po' rassicurava il popolo e un po' gli metteva paura, insomma. E Bernardo la fece.

Sapete cosa successe qualche anno dopo? Successe che dai banchi degli orafi sul Ponte Vecchio iniziarono a sparire dei gioielli. Un bracciale un giorno, una collana il giorno dopo, un anello il giorno dopo ancora... E a chi diedero tutti la colpa? 

Qui i bambini che ascoltano la storia rispondono: "Al papa! a Buontalenti! a Cosimo! a Michelangelo! ai pirati! all'Arno!..."  

Sbagliato! Diedero la colpa... ai bambini e ai ragazzini. Al solito. Ai bambini e ai ragazzini venne vietato di avvicinarsi al ponte e dalle due parti misero due guardie a controllare. 

Ma i furti continuarono. 

"Oh!" si dissero "Questi bambini sono tremendi. Raddoppiamo il numero delle guardie!" 

Così fecero; ma i furti continuarono. 

"Diamine... Questi mocciosi sono diabolici! Ma come faranno? Passeranno dall'acqua, con la maschera e il boccaglio, saliranno sul ponte passando per le tubature...." 

Misero sul ponte cento guardie, al punto che non ci stava nessun altro, neanche quelli che volevano comprare i gioielli. "Oh! Ma tutti qui dovete stare?!" si lamentò un tizio che voleva regalare un braccialetto alla moglie. "Ragioni di sicurezza. Dobbiamo prevenire i furti di gioielli" rispose astutamente una guardia. "Sarà... a me mi pare che qui si esagera e 'un si risolve nulla" rispose il tizio.

Ma i furti continuarono. Passarono alcuni anni, e i bambini erano diventati giovani uomini e giovani donne senza essersi più potuti avvicinare a Ponte Vecchio. Vabbe', saranno andati a giocare da un'altra parte. Però bisognerebbe sapere se quella punizione era giusta o ingiusta, no?

Allora accadde che la statua della Giustizia si annerì per via delle piogge e del fumo. Costruirono un'impalcatura e gli operai andarono su con le spugne e con le spazzole. E lassù scoprirono due cose: in un piatto della bilancia trovarono un nido; nell'altro un bel cumulo di gioielli. A rubarli non erano stati i bambini, ma una gazza! Però a essere puniti furono i bambini. Alla faccia della Giustizia!


Fine della storiella. I bambini ridono e applaudono. Dicono: "La prossima volta che mia mamma mi sgrida ingiustamente gliela racconto!" Anche le maestre e i maestri sorridono sotto i baffi, immedesimandosi un po' nei bambini ingiustamente sgridati e un po' negli ingiusti sgridatori.

E quindi torniamo a raccontare e a leggere "Il mistero delle meraviglie scomparse", passando alla scena del pesce siluro che in genere fa drizzare i capelli ai piccoli ascoltatori (e anche a quelli grandi, visto che se sono in vena grido come un pazzo).

 

Amo la storiella della colonna - che non è contenuta nel libro ma ne è una ideale diramazione e ne esprime lo spirito - anche perché suggerisce un'idea che mi è molto cara: che tutte le storie sono collegate l'una all'altra. Intendo proprio tutte: quelle vere e quelle inventate, quelle del presente e quelle del passato, quelle immaginate e quelle ancora da immaginare, quelle noiose e quelle emozionanti, quelle raccontate bene e quelle raccontate male, quelle private di ciascuno di noi e quelle che riguardano il mondo intero. Questa grande, unica rete di storie è una specifica forma di conoscenza del mondo, dell'esperienza, ed è veritiera  suo modo - nel modo in cui i simboli e i valori immateriali sono qualcosa, e non niente - e dignitosa. Il metodo per accrescere questo tipo di conoscenza non sta scritto in nessun manuale e in nessun codice; e ciascuno di noi ne è co-autore, co-protagonista, co-responsabile, e allo stesso tempo beneficiario e fruitore. A partire da qualunque storia, ognuno può aggiungere le sue diramazioni, e collegare una storia a un'altra storia esistente lanciando un nuovo e sensato ponte tibetano. Oppure può creare un nuovo passaggio verso l'ignoto, allargando la rete in qualche interessante direzione. Questo i bambini - che alzano continuamente la mano per "dire la loro" riguardo a qualunque passaggio della storia che si va raccontando - lo sanno bene: sono essi stessi una fucina incessante di storie nuove e di nuovi significati. 

Ricordarlo è utile, oggi che ci siamo abituati a intendere noi stessi soltanto come passivi destinatari di quell'altra importantissima conoscenza - quella prodotta in esclusiva dai misuratori di molecole e di altre aggregazioni della materia. Importantissima, ma non unica forma di conoscenza delle cose che siamo e che ci riguardano.


Penso che poter raccontare storie e trovare qualcuno che le vuole ascoltare sia la più grande responsabilità e il più grande privilegio che mi siano stati concessi in questa vita.


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È sempre l’occasione giusta per ringraziare l’editore marcos y marcos, che ha dato forma, carta e ali al mio racconto; e la libreria LibLab di Sesto Fiorentino, che fa uno straordinario lavoro di promozione della lettura nelle scuole.