Nel corso del 2023 la casa editrice Marcos y Marcos ha dato casa (e carta), tra le altre cose, a due case molto strane, accogliendo nella serie principale il romanzo "Poco mossi gli altri mari” di Alessandro Della Santunione e nella collana Gli Scarabocchi (quattordicesima uscita) il racconto per ragazzi “Le mucche di Chernobyl” di Fulvio Ervas.
La casa al centro del romanzo “Poco mossi” è un grande appartamento nei pressi di Campogalliano, Modena, dove un’intera famiglia, con tutte le sua estensioni e propaggini, si è riunita per volontà di uno dei membri, il padre del protagonista, in una riproposizione della famiglia allargata tipica delle case di campagna di un paio di epoche fa. La conseguenza di questa scelta di vita in comune – tutti assiepati a costo di ricavare nicchie e giacigli negli anfratti più improbabili – è che nessuno più smette di vivere. Non è chiaro, per la verità, se ci sia un nesso causale tra i due fatti. Il risultato comunque è che nessuno muore più, e pertanto si accumulano parenti, generazioni, e anche idiomi, immaginari, mondi simbolici, rispecchiamenti. In questa proliferazione senza fine il tempo risulta gravemente manomesso rispetto alla credenza che lo vede procedere in modo lineare, irreversibile e uguale per tutti: rivelando strani andirivieni e inattese sacche di decompressione, accessibili a qualcuno e non ad altri, e viceversa. Accade anche che qualcuno invece muoia: non qualcuno della famiglia, in effetti, ma Dio. Succede così, da un giorno all’altro. In qualche modo tutti ne ne hanno cognizione, come di un dato di fatto.
Il romanzo, vincitore del premio Berto, ha una grazia sopraffina, e tiene insieme l’umorismo stralunato tipico di certa narrativa emiliana e la durezza della scrittura che decide di prendere di petto le questioni cruciali e crudeli dell’esistenza: il tempo, la verità, il dolore, la morte, l’oblio, l’amore, i fallimenti, Dio.
A volte – spesso – nella stessa frase si passa più volte da un registro all’altro, e le giravolte del narratore tra il ruolo del filosofo e quello dell’“idiota” (dostoevskiano) sono irresistibili:
“In questo meccanismo perfetto e necessario un Dio uomo è la vera bestemmia: una scheggia impazzita. Salta tutto, perché l’uomo diventa un enorme volano che accresce la misura del dolore di Dio, la sua violenza, creando inutili sofferenze: come i cani randagi, le villette a schiera, gli allevamenti intensivi, i centri commerciali, Hiroshima, il neoliberismo o le pantere nei circhi.”
In fondo Poco mossi gli altri mari è un romanzo sulla fine dell’innocenza, una riflessione sul “prima" che a un certo punto scompare, un tentativo di rimettere insieme le tracce che l’origine di tutto e di ciascuno deve pur lasciare da qualche parte. (Forse tutta la letteratura moderna, in fondo, non è altro che questo. Non lo so.)
Ma la morte di Dio – “un tipo strano” – è in realtà una sparizione, perché non è possibile rintracciare la salma, una morte decretata per prassi burocratica, quindi, e forse indica più che altro una sua diluizione in tutte le cose. E analogamente l’innocenza non è finita, e non è soltanto oggetto di nostalgia e di memoria: a ben guardare l’innocenza è esplosa, e come una radiazione ha modificato alcuni particolari: quelli di una scrittura che conserva a livello stilistico, sillabico, di tono della voce rappresentato, il rumore di fondo del primo incanto. Dove alle griglie interpretative non è ancora concesso il potere di escludere dall’esistenza e perfino dalla percezione tutto ciò che è destinato a restare senza nome e senza spiegazione.
A proposito di esplosioni e di radiazioni. La seconda casa, quella in cui è ambientato il racconto di Ervas, si trova all’interno della zona contaminata di Chernobyl ed è popolata da un’accolita di animali sopravvissuti al disastro, ma usciti da esso un po’ mutati.
Ma di questo libro parlerò in un altro post…