blog di Carlo Cuppini

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giovedì 24 ottobre 2024

Iperconnessione e intelligenza artificiale. Siamo pronti?

Solo uno sciocco potrebbe considerarla una notizia inattesa. Inoltre, non amo il giornalismo che cerca di fare della letteratura a partire da drammatiche notizie di cronaca. Tuttavia, la lettura di questo articolo mi ha dato i brividi. Perché è chiaro che il nostro futuro comune contiene anche questi scenari; e che i nostri figli dovranno essere attrezzati per salvarsi anche da queste trappole.

Siamo pronti, individualmente e collettivamente, a misurarci con questa sfida? E, se si tratta di una battaglia, chi sono gli avversari? Qual è il loro potere? Chi sono i loro finanziatori? Siamo minacciati dagli interessi degli uomini e dei gruppi più ricchi e potenti del pianeta? E chi sono i nostri alleati? Quali strumenti e armi abbiamo a disposizione? Siamo coscienti della posta in gioco?

L'Istituto Superiore di Sanità ha da poco calcolato che in Italia ci sono oltre 60.000 ragazze e ragazzi che non escono mai dalla propria camera e che vivono interamente in un mondo mentale e virtuale - i cosiddetti "hikikomori". 

Hikikomori è il titolo del bel libro di Ariela Rizzi e Fabrizio Silei che tratta, senza pedagogismi applicati e con profonda verità letteraria, l'argomento.
Nel mio Logout mi sono chiesto dove potesse portare il dominio dell'intelligenza artificiale; e Linda è un personaggio mostruoso, inquietante, tentacolare, inquisitorio, sì; ma anche eludibile, proprio per la sua fredda severità, e in fondo capace di un'evoluzione inattesa, sorprendentemente positiva.

Fuori dalla scuola media frequentata da mia figlia, prima dell'entrata e dopo l'uscita, vedo nutriti gruppi di ragazzini con gli occhi letteralmente incollati ai cellulari. Del resto, non servono esempi: conosciamo tutti per esperienza diretta l'entità del problema. Ma siamo del tutto coscienti delle sue implicazioni, delle sue possibili conseguenze? Proviamo a guardare dentro noi stessi, in modo onesto e impietoso, e chiediamoci come tutto questo stia modificando il nostro essere, il nostro pensare, il nostro sentire, le nostre relazioni: la nostra mente. Dopodiché proviamo a pensare a coloro che si trovano in mezzo all'età dello sviluppo, o ci saranno tra qualche anno, quando tutti i semi vengono piantati, quando le risorse per affrontare qualunque problema si presenterà nella vita vengono consolidate.

Dobbiamo urgentemente affrontare la questione dell'iperconnessione ubiqua, chiedendoci se per caso non sia una bomba atomica sganciata al centro della città degli esseri umani.
Non parlo di internet in se e per sé, che a mio avviso non può essere considerato altro che una meravigliosa, epocale e irrinunciabile rivoluzione. Ma di internet in tasca, e negli occhi, e nella testa, sempre e dovunque. Parlo di essere - o di avere la sensazione di poter essere - sempre sia qui che là che lì, contemporaneamente: alla fermata dell'autobus, in una chat, in una cascata di reel, in una ricerca su un browser, nell'app del meteo. Non essendo interamente né qui, né là, né lì, né da nessuna parte. 

Mi verrebbe da definire questa condizione - volontaria, per carità, come sono volontarie le scelte basate sulla gratuità, sulla lusinga, sulla comodità e sull'emulazione - una autodeportazione fuori dalla realtà, nel mondo dell'irreale. E mi viene da pensare a Simone Weil... Ma il discorso adesso sarebbe troppo lungo e ci porterebbe troppo lontano. 

Qualche mese fa Internazionale riportava per intero l'articolo dello psicologo sociale Jonathan Haidt, pubblicato su The Atlantic, sull'impatto dei dispositivi mobili connessi sullo sviluppo degli adolescenti. Il suo discorso è molto chiaro: la diffusione mondiale di internet alla fine degli anni Novanta non ha avuto alcuna conseguenza negativa misurabile sullo sviluppo cognitivo dei giovani; l'avvento degli smartphone e dei social un decennio dopo è stato devastante.

Ho l'impressione che le norme e le iniziative istituzionali saranno sempre indietro, e sempre non del tutto adeguate rispetto all'entità della sfida.
Se è così, dobbiamo assolutamente sviluppare una coscienza sociale, e delle strategie efficaci, per conto nostro. Noi società civile, noi persone.
https://www.repubblica.it/.../teenager_suicida_per.../...
https://www.repubblica.it/.../hikikomori_italia_cosa.../
https://www.theatlantic.com/.../teen-childhood.../677722/

martedì 22 ottobre 2024

Israeli Citizens For International Pressure

Penso che le cittadini e i cittadini israeliani che hanno dato vita a questa iniziativa abbiano bisogno di ricevere la massima visibilità e il massimo sostegno. 

