Gentile Paola Severino
Ministro della Giustizia del Governo Italiano,
L'"operazione trasparenza" sui redditi dei ministri ci ha permesso di sapere che lei guadagna 7 milioni di euro all'anno, più della metà dei quali finiscono nelle casse dello stato. Diciamo che il suo reddito mensile al netto delle tasse si aggira intorno ai 250 mila euro. Prima ancora che fossero resi pubblici i dati lei ha insistito sul fatto che non c'è niente di male nel guadagnare moltissimo, purché si paghino le tasse; ha fatto capire che sarebbe opportuno abituarsi all'idea che guadagnare moltissimo può dipendere dal fatto di essere bravissimo, e non disonestissimo; ha detto che con le tasse che lei paga ci si potrebbe costruire un ospedale.
Dunque, alla base della sua concezione del diritto individuale alla ricchezza sembra esserci il criterio meritocratico, peraltro rivendicato come obiettivo strategico dal Governo di cui fa parte. Prima di esporre le mie obiezioni, mi lasci dire che, rispetto al criterio "manigoldocratico" precedentemente in vigore, questo è già un bel passo in avanti, in senso assoluto.
Dunque partiamo da questo postulato: se uno è bravissimo e lavora moltissimo ha il diritto di guadagnare moltissimo. Proviamo a entrare nel merito di questa idea della meritocrazia aiutandoci con una storiella.
Siamo una classe di 10 studenti, e non ci preoccupiamo dei soldi: ci interessano i voti.
Se uno di noi è un genio si merita senz'altro un 10. Se uno è bravissimo prenderà un 9. Se uno è molto bravo forse avrà un 8, e così via. Ecco la meritocrazia allo stato puro.
Ma ipotizziamo che un giorno il Ministro dell'Istruzione decida che in ogni classe possono essere distribuiti al massimo 50 voti, non uno di più. Che succederà?
Il genietto continuerà ad aspettarsi legittimamente il suo 10. E se i geni fossero due, resterebbero solo 30 voti da distribuire tra gli altri 8 studenti. I quali, matematicamente, avranno una media di 3,5. Ma vediamo meglio: ci sarà probabilmente uno studente bravissimo, che avrà il suo 9, e non mancheranno almeno due bravi che prenderanno due 8. Resteranno dunque 5 voti per gli altri 5 studenti, ciascuno dei quali prenderà un bell'1.
Peccato per loro, dirà il meritocratico che inizia a spartire le risorse dall'alto verso il basso "fino a esaurimento scorte". Ma è probabile che questi 5 studenti si deprimeranno non poco, dato che il proprio voto non ha alcuna corrispondenza con l'effettivo grado di preparazione e che, soprattutto, ogni sforzo teso a migliorare le proprie prestazioni scolastiche è destinato ad arenarsi di fronte a quell'insormontabile 1. E' assai probabile che questi 5 inizino a maturare un certo odio, non solo verso i compagni più fortunati, ma anche verso il Ministro che ha posto l'assurda limitazione e verso il Preside che non ha trovato un'adeguata soluzione, ma si è limitato ad applicare - senza sforzo di intelligenza - la circolare.
Un Preside scaltro e intenzionato a ridurre le tensioni all'interno della classe, d'altra parte, sarà capace, con qualche forzatura, di rivedere un po' la distribuzione dei voti, magari imponendo una "patrimoniale", per fare in modo che chi prima era condannato all'1 adesso possa avere 1 e mezzo. Si aspetterà questo Preside, che data l'avvenuta rassegnazione all'1, i 5 studenti sfortunati si sentiranno improvvisamente molto grati e fortunati per quel mezzo voto "elargito". E quindi gli animi si distenderanno e nella classe tornerà a prevalere la concordia. Ma si tratterà sempre di una patente ingiustizia, dato che tra quei cinque 1 e mezzo c'era di certo chi si sarebbe meritato un 7, chi un 6, chi un 5... e forse il misero 1 e mezzo non se lo sarebbe meritato proprio nessuno, visto che in realtà nessuno in questa classe è a tal punto somaro.
Cosa avrei fatto io, se fossi stato il Preside? Avrei escogitato una modifica del criterio di assegnazione dei voti, rispettando sia il diritto del più bravo ad ottenere il massimo, sia quello di tutti gli altri di avere un voto corrispondente al livello effettivo di preparazione. Avrei dunque abbassato la scala di giudizio da 10 a 5, in modo che, almeno potenzialmente, tutti i 10 alunni di ogni classe avrebbero potuto avere il massimo dei voti. Come Preside avrei posto al di sopra di ogni altra istanza la possibilità, anche solo teorica, che ogni alunno della mia scuola possa migliorare fino a raggiungere l'eccellenza.
