Siamo pronti, individualmente e collettivamente, a misurarci con questa sfida? E, se si tratta di una battaglia, chi sono gli avversari? Qual è il loro potere? Chi sono i loro finanziatori? Siamo minacciati dagli interessi degli uomini e dei gruppi più ricchi e potenti del pianeta? E chi sono i nostri alleati? Quali strumenti e armi abbiamo a disposizione? Siamo coscienti della posta in gioco?
L'Istituto Superiore di Sanità ha da poco calcolato che in Italia ci sono oltre 60.000 ragazze e ragazzi che non escono mai dalla propria camera e che vivono interamente in un mondo mentale e virtuale - i cosiddetti "hikikomori".
Hikikomori è il titolo del bel libro di Ariela Rizzi e Fabrizio Silei che tratta, senza pedagogismi applicati e con profonda verità letteraria, l'argomento.
Nel mio Logout mi sono chiesto dove potesse portare il dominio dell'intelligenza artificiale; e Linda è un personaggio mostruoso, inquietante, tentacolare, inquisitorio, sì; ma anche eludibile, proprio per la sua fredda severità, e in fondo capace di un'evoluzione inattesa, sorprendentemente positiva.
Fuori dalla scuola media frequentata da mia figlia, prima dell'entrata e dopo l'uscita, vedo nutriti gruppi di ragazzini con gli occhi letteralmente incollati ai cellulari. Del resto, non servono esempi: conosciamo tutti per esperienza diretta l'entità del problema. Ma siamo del tutto coscienti delle sue implicazioni, delle sue possibili conseguenze? Proviamo a guardare dentro noi stessi, in modo onesto e impietoso, e chiediamoci come tutto questo stia modificando il nostro essere, il nostro pensare, il nostro sentire, le nostre relazioni: la nostra mente. Dopodiché proviamo a pensare a coloro che si trovano in mezzo all'età dello sviluppo, o ci saranno tra qualche anno, quando tutti i semi vengono piantati, quando le risorse per affrontare qualunque problema si presenterà nella vita vengono consolidate.
Dobbiamo urgentemente affrontare la questione dell'iperconnessione ubiqua, chiedendoci se per caso non sia una bomba atomica sganciata al centro della città degli esseri umani.
Non parlo di internet in se e per sé, che a mio avviso non può essere considerato altro che una meravigliosa, epocale e irrinunciabile rivoluzione. Ma di internet in tasca, e negli occhi, e nella testa, sempre e dovunque. Parlo di essere - o di avere la sensazione di poter essere - sempre sia qui che là che lì, contemporaneamente: alla fermata dell'autobus, in una chat, in una cascata di reel, in una ricerca su un browser, nell'app del meteo. Non essendo interamente né qui, né là, né lì, né da nessuna parte.
Mi verrebbe da definire questa condizione - volontaria, per carità, come sono volontarie le scelte basate sulla gratuità, sulla lusinga, sulla comodità e sull'emulazione - una autodeportazione fuori dalla realtà, nel mondo dell'irreale. E mi viene da pensare a Simone Weil... Ma il discorso adesso sarebbe troppo lungo e ci porterebbe troppo lontano.
Qualche mese fa Internazionale riportava per intero l'articolo dello psicologo sociale Jonathan Haidt, pubblicato su The Atlantic, sull'impatto dei dispositivi mobili connessi sullo sviluppo degli adolescenti. Il suo discorso è molto chiaro: la diffusione mondiale di internet alla fine degli anni Novanta non ha avuto alcuna conseguenza negativa misurabile sullo sviluppo cognitivo dei giovani; l'avvento degli smartphone e dei social un decennio dopo è stato devastante.
Ho l'impressione che le norme e le iniziative istituzionali saranno sempre indietro, e sempre non del tutto adeguate rispetto all'entità della sfida.
Se è così, dobbiamo assolutamente sviluppare una coscienza sociale, e delle strategie efficaci, per conto nostro. Noi società civile, noi persone.
https://www.repubblica.it/.../teenager_suicida_per.../...
https://www.repubblica.it/.../hikikomori_italia_cosa.../
https://www.theatlantic.com/.../teen-childhood.../677722/
Hikikomori è il titolo del bel libro di Ariela Rizzi e Fabrizio Silei che tratta, senza pedagogismi applicati e con profonda verità letteraria, l'argomento.
Nel mio Logout mi sono chiesto dove potesse portare il dominio dell'intelligenza artificiale; e Linda è un personaggio mostruoso, inquietante, tentacolare, inquisitorio, sì; ma anche eludibile, proprio per la sua fredda severità, e in fondo capace di un'evoluzione inattesa, sorprendentemente positiva.
Fuori dalla scuola media frequentata da mia figlia, prima dell'entrata e dopo l'uscita, vedo nutriti gruppi di ragazzini con gli occhi letteralmente incollati ai cellulari. Del resto, non servono esempi: conosciamo tutti per esperienza diretta l'entità del problema. Ma siamo del tutto coscienti delle sue implicazioni, delle sue possibili conseguenze? Proviamo a guardare dentro noi stessi, in modo onesto e impietoso, e chiediamoci come tutto questo stia modificando il nostro essere, il nostro pensare, il nostro sentire, le nostre relazioni: la nostra mente. Dopodiché proviamo a pensare a coloro che si trovano in mezzo all'età dello sviluppo, o ci saranno tra qualche anno, quando tutti i semi vengono piantati, quando le risorse per affrontare qualunque problema si presenterà nella vita vengono consolidate.
Dobbiamo urgentemente affrontare la questione dell'iperconnessione ubiqua, chiedendoci se per caso non sia una bomba atomica sganciata al centro della città degli esseri umani.
Non parlo di internet in se e per sé, che a mio avviso non può essere considerato altro che una meravigliosa, epocale e irrinunciabile rivoluzione. Ma di internet in tasca, e negli occhi, e nella testa, sempre e dovunque. Parlo di essere - o di avere la sensazione di poter essere - sempre sia qui che là che lì, contemporaneamente: alla fermata dell'autobus, in una chat, in una cascata di reel, in una ricerca su un browser, nell'app del meteo. Non essendo interamente né qui, né là, né lì, né da nessuna parte.
Mi verrebbe da definire questa condizione - volontaria, per carità, come sono volontarie le scelte basate sulla gratuità, sulla lusinga, sulla comodità e sull'emulazione - una autodeportazione fuori dalla realtà, nel mondo dell'irreale. E mi viene da pensare a Simone Weil... Ma il discorso adesso sarebbe troppo lungo e ci porterebbe troppo lontano.
Qualche mese fa Internazionale riportava per intero l'articolo dello psicologo sociale Jonathan Haidt, pubblicato su The Atlantic, sull'impatto dei dispositivi mobili connessi sullo sviluppo degli adolescenti. Il suo discorso è molto chiaro: la diffusione mondiale di internet alla fine degli anni Novanta non ha avuto alcuna conseguenza negativa misurabile sullo sviluppo cognitivo dei giovani; l'avvento degli smartphone e dei social un decennio dopo è stato devastante.
Ho l'impressione che le norme e le iniziative istituzionali saranno sempre indietro, e sempre non del tutto adeguate rispetto all'entità della sfida.
Se è così, dobbiamo assolutamente sviluppare una coscienza sociale, e delle strategie efficaci, per conto nostro. Noi società civile, noi persone.
https://www.repubblica.it/.../teenager_suicida_per.../...
https://www.repubblica.it/.../hikikomori_italia_cosa.../
https://www.theatlantic.com/.../teen-childhood.../677722/