"Noi, cittadine e cittadini israeliani residenti in Israele e all’estero, chiediamo alla comunità internazionale – alle Nazioni Unite e alle sue istituzioni, agli Stati Uniti, all’Unione Europea, alla Lega degli Stati Arabi e a tutti gli Stati del mondo – di intervenire immediatamente applicando nei confronti di Israele ogni possibile sanzione al fine di raggiungere un immediato cessate il fuoco tra Israele e i suoi vicini per garantire il futuro dei popoli che vivono in Israele/Palestina e nella regione e il loro diritto alla sicurezza e alla vita.

Molti di noi sono militanti che operano da tempo contro l’occupazione, per la pace e la comune esistenza su questa terra. Motivati dall’amore per il nostro paese e per i suoi abitanti, siamo oggi estremamente preoccupati per il futuro. Siamo rimasti inorriditi dai crimini di guerra commessi da Hamas e da altre organizzazioni il 7 ottobre, e siamo spaventati dagli innumerevoli crimini di guerra che Israele sta commettendo. Purtroppo, la maggioranza degli israeliani sostiene la continuazione della guerra, per cui un cambiamento dall’interno non sembra attualmente possibile. Lo Stato di Israele sta percorrendo una strada suicida e semina distruzione e devastazione che aumentano di giorno in giorno.

Il governo di Israele ha abbandonato i suoi cittadini tenuti in ostaggio (e ne ha uccisi alcuni); ha trascurato i residenti del sud e del nord di Israele e con le sue azioni sta sacrificando l’avvenire dei propri cittadini. I cittadini palestinesi di Israele sono perseguitati e messi a tacere dalle autorità statali e dall’opinione pubblica maggioritaria. La repressione, l’intimidazione e la persecuzione politica impediscano a molti cittadini che condividono le nostre idee di unirsi a questo appello.

Ogni giorno di guerra che passa allontana ulteriormente ogni possibile orizzonte per un accordo regionale di riconciliazione, per un futuro in cui gli ebrei israeliani possano vivere in sicurezza in questo luogo. Il raggiungimento di questi obiettivi richiederà lunghi processi, ma i continui massacri e le distruzioni devono essere fermati immediatamente!

La mancanza di un’effettiva pressione internazionale, la continuazione delle spedizioni di armi a Israele, il mantenimento dei partenariati economici e di sicurezza, delle collaborazioni scientifiche e culturali, portano la maggior parte degli israeliani a credere che le politiche del loro governo godano del sostegno internazionale. I leader di molti Paesi s’indignano e condannano Israele, ma queste condanne non sono supportate da azioni concrete. Siamo stufi di parole vuote e senza conseguenze.

Per il nostro futuro e per quello di tutti gli abitanti di Israele/Palestina e dei paesi della regione, vi imploriamo: salvateci da noi stessi! Esercitate una reale e forte pressione internazionale su Israele per un immediato e duraturo cessate il fuoco."


giovedì 17 ottobre 2024

"Xenia contro il tempo" di Lilith Moscon

Ho letto Xenia contro il tempo, il nuovo libro di Lilith Moscon uscito per Emons, illustrato da Francesco Chiacchio. E così, seguendo le orme della giovane protagonista, che insegue la sua gatta fuggiasca, mi sono trovato a fare una misteriosa, o per meglio dire misterica, passeggiata per Firenze.
Luoghi arcinoti come Piazza della Signoria e piazza Santissima Annunziata e vicoli e angoli segreti, dove ancora giocano i bambini e si vedono girare personaggi stravaganti di quartiere, si trasformano e fanno apparire in filigrana altri luoghi mitici o magici in virtù dei messaggi sottili che hanno da riferire a Xenia, riguardo alla sua ricerca. 
Le torri parlano, le pietre promettono, gli scarabei indicano, i serpenti si mordono la coda, i simboli si animano e si manifestano. Il passato diventa presente, i sepolcri forse si aprono, perché i morti forse sono anche loro vivi. Di certo c’è vita, e appetito, e festa, e rimescolio, e creature, all’interno del perimetro del Cimitero degli Inglesi, dove Xenia e l’amico Leone approdano dopo avere seguito le strane e scombinate indicazioni delle inattese guide che hanno incontrato.

In questo libro trovo unite la narrazione filosofeggiante che ha caratterizzato la trilogia su intriganti personaggi del passato (pubblicata da Telos) e, nei flashback, il piacere della memoria intima che vuole conquistare la carta e si espande su essa come acqua versata; un piacere che Lilith ci ha regalato massimamente con il suo Bestiario uscito per Topipittori (finalista al Premio Campiello Junior).