Questa è un'altra idea di meritocrazia, ma si badi, non è un'idea diversa dalla meritocrazia. Anzi, il 'mio', Preside potrebbe scrivere al Ministro che chiede lumi sull'imprevista iniziativa: "Io difenderò fino alla morte questa idea di meritocrazia, che prevede a priori la possibilità di attuazione dei suoi veri presupposti".
Forse il Preside verrà fucilato per questa sua "eresia"; ma, si sa, a volte la storia è violenta. Sarà però ricordato per sempre come un martire, e nella futura società veramente meritocratica gli verrà dedicata anche una piazza.
Fine della storiella. Torniamo a noi.
Il Ministro è il principio di realtà: la ricchezza è limitata. "50 voti" da spartirsi tra tutti, non uno di più. E questo è vero sia nei tempi di grassa che in quelli di magra. Il Preside invece è il Governo, che è tenuto in qualche modo a fare fronte a questa condizione di limitatezza.
[Nota a margine: non solo la ricchezza è limitata, ma deve esserlo. Se così non fosse, se tutti i bravi scolari potessero avere 10 o anche solo 8, se a parità di merito i redditi si livellassero agli standard più alti (ai suoi 7 milioni insomma, signora Severino), il mondo finirebbe domani. Se oggi tutti i cinesi avessero l'automobile, come sarebbe loro diritto, perché no?, il mondo finirebbe domani. Se tutti gli italiani potessero comprarsi un suv o uno yacht, l'Italia finirebbe domani.]
Dunque, tornando a noi, Ministro Severino, la sua idea di meritocrazia (che contempla che qualcuno possa prendere 10 quando il montevoti è 50) implica quella dell'iniquità. Non può prescinderne. E la disparità, se non è basata razionalmente sul merito, non può che fondarsi su uno di questi due elementi:
- il caso: come nascere in una famiglia facoltosa che abbia il potere di aprire alla propria prole le corsie preferenziali che conducono dritto dritto alla possibilità della ricchezza smodata (o, su più larga scala, come è nascere in Italia, in Europa, piuttosto che in Uganda o a Gaza...)
- la violenza: cioè la capacità di formare o condizionare le leggi e le articolazioni dello stato, contro l'interesse della maggioranza e per il beneficio di alcuni circoli minoritari (le cosiddette lobbies, economiche, politiche, ecclesiastiche, finanziarie, commerciali, professionali).
Da qui sarebbe facile arrivare alla conclusione che la vostra idea di demo-meritocrazia calcolata dall'alto finché ci sono risorse (e poi... spartizione degli "1" tra tutti quelli che restano) è oggettivamente errata, dato che i suoi stessi meccanismi costitutivi (che giustificano e difendono la possibilità della ricchezza smodata) negano la possibilità dell'attuazione dei presupposti essenziali (guadagno commisurato al merito).
Se così fosse, si dovrebbe arrivare a un'ulteriore conclusione: che il sistema è fondato su un paradosso malevolo, e che se persiste è soltanto grazie alla monopolizzazione della violenza pubblica da parte di un gruppo minoritario di persone che badano ai propri "10". Si entra qui in un terreno estremamente pericoloso, perché nessuno di noi ha voglia di sentirsi in guerra con lo Stato. Gli ultimi decenni del secolo scorso hanno fatto passare a tutti la voglia di spingersi oltre questo limite del ragionamento. Le assicuro che a nessuno verrebbe questa voglia, neanche se risultasse palese e indubitabile che lo Stato sta facendo la guerra contro i 'suoi' cittadini.
Perciò, Ministro Severino, butterò nel cesso tutto questo esercizio di dialettica socratica – per non rischiare di affogare nella frustrazione – e nella pausa pranzo mi svagherò con i giochini del cellulare.
Ma prima le voglio rivolgere due domande delle quali mi piacerebbe sinceramente, umanamente, conoscere la risposta:
1) Come si pone, lei, davanti al fatto che io (e moltissimi come me) so già in partenza che nel corso della mia vita potrò guadagnare – in tutto – meno di quello che lei guadagna in 3 mesi?
2) Che genere di pensieri le passano per la testa quando prende una multa da 38 euro?
Questa cifra è la seimilacinquecentesima parte del suo reddito mensile; è la venticinquesima parte del mio. Le assicuro che una multa di 38 euro ha un forte potere disuassivo su di me. Non crede che, per avere lo stesso potere dissuasivo su di lei, una multa a lei notificata dovrebbe corrispondere a un venticinquesimo del suo reddito mensile, cioè essere pari a 10.000 euro?
Con i più distinti saluti,
Carlo Cuppini - 12.000 euro*
* Reddito dichiarato [operazione trasparenza]