Parliamo, scriviamo, utilizziamo il linguaggio (e quindi, stando a Lacan, ci rapportiamo con l'inconscio e con la realtà) come se non dovessimo morire. Il linguaggio che riceviamo è il linguaggio dell'immortalità. La morte è contemplata solo come eventualità remota, da considerare ottimisticamente come qualcosa che, con la giusta cautela e una dose di fortuna, non ci riguarderà. Questa è l'ideologia che plasma, innanzitutto, il linguaggio che ci è dato, e di conseguenza l'antropologia che ci supporta e ci rende comunità e mondo. Questa è l'origine di ogni mistificazione e di ogni violenza a cui siamo sottoposti. Ed è paradigma dell'asservimento, filosofico prima ancora che fattuale, in cui siamo mantenuti: dove ci pare di poter godere di ogni libertà, mentre ogni libertà ci è negata. Se così non fosse, se il nostro linguaggio avesse notizia del destino di morte, il sistema capitalistico/consumistico perderebbe istantaneamente ogni fondamento e ogni possibilità di perdurare e di consolidarsi e perpetuarsi attraverso i nostri gesti.
Rimettere in questione la nostra volontà di verità; restituire al discorso il suo carattere di evento; togliere infine la sovranità del significante.
Nonostante che le avanguardie storiche siano nate (in Italia con il Futurismo) circa cent'anni fa e che mezzo secolo dopo la Neoavanguardia e altri fenomeni affini abbiano incendiato il linguaggio, riaffermandolo come evento e potenza e liberandolo dall'ambito della proiezione e della rappresentazione dove era relegato, nonostante questo oggi siamo sempre lì: poesia in Italia è ancora sinonimo di "espressione sentimentale". Nel senso comune certamente; ma in larghissima scala anche nell'editoria, nei circuiti librari e perfino nella critica e nel mondo accademico. L'aggettivo "poetico" è usato con le accezioni di "sentimentale, vago, sognante, romantico, delicato, ingenuo, femmineo, nostalgico, spirituale, ispirato". Questi aggettivi sono stati pertinenti alla poesia italiana in una sua fase; la quale, pur essendo stata più breve di quelle che l'hanno preceduta, e più breve anche di quella che la separa dal presente, sembra essersi congelata per riproporsi in eterno come unica possibilità, come fantasma e condanna. Ma dire "poetico" per significare "sognante" equivale a impiegare "pittorico" per intendere "figurativo": si tratta di un'insopportabile leggerezza distruttrice di senso.
Occorre concepire il discorso come una violenza che noi facciamo alle cose; in ogni caso come una pratica che noi imponiamo loro; e proprio in questa pratica gli eventi del discorso trovano il principio della loro regolarità.
la scimmia si masturba forsennatamente sono un monaco
un piede dentro lo specchio la faccia dormo sotto il selciato
sfigurata dal recente passato umano quando sfilano gli elefanti in parata
e dalla conservazione degli scontrini ricordo l'impronta del destino
sotto la lingua dei bombardamenti sulle case
E l'istituzione risponde: "Non devi avere timore di cominciare; siamo tutti qui per mostrarti che il discorso è nell'ordine delle leggi; che da tempo si vigila sulla sua apparizione; che un posto gli è stato fatto, che lo onora ma lo disarma; e che, se gli capita di avere un qualche potere, lo detiene in grazia nostra, e nostra soltanto."
E' bene che si sappia che la poesia italiana, in realtà, si è svincolata da tempo dall'idealismo di Croce e Gentile. E se sopravvivono ancora ingiustificate forme di lirismo espressionistico o di crepuscolarismo – se queste accezioni della poesia sono anzi le dominanti oggi in Italia, per i "non addetti ai lavori", se non addirittura le uniche contemplate – questo dipende dal fatto che gli operatori della cultura continuano a propugnare colpevolmente (per plateale ignoranza o interessata malafede) tale visione distorta e anacronistica: e gli scaffali delle librerie pullulano di cose indubitabilmente morte, prive di qualsivoglia collegamento con il tempo presente, per lo più senza alcun valore nemmeno a livello decorativo o di intrattenimento, che saranno spazzate via dalla storia della cultura in un batter d'occhio (dopo avere svolto il loro ruolo nella catena del "consumo culturale").
La produzione del discorso è insieme controllata, selezionata, organizzata e distribuita tramite un certo numero di procedure che hanno la funzione di scongiurarne i poteri e i pericoli, di padroneggiare l'evento aleatorio, di schivarne la pesante, terribile, materialità.