Una cosa che ammiro nella scrittura di Lilith, che mi affascina tanto più perché è lontana dal mio modo di scrivere, è il senso poetico e filosofico che - leggiadramente - intride la scrittura stessa, gonfia le parole e le frasi, portandola quasi a giustificarsi da sola, e rendendo così quasi irrilevante la coerenza o la completezza della narrazione che si cercherebbero in altri libri. Qui ci sono dei salti nella trama, che non sono salti nel vuoto, perché li si compie galleggiando sugli interrogativi che si dilatano sotto i nostri piedi, scivolando sulle metafore che ci trasportano altrove. 

Queste caratteristiche mi portano ad accostare questo piccolo e prezioso libro a quelli di un’altra autrice, Emanuela Nava, che, con la sua scrittura ci ha portato dentro tante avventure poetiche, intellettuali, filosofiche e talvolta, anche qui, misteriche (cito solo un titolo dalla sua vasta bibliografia: Io e Mercurio.)

Un'ultima nota: in alcuni punti del libro si trovano dei codici QR che permettono agilmente di ascoltare interessanti e gustose estensioni del libro, per conoscere meglio dal punto di vista storico e artistico i luoghi tratteggiati nel racconto.

Buona lettura e buoni misteri a chi lo vorrà leggere. Preparatevi ad andare contro il tempo...
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mercoledì 16 ottobre 2024

Persone-spazzatura

Ieri 16 migranti richiedenti asilo in Italia sono stati trasferiti in Albania via nave per essere chiusi in un "centro di accoglienza", in attesa che la loro richiesta venga esaminata. I "centri di accoglienza" albanesi per richiedenti asilo in Italia sono stati finanziati interamente dal governo italiano (65 milioni), e lo stesso varrà per i futuri costi di gestione (si stima 120 milioni all'anno).

Voglio dire che questa abominevole trovata, costosa e puramente pubblicitaria (16 migranti deportati in Albania - e altri analoghi successivi trasferimenti - dovrebbero aiutare a "disgorgare i centri di accoglienza italiani"...) mi fa vergognare di essere italiano.

A questa iniziativa mi viene da associare un'altra pratica, ugualmente sconcertante e oscena, ugualmente sintomatica di un mondo malato e impazzito: il commercio (al contrario) dei rifiuti, per cui una regione o un paese, incapace di un'adeguata gestione, acquista da un'omologa entità territoriale la possibilità di cedere una certa quantità di materiale.

PS: Specifico, a beneficio di chi è sempre pronto ad agitare una bandiera in difesa del proprio club, che questa non è una presa di posizione partitica; perché anche gli accordi di Minniti con i libici mi hanno fatto provare la stessa vergogna. E anche, andando a ritroso, l'istituzione dei CPI (e tutte le sigle con cui hanno periodicamente risciacquato il nome di questi luoghi di internamento e tortura) e la loro gestione sotto i vari governi di centrosinistra che si sono avvicendati dalla fine degli anni Novanta.

mercoledì 2 ottobre 2024

Pari opportunità

Finché ogni singolo essere umano, in ogni angolo del pianeta, non avrà le stesse opportunità di partenza di sopravvivere, di essere in salute, di istruirsi, di lavorare per sostenere se stesso e la propria famiglia, di proteggere, nutrire, curare, istruire i figli, di credere alle divinità che preferisce, o a nessuna divinità - finché non sarà tutto questo, le nazioni, le frontiere, gli eserciti e le polizie, i fondi monetari e i forum economici, le mistificazioni sulle identità nazionali, non saranno altro che la trascrizione e la ratifica di un immenso e intricato regime di criminale, criminogena e intollerabile ingiustizia. 

Da questa convinzione deriva quella che per me è l’unica, vera priorità della politica, essendo tutte le altre subordinate a questa. E altresì deriva da questo, per me, il mio essere di sinistra. Per quanto la sinistra italiana da vent’anni non osi pronunciare parole del genere, avendo scelto di svolgere il ruolo del bravo (magari) amministratore di condominio. Un condominio-nazione ubicato in un mondo-GothamCity. 

Se qualcuno pensa che l’utopia di un mondo basato sulla giustizia e su reali pari opportunità globali costerebbe troppo, in termini di rinuncia a privilegi storicamente acquisiti da qualcuno, forse non ha ancora chiaro quanto costerà, alla fine, a noi e ai nostri figli, la distopia in cui ci siamo acclimatati e in cui continuiamo a sprofondare.

