blog di Carlo Cuppini

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domenica 9 gennaio 2022

Senza Vitaliano Trevisan

Il suicidio di Vitaliano Trevisan mi ha turbato profondamente.

Sento forte la sua assenza. Cerco di capire il motivo. 

Non l’ho mai incontrato. Ci siamo sfiorati ripetutamente in alcune recenti occasioni. Nel 2020 Ramona avrebbe dovuto collaborare con lui per un suo lavoro teatrale su Dante. Poi la cosa è saltata causa covid. In seguito ho scoperto le sue posizioni critiche contro la gestione del covid, il suo rigetto assoluto del lasciapassare, e ogni tanto occhieggiavo nella sua bacheca fb per rinfrancarmi con le sue caustiche asserzioni. 

In agosto gli scrissi una email per proporgli di apparire tra i primi firmatari della petizione contro il green pass promosso da Olga Milanese e dal sottoscritto. Mi rispose di aggiungere senz’altro il suo nome, e così è stato fatto; e di tenerlo informato su ulteriori iniziative, come l’idea di convegno / costituente del dissenso che all’epoca, insieme ad altri, vagheggiavo: avrebbe partecipato. 

L’ho risentito vicino scoprendolo come me coautore del libro “Noi siamo l’opposizione che non si sente” a cura di Giulio Milani, il volume che per primo ha raccolto i contributi di scrittori e poeti contrari alla gestione della pandemia. Tra Ginevra Bompiani, Lello Voce, Franco Berardi Bifo, Emanuela Nava, Gabriele Frasca, Marco Guzzi, Aldo Nove, Antonio Rezza, Flavia Mastrella, Enrico Macioci, Giovanni Agnoloni e altri importanti protagonisti della cultura italiana, spiccava anche il suo nome. Avevo aspettative, in larga parte fondate, sul volume in generale; e fremevo dalla curiosità di leggere il contributo di quello che forse è - era - il meno addomesticato scrittore italiano. È stato impossibile: a ridosso della pubblicazione, con una telefonata al curatore/editore Giulio Milani, Trevisan ha ritirato il suo contributo. “Per non nuocervi e per non nuocermi”. 

Di lì a poco c’è stato il famoso episodio del suo internamento in psichiatria, per un prolungato Accertamento Sanitario Obbligatorio, che Trevisan ha raccontato su Repubblica come un’esperienza devastante. 

Non è più tornato nei miei pensieri fino a ieri. Adesso li occupa ininterrottamente con prepotente assenza. 

Questa mattina prima di andare al lavoro ho fatto il giro delle librerie per prendere tutti i suoi libri. Non ne ho trovato nemmeno uno. Alla fine, da Todo Modo, un libro di racconti: “Grotteschi e Arabeschi”. Volevo alcuni testi teatrali, come quello sull’ultimo giorno di vita di Beckett, e i romanzi “Quindicimila passi” e “Works”. Storcendo il naso mi sono detto: “Va bene, li prendo su Amazon”. 

Attualmente non disponibile. 

Attualmente non disponibile. 

Attualmente non disponibile. 


Mi sono detto che da oggi siamo senza Vitaliano Trevisan; ma probabilmente il mondo stava già da tempo senza Vitaliano Trevisan. E senza quelli come lui. 


Il 19 novembre annotava su fb: “scaffale degli autori veneti e vicentini della libreria della stazione (mondadori) - ovviamente Trevisan non c’è - non ci sono nemmeno Piovene e Parise, a dire la verità; ma c’è Pennacchi e il suo pojana ahahah. ps: non c’è un libro di T in tutta la fottuta libreria”

Alla damnatio memoriae in vita seguirà l’ipocrita beatificazione in morte?


In estate, sempre su fb, aveva scritto che non sarebbe mai entrato in un teatro per cui fosse richiesto il green pass a lui o al pubblico. Tra i commenti avevo letto qualcuno che lo ammoniva, pensando forse di pungerlo acidamente nel vivo come per solito si fa sui social: “Continuando su questa linea perderai tutto il tuo pubblico”. O qualcosa del genere, non ricordo le parole precise.

La risposta di Trevisan la ricordo perfettamente: “Mai avuto un pubblico”. Ricordo di avere sorriso per una buona mezz'ora.


Non vorrei mai strumentalizzare la sua morte per portare acqua al mulino delle mie riflessioni e convinzioni; ma non posso fare a meno di pormi una domanda: se e quanto il clima di terrore, odio, persecuzione e segregazione in cui siamo immersi da mesi abbia inciso nel crollo di un’anima sofferente. Se di crollo si è trattato; e non piuttosto di una lucida e spietata decisione, come quella di Mishima, che disse un momento prima di fare seppuku: “Ora testimonieremo l'esistenza di un valore superiore all'attaccamento alla vita.”


Anche Trevisan ha parlato di testimonianza in un post recente, che avevo letto e che ha ricordato anche Giulio Milani: “La libertà non si definisce, si testimonia.”


Chissà. Le mie sono illazioni, che sulla morte non si dovrebbero fare.

Ma non le faccio per avere un’occasione in più per lanciare un’invettiva contro uno Stato e una società che ci hanno trascinato nel baratro e portato alla disperazione milioni di persone, adolescenti compresi.

Le faccio perché da ieri non mi abbandona la domanda: che potere avrà tutta questa sofferenza, questa angoscia, sulla nostre vite, sulle nostre menti? Se mai ne usciremo, come ne usciremo? Parlo di noi che abbiamo osato dissentire. Che abbiamo osato metterci dalla parte del dodicenne che non può salire sull'autobus.

Ho finito; e non so se questo è un modo in cui Trevisan avrebbe voluto essere ricordato. 

In fondo, lui che non ha mai avuto un pubblico, se ne sarebbe altamente fregato.

Quello che credo sia il modo giusto per noi di ricordare Trevisan, è fare in modo che la sua morte non sia – per noi – senza profonde conseguenze.

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