Si potrebbe parlare all'infinito della poesia contemporanea, cos'è e cosa non è, e sarebbe opportuno farlo, più di quanto oggi non avvenga nelle "nicchie" di riferimento: ma alcuni punti fermi vanno posti senza indugio. La poesia, non è racconto, né descrizione, né denuncia, né, in generale, discorso. La sua differenza dalla prosa, dal discorso colloquiale e dalle dissertazioni specialistiche, non sta nelle particolari proprietà grafiche e musicali del testo, né nell'intenzione di esprimere la soggettività dell'autore in forme inventive.
La verità si è spostata dall'atto ritualizzato, efficace e giusto, d'enunciazione, verso l'enunciato stesso: verso il suo senso, la sua forma, il suo oggetto, il rapporto con la sua referenza.
La poesia è principalmente evento del linguaggio nello spazio della pagina (quando non sia un fatto puramente vocale). La poesia, come scrittura, però esiste e persiste nel tempo, ed è pertanto refrattaria a essere assimilata alla categoria dell'evento impermanente: si potrebbe quindi dire che la poesia è il segno di un evento del linguaggio sulla pagina: testimonianza di un accadimento che ha lasciato sulla pagina tracce visibili, il quale altro non è se non il processo di creazione intercorso; non intendendo con questa espressione la reale modalità di creazione del testo (nella sua verità storica, psicologica e filologica), ma ciò che di immateriale, invisibile e inconservato rimane sospeso sul testo, fondandolo, richiamato continuamente da esso come parte non disponibile ma ugualmente integrante, qualificante e imprescindibile. In questo scambio o negoziato tra ciò che è dato e ciò che non è dato nell'evidenza del testo (scambio che sia attua per tramite del lettore/partecipante all'evento) continua a compiersi e a trovare immanenza il processo grazie al quale il linguaggio si è potuto limitare, ostruire, circoscrivere, selezionare, fino a farsi quella poesia (e la sua sponda non pervenuta ma ugualmente attiva), avendo dato luogo a se stesso come evento.
Ignoriamo in compenso la volontà di verità come prodigioso macchinario destinato a escludere.
Se la poesia è evento reale, l'unico realismo che può contemplare è quello che vede il linguaggio farsi oggetto, ponendosi quindi in continuità assoluta con il reale e rifiutando l'investitura di uno statuto differente; oggetto utile ad iniziarsi alla realtà. Creazione, iniziazione - contro mediazione e rappresentazione. In questo senso, la poesia è il cavallo di troia per accedere alla realtà, e da lì prodursi in una riappropriazione soggettiva dell'estetica: cioè della facoltà di creare e modificare la percezione e la rappresentazione della realtà, secondo criteri e obiettivi individuali, attivi e creativi, non preordinati da strutture di potere e da fattori di manipolazione.
... Procedure interne, perché sono i discorsi stessi che esercitano il loro proprio controllo.
Il fatto che nelle nostre società non siano più rintracciabili forme palesi di censura va inteso come una conquista della libertà e della democrazia o come la vittoria finale della censura? E se la censura operasse oggi dentro il linguaggio (della mente), dentro la possibilità stessa di rappresentazione della realtà, negando la libertà estetica tout court, cancellando cioè la possibilità di una produzione di senso eternamente (e individualmente) rinnovata? Se il passaggio storico dalla censura all'autocensura fosse terminato con l'approdo a un'ulteriore forma di autocensura, interna al linguaggio stesso e non più focalizzata sui contenuti delle singole proposizioni ma sul rapporto tra il linguaggio e i significati? E se così fosse, in che modo andrebbe condotta oggi la battaglia per il progresso della civiltà e per la libertà?
E' come se degli interdetti, degli sbarramenti, delle soglie, dei limiti, fossero stati disposti in modo da padroneggiare, almeno in parte, la grande proliferazione del discorso, in modo da alleggerire la sua ricchezza della parte più dannosa e da organizzare il suo disordine secondo figure che evitano quel che vi è di più incontrollabile.
non ora non qui un po' più in là al risveglio il letto è scomparso
che premono forte sui confini sulle pareti è cresciuta una carne
ci estraggono gli organi rivolta all'interno rosa pulsante
ai maschi alle femmine tagliano il pene coperta di mucosa irrorata
mi porto il rumore di fondo dell'universo nell'ipod
suono fossile conchiglia spirale mi getto sui bordi col cranio
uomo fossile e giaguari ovunque lecco gli spigoli forsennatamente
con numerosi canini resistenti all'acqua e alla carie non posso udire il grido dell'uomo uccello
sopra il soffitto il mare sono solo nella stanza
la conchiglia è l'orecchio tutto è bianco e ovattato
[In grassetto citazioni da M. Foucault, L'ordine del discorso]