giovedì 26 settembre 2024

I piccoli profughi che non accoglieremo nelle nostre scuole

Da due anni in tante classi italiane sono stati accolti bambini e bambine, e ragazzi, ucraini scappati dalla guerra. Chiunque abbia figli o conosca bambini che vanno a scuola ne ha avuto esperienza diretta. È stato ed è un doveroso gesto di civiltà e di umanità, che parla di un Paese che conosce il dovere della solidarietà internazionale e che crede nella possibilità concreta dell'integrazione. 
Penso anche che per i bambini e i ragazzi italiani questa sia un'occasione di apertura, di arricchimento e di conoscenza, come sempre è l'incontro, al netto delle difficoltà pratiche (la lingua, le differenze di abitudini, la necessità di mediatori e figure di sostegno...) che possono porsi inizialmente. Conoscenza della guerra, anche, della sua realtà, dei suoi effetti devastanti, del suo orrore.
Cercando un po' di dati, per comprendere il fenomeno al di là della mia personale percezione diretta, leggo che i minorenni, bambini e ragazzi, accolti in Italia come rifugiati a partire dall'aggressione russa del febbraio 2022 sono 38.000, di cui 27.000 sono iscritti nelle scuole.
Un altro dato che accosterei è quello, brutale, dei bambini e ragazzi uccisi nel corso della guerra: il bilancio dell'ONU dello scorso giugno parlava di 600 bambini uccisi e 1400 feriti, oltre ovviamente a "immensi danni fisici, psicologici ed emotivi".

A fronte di questo, è impossibile per me non pensare ai bambini e ai ragazzi di Gaza, e ora del Libano, che NON sono stati accolti in Italia come rifugiati, e non lo saranno, che NON sono entrati nelle classi delle scuole italiane, che i nostri figli NON avranno l'opportunità di conoscere, con i loro racconti, i loro traumi, le loro menomazioni, la loro bellezza e la loro ricchezza.
Sempre secondo l'ONU a Gaza sono stati uccisi dalle bombe israeliane almeno 16.000 tra bambini e ragazzi. 
Riporta ANSA:
"Un numero estremamente elevato di bambini a Gaza continua ad essere ucciso, mutilato, ferito, disperso, sfollato, orfano e vittima di fame, malnutrizione e malattie" è stato sottolineato.
Inoltre, il Comitato ha espresso grave preoccupazione "per l'impunità di cui godono le forze armate e di sicurezza responsabili della morte e del ferimento di minori e per la mancanza di informazioni sul numero di indagini, accuse e condanne relative a tali casi dal 7 ottobre 2023".
Il Comitato ha anche denunciato gli arresti arbitrari e la detenzione prolungata di un gran numero di bambini palestinesi da parte delle forze israeliane, il più delle volte senza accusa, processo, accesso a rappresentanza legale o contatti con i familiari". L'organizzazione esorta "a porre immediatamente fine alla detenzione arbitraria e amministrativa dei bambini, a rilasciare tutti i bambini palestinesi che sono stati detenuti arbitrariamente e ad abolire il sistema istituzionalizzato di detenzione e l'uso della tortura e dei maltrattamenti contro di loro in tutte le fasi del processo giudiziario"

Quanto al Libano, nel primo giorno di bombardamenti, lunedì scorso, sono stati uccisi 50 bambini, e continuano a morirne. 
Scrive Unicef:
"Innumerevoli altri bambini sono in pericolo, esposti ad attacchi, sfollati dalle loro case e senza poter usufruire al sistema sanitario sovraccarico e sotto organico. (...) Le scuole oggi sono state chiuse in tutto il paese, lasciando i bambini a casa impauriti. Coloro che si prendono cura dei bambini sono preoccupati per l’incertezza della situazione. Questa paura non può essere sottovalutata, poiché i bombardamenti e i raid aerei continuano e aumentano ogni giorno."

venerdì 6 settembre 2024

"Il figlio peggiore", di Peter D’Angelo e Fabio Valle

Come in un thriller convenzionale, arrivati al termine di Il figlio peggiore – il romanzo di Peter D’Angelo e Fabio Valle uscito per Fandango Libri – tutte le domande che la storia ha aperto trovano una risposta. In questo caso, però, sono le stesse risposte a far nascere un ulteriore e più grave interrogativo: dove finisce l’opera di fantasia e dove comincia la ricostruzione storica?

Entrambi gli autori sono giornalisti d’inchiesta. Di Valle, per mia ignoranza, non so dire niente di più. Di D’Angelo, avendo seguito il suo lavoro su "Il Fatto quotidiano” negli ultimi anni, posso dire che è un giornalista rigoroso, coraggioso e interessato alle verità, specie quelle non palesi. Questi dovrebbero essere attributi base del giornalista, requisiti minimi, per così dire, e pertanto non andrebbero neanche citati. Ma non è così in un Paese - l’Italia - che ristagna in una zona grigia della classifica sulla libertà di stampa, non solo a causa delle tendenze illiberali dei governi di destra e delle costanti intimidazioni malavitose, ma anche per via dell’autocensura che i giornalisti s’impongono per non scontentare il padrone, o per non mettersi contro il sentire comune (il quale, a sua volta, si determina compatto e intollerante quando c’è sostanziale unanimità sui media). Lavorando su temi sanitari negli anni della pandemia, Peter D’Angelo ha svolto un lavoro egregio, tenendosi alla larga tanto dalla retorica e dai tabù dell’area filogovernativa, quanto dalle parole d’ordine e dalla controretorica degli antigovernativi. In altre parole, ha fatto seriamente il lavoro di giornalista, non dimenticando che questo costituisce il quarto potere della democrazia.


Il figlio peggiore racconta le indagini del giornalista romano Carlo, personaggio di fantasia, sulla diffusione delle droghe in Italia. L’esito dell’inchiesta si può rivelare qui senza paura di rovinare la lettura, perché non è su questo che è costruita la tensione narrativa. Anzi, la risposta è scritta già nell’epigrafe: attraverso l’operazione Blue Moon, all’inizio degli anni Settanta, lo Stato Italiano ha avviato e gestito, inizialmente in modo pressoché monopolistico, la diffusione della morfina e dell’eroina nel territorio, immettendone quantità imponenti a prezzi stracciati, allo scopo di contaminare e portare all’autodistruzione le diverse anime della contestazione.


Dicendo “lo Stato Italiano”, secondo la ricostruzione fornita da questo romanzo che sappiamo essere basato sulla lettura di carte processuali, va inteso lo Stato nella sua forma più ufficiale – con riunioni svoltesi nelle sedi ministeriali, e non in oscuri scantinati, con il coinvolgimento di parlamentari, segretari di partito, generali, membri dell’intelligence USA, servizi segreti, manovalanza neofascista, caporedattori di testate nazionali – e non una serie di mele marce, i cosiddetti “pezzi dello Stato”, o i cosiddetti “servizi deviati”, parole magiche con cui solitamente si libera da ogni responsabilità lo Stato nel suo insieme, e ogni sua singola istituzione.

La trama del libro sarebbe coinvolgente anche se si trattasse solo di un romanzo di fantasia; ci si affezionerebbe ugualmente ai personaggi – si compatirebbe, in particolare, la parabola tragica del protagonista. Ma la portata cruciale delle verità storiche che vengono toccate spinge in secondo piano le riflessioni che si potrebbero fare sul piano puramente narrativo dell’opera.


In questo senso, la lettura lascia dietro di sé un’altra domanda, forse ancora più scomoda della precedente: i due autori ci stanno forse parlando anche di qualcos’altro? Ci sono argomenti che afferiscono alla storia italiana più recente che non possono essere trattati, se non parlando d’altro? Brecht, parlando di Galileo, ha parlato di molte altre cose, comprese quelle per lui più pressanti e attuali. E lo stesso vale per altre sue opere, e per opere di molti altri autori, che hanno avuto a che fare con regimi dittatoriali, o totalitari, o repressivi, o intolleranti, o illiberali.

Di certo ad alcuni lettori il libro ricorderà altri episodi che, analogamente all’operazione Blue Moon, hanno avuto il compito, o comunque l’effetto, di imprimere un netto cambio di direzione nella storia nazionale e non solo.


A me viene in mente il G8 di Genova del 2001, con l’oscuro ruolo dello Stato che solo in parte è stato acclarato dalle inchieste giudiziarie che hanno portato alla decapitazione dei vertici della polizia. Quell’inaudita, prolungata e pianificata carneficina – che i più sul momento, e per anni, hanno in qualche modo giustificato dando credito alla versione ufficiale dei manifestanti violenti – con il suo significato di tortura collettiva ha traumatizzato un’intera generazione e segnato l’inizio della fine dell’esperienza del Social Forum Mondiale, il più radicale, solido e creativo movimento di contestazione che avesse preso piede dalla fine degli anni Settanta. Come è possibile, viene da chiedersi, che tutti i governi che si sono succeduti dopo quell’evento esiziale – tutti, di qualsiasi colore – hanno ritenuto opportuno e appropriato promuovere l’allora Capo della Polizia Gianni De Gennaro, fino a farne il presidente di Finmeccanica / Leonardo?

E, ancora, mi vengono in mente gli anni della pandemia, dove ancora tutto è oscuro e molto è tabù. Ma quello che è incontrovertibile è che il rapporto tra le istituzioni dello Stato e i cittadini - in Italia e non solo – è stato irreversibilmente modificato: nel senso di una consegna di diritti e libertà fondamentali nelle disponibilità politiche del governo. Il cui volto e la cui retorica - indipendentemente dai colori politici della compagine del momento – hanno preso a ricordare quelli paternalistici e autoritari dello “Stato etico”.

giovedì 5 settembre 2024

Recensione di "Logout" su PULP Libri

"(...) Cuppini affronta molte tematiche differenti nel corso del romanzo, tutte interessanti e attuali. (...) Fino a dove possiamo spingerci pur di essere circondati dalla comodità? Altro tema è l’utilizzo dei social che anche in questo caso viene estremizzato: un mondo in cui gli influencer dettano legge a suon di like e video per ottenere un buon punteggio nella classifica generale della città, punteggio che determinerà il tuo ruolo nella società. Poi non possono mancare l’amicizia, valore fondamentale nei romanzi di formazione per ragazzi, e un moto di ribellione nei confronti di una stortura o di un’ingiustizia. Una storia per nulla banale e ben strutturata, con una giusta tensione narrativa e continui colpi di scena, che sottolinea cosa conti realmente nella vita, e che speriamo convinca i giovani – cittadini di domani – della propria importanza e del potenziale sito dentro ciascuno: qualunque cosa vogliano diventare saranno in grado di diventarlo, anche senza tecnologia ma coltivando sempre i rapporti umani."

Qui la recensione integrale:

Grazie a Valentina Marcoli per l'attenta lettura.

mercoledì 28 agosto 2024

"Logout" su Rai Cultura

"Anche noi come Luca viviamo in un mondo che promette e pretende di essere il migliore dei mondi possibili, e quindi non tollera più di tanto le critiche radicali."
...Che bello parlare di "Logout" sul portale di Rai Cultura!
Grazie a Federica Velonà per avermi invitato e all'ufficio stampa di Marcos y Marcos per il fantastico lavoro.
https://www.raicultura.it/letteratura/articoli/2024/08/Carlo-Cuppini-Logout-648e5c6b-3c28-42b4-80ac-7841e490835d.html 

lunedì 15 luglio 2024

Superlunaria, rivista immaginaria


Per quanto sia del tutto immaginaria, Superlunaria è una rivista cartacea. E per di più è un’opera magnifica, e monumentale.
E’ immaginaria perché tutto, di essa e in essa, è immaginato. Anche la realtà, laddove le parole la intersecano (e accade spesso, o forse sempre, anche se in modo camuffato). Tutto qui è letterario, è alta e rara letteratura. Pertanto, tutto è finto. Tuttavia niente è falso (almeno secondo le valutazioni del sottoscritto). Tutto è paradosso, rovesciamento, provocazione, specchio nello specchio. Superlunaria è un gioco iperletterario, coltissimo, erudito, eremitico ed ermetico. Totalmente autoreferenziale: i redattori – ammesso che non siano essi stessi soltanto immaginari - hanno fatto tutto, anche le lettere alla redazione, le critiche, gli insulti, i rimandi da un pezzo a un altro. Ma - magia dello specchio nello specchio! - questa autoriale e divertita autoreferenzialità diventa lucida e chirurgica analisi del mondo esterno - quello reale, brutale, che neanche è degno di essere immaginato. Quello che ci schiaccia sempre sotto il tacco dello stivale - il Presente, la Storia. Superlunaria è dadaismo (perché se ciò che ha un senso produce ciò che produce, allora che nulla abbia un senso!), è situazionismo (perché dal non senso nasca un nuovo, instabile senso), è surrealismo (perché ciò che sgorga dalla fonte dell’irreale non smetterà mai di sopravanzare il reale), è tranello col cuore in mano, è inganno rivelatore, è disfatta edificante, è travestimento denudante, è una rosa è una rosa è una rosa è uno schiaffo, è un colpo di tosse è il seme che va di traverso è la luna.
Gli autori di Superlunaria sono in realtà persone in carne e ossa, e sono portatrici di acute, caustiche, metamorfiche e meravigliose intelligenze. Intelligenze che hanno attraversato la vasta terra della critica pandemica uscendone rinvigorite.
Fabrizio Masucci, in primis, lunatico direttore-demiurgo nonché editore, spettro che si aggira con partenopea e sbeffeggiante eleganza tra i caratteri mobili che hanno impresso le pagine. E caro amico. E poi, in ordine alfabetico, Gabriele Busti, Tommaso Moscardini, Francesco Scardone, Alex Tattoli, Vanni Trentalance. Questi nomi diranno qualcosa ad alcuni di voi. Non si possono non citare inoltre il sopraffino lavoro grafico di Giovanna Grausco e le preziose illustrazioni di Mariagrazia Catenacci.
Ogni pagina è una sorpresa e un bosco di riferimenti che ogni bibliofilo godrà a scovare, mentre il suo cervello macina a duecento all’ora le fulminanti provocazioni camuffate da oziose, talora barocche discettazioni. E io non posso chiudere questa recensione senza rivelare qual è la pagina che più mi ha divertito, e, per genialità, costretto a levarmi il cappello. La pagina con l’accidentale interpolazione (con tanto di adesivo con cui la redazione si scusa per l’increscioso inconveniente) di un foglio di un’altra rivista, il Licantropo. Il Licantropo è il rozzo, irresistibile e irrinunciabile alter ego della raffinatissima Lunaria, un vero Mister Hyde che rivela in forma schietta, brutale (con tanto di refusi in vista e grafica underground) pensieri che, nel resto della rivista, si librano tra le alte sfere travestiti da armoniosi corpi celesti. Ed è lì, dove si inciampa nel piede del Licantropo, che una risata da osteria compie la messa a terra liberatoria. E, girando pagina, torniamo a librarci nell’etere leggeri e sorridenti come un astronauta. Incazzato, per il tutto che ci hanno levato.
Superlunaria esce a cadenza bimestrale. Si può acquistare. Ci si può anche abbonare. Io non avrei esitazioni. Tutto sul sito https://superlunaria.it.

giovedì 11 luglio 2024

"Hotel Madridda" di Grazia Verasani

"Hotel Madridda" (Marsilio Editori) è un racconto lungo di Grazia Verasani, rarefatto nell’ambientazione e nella trama, quanto denso nelle emozioni che smuove e nelle riflessioni che suscita. Le coordinate sono vaghe: c’è stata una guerra, qualcuno ha preso il potere, gli avversari sono stati sbaragliati, il dissenso è stato cancellato e i suoi tentativi di rinascere vengono eliminati sul nascere. Il totalitarismo che impera naturalmente è per il bene dei cittadini, per la loro sicurezza: come sempre il totalitarismo è stato giustificato - e recepito dagli interessati - nel corso della Storia.

A fare le spese di questo assetto politico e sociale evidentemente è la libertà di opinione e di parola - e la comunità che ruota intorno alla protagonista del libro riunisce proprio anziani intellettuali e artisti che hanno avuto qualche alzata di testa, anche modesta magari, e quindi sono stati segregati in un luogo dove non possono nuocere. Ma la vera vittima è la voglia di vivere. Se, in assenza di qualunque speranza, i vecchi stanno attaccati alla vita e ai propri ricordi a oltranza, induriti e incattiviti, rivivendo continuamente una versione egoista e inacidita delle ideologie e dei valori che hanno animato le loro battaglie, i giovani si gettano nel vuoto per schiantarsi al suolo. Ultima e unica forma di libertà? Puro nichilismo, e quindi vittoria del sistema? Libertà o annullamento che sia, si tratta di una conquistata clandestina, e difficile: anche uccidersi è vietato, e il luogo prescelto dagli aspiranti suicidi è presidiato militarmente. Tuttavia ogni tanto qualche ragazzo o ragazza riesce a salire in cima all’Hotel Madridda - il cui incombente profilo Selma vede dalla sua finestra - e a lanciarsi di sotto.

La trama è minima, ma non è esile; accadono poche cose, e tuttavia il libro chiede di essere letto tutto d’un fiato. Vogliamo sapere urgentemente come va a finire quel nocciolo narrativo che è stato messo in moto. O come non va a finire. Vogliamo sapere se e in che modo il cupo espressionismo apocalittico che si dipana paragrafo dopo paragrafo ha a che fare con la nostra vita, con il nostro tempo, con il nostro futuro. Vogliamo capire se si tratta di una visione esistenzialista, o metafisica (kafkiana o buzzatiana o beckettiana, con un po’ del Pasolini di Teorema…), o se quel pungolo che sentiamo accanto al cuore è incuneato anche nella Storia, nella nostra storia recente, perfino.

Probabilmente ogni lettore troverà le sue risposte, e alcune domande resteranno aperte, con il loro carico di inquietudini. Ma qualche indizio ce lo dà l’autrice, fuori dal romanzo, nelle interviste. Quando dice, per esempio che: “L’idea di raccontare le derive psicologiche dovute a una repressione e a un sistema manicheo dove non ci sono più sfumature, fa parte della mia visione del mondo. Ma questo libro è nato di getto, in pochi mesi, anche se l’avevo covato e immaginato soprattutto nell’ultimo periodo della pandemia, quando eravamo in clausura. Forse si sente questa asfissia, questa libertà che manca, il respiro corto. E poi mi aveva molto colpito leggere dell’aumento dei suicidi tra gli adolescenti.”

Qui si potrebbe aprire una discussione su come e su quanto i bambini e gli adolescenti siano stati abbandonati durante la pandemia (e anche biasimati, colpevolizzati e perseguitati, quando sospettati di non recepire con sufficienti sollecitudine ed entusiasmo le raccomandazioni, dall’isolamento, alla mascherina alla vaccinazione); discussione che potrebbe continuare con una valutazione di quanto sia stato tolto loro in quella circostanza prolungata, e di come successivamente sia stato omesso qualsiasi ragionamento su possibili compensazioni, risarcimenti, riparazioni.

Invece è meglio lasciare che questa storia così potente si agiti e colpisca e risuoni dove le pare, dove incontri il giusto rapporto tra il duro e il morbido nell’animo di ogni lettore e lettrice. Anche perché, appunto, molti di noi hanno avuto la sensazione di essere stati toccati e scottati da quel “sistema manicheo dove non ci sono più sfumature”, in cui non si può più parlare. E poi, indulgere su queste specifiche vicende significherebbe rimpicciolire la portata dell’opera, che è ampia e lambisce lati oscuri dell’essere umano che sono capaci di manifestarsi nell’interazione con le più diverse sollecitazioni storiche, con le più svariate giustificazioni razionali.

Penso che le storie come questa – i sogni, gli incubi, le visioni scatenate con onestà e con altrettanta onestà consegnate alla loro libertà nel mondo, senza costringerle verso una o un’altra direzione - abbiano oggi il potere di portarci oltre la detonazione che indubbiamente c’è stata, e dalla quale forse non ci siamo ancora ripresi.

giovedì 20 giugno 2024

L'Anima forse, di Carla Cuppini

Sono felice che Carla Cuppini, sorella di mio padre, abbia concluso un lungo percorso personale dentro la poesia con un lavoro di grande sintesi che ha infine assunto la forma di una piccola, curata pubblicazione con Ladolfi Editore. E sono felice che abbia chiesto a me, in virtù degli intensi scambi che abbiamo avuto in questi anni, di scrivere un contributo che aggiunga qualche impressione esterna ma sintonica.
Riporto di seguito una parte della mia postfazione, e auguro al poemetto "L’Anima forse” di essere aperto e chiuso da tante mani, in modo che battendo le pagine possa fare il suo volo.




Il disegno in copertina è un ritratto dell'autrice a trent'anni realizzato dal padre Renato Cuppini, medico e artista.

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Ciò che mi unisce all’autrice di questo poemetto non è soltanto l’omonimia, che lega entrambi a Carlo Cuppini pittore – fratello del padre per lei, fratello del nonno paterno per me – scomparso nel 1939. A unirci soprattutto è un comune sentire rivolto alle cose immateriali, nella misura in cui si dà la possibilità di costeggiare i lidi che le custodiscono attraverso la pratica della parola. Discorsi sulla poesia, sulla filosofia, sulla religione, sull’etica, sulle visioni interiori, sul sentimento e sulla scrittura: di queste cose si è riempito negli anni lo spazio della nostra relazione, pure fatta di rare occasioni d’incontro, a causa delle distanze fisiche.
Parola poetica: parola cioè che non si limita a replicare e a veicolare significati da persona a persona e da generazione a generazione; ma che li crea, dando origine a connessioni inaudite tra le cose. In questo senso non sarebbe errato dire che ogni parola, anche involontariamente, è poetica; il discrimine sta nell’intenzione e nella consapevolezza – e nondimeno nel rischio – di spingersi oltre la vasta e soddisfacente gamma delle associazioni preconfigurate, forzando la mente e lo spirito a operare affatto diversamente da una tastiera predittiva; e questo per richiamo insopprimibile verso una soddisfazione più piena, della cui possibilità – evidentemente e pur senza averne alcuna prova – non si dubita.
Una poesia non è, in primis, un discorso – neanche un discorso poetico: è una creazione fatta con le parole, come potrebbe essere fatta con l’argilla, o con i pigmenti, o con forme solide distribuite nello spazio, o con una sequenza di movimenti del corpo, o con immagini e suoni distribuiti nel tempo.
La parola capace di creare – e salvare – gli elementi e i frammenti che compongono il mondo immateriale che ci appartiene, a cui apparteniamo, è un mistero non minore di quello costituito dal neurone che cablandosi con cellule sue consimili provoca le attività mentali e le funzioni cognitive della persona.
Carla Cuppini è poetessa (la sua raccolta Per frammenti usciva esattamente trent’anni fa, nel 1994), è donna di studio e di scienza (è stata ricercatrice presso l'Istituto di Fisiologia generale dell’Università di Urbino e insegnante del corso di Neurobiologia), è persona di fede. Tre ambiti che per Carla sono accomunati dal senso del ricercare. Apertura, esplorazione e trasformazione, quindi. Interlocuzione, speranza e attesa. Scommessa, anelito e invocazione. E soltanto dopo, in subordine e con valore temporaneo, affermazione, definizione e catalogazione. In questo senso è un viatico leggiadro e insieme impegnativo – capace di scuotere perché apre – il “forse” messo nel titolo accanto ad “Anima”, quasi sostituisse un verbo impronunciabile, o un aggettivo segreto.
In questo poemetto la Scienza avvicina l’immateriale (l’Anima) per tentare di spiegarlo; ma al contempo l’immateriale (la Poesia) si accosta alla Scienza per cercare di spiegarla, fisicamente: perché non resti ripiegata su se stessa e venga illuminata in ogni sua parte da una luce che restituisce soggettività e vita ai suoi oggetti, e ai suoi artefici. S’intravede in filigrana un lascito lucreziano, nell’uso delle metafore che vengono in soccorso quando il ragionamento non può procedere, o dove s’intuisce la necessità d’un cambio repentino di piano.
Quale conoscenza in fondo non ha natura metaforica?
Si può forse dire che quella scientifica faccia eccezione?
La sua capacità di ricadere nella tecnica, fondandone i principi e assicurandone il funzionamento, rende forse le sue parole identiche alle cose, o aderenti a esse